Gil sospirò e tornò accanto al falò delle Guardie. Continuò però a fiutare come un cane il sentore, la traccia di qualche presenza maligna portata dal vento. Rimase a guardare la notte al di là del bagliore ambrato delle fiamme, e le sembrò che una mano pesasse su di lei fredda e terribile, simile all’incombere vicino e minaccioso della morte.
La maggior parte delle Guardie era già addormentata quando Gil raggiunse il campo. Gli uomini e le donne, avvoltolati nelle loro coperte, si erano persi nel sonno profondo e veloce dovuto alla stanchezza fisica. Solo uno vegliava, seduto accanto ad un mucchio di braci, solido come una roccia. Dava quasi l’impressione di essere lì dall’inizio del tempo. Lei l’aveva visto così, notte dopo notte, quando non era in perlustrazione ai margini del campo, e non riuscì a ricordare quando quell’uomo avesse dormito l’ultima volta.
Gil si accovacciò accanto a lui, in silenzio.
«Cosa vedi?»
Il Mago alzò gli occhi dalla fiamma e la luce si perse tra le rughe profonde del suo viso mentre le sorrideva.
«Niente di importante.»
Le sue dita si muovevano leggere esaminando l’aria e la quiete minacciosa di quella notte.
«Niente da spiegare… almeno credo…»
«Lo stai sentendo anche tu, vero?», chiese con calma Gil, e Ingold annuì.
«Dovremmo raggiungere il Torrione in meno di tre giorni,» disse.
«La notte scorsa l’ho sentito confuso e lontano. Stanotte invece è vicino: troppo vicino, anche se nessuno ci ha ancora portato notizie del Buio.»
Gil strinse le mani intorno alle ginocchia e guardò la luce che si rifletteva sulle sue dita indolenzite e gonfie, arrossate dal freddo.
«C’è un nascondiglio di quei mostri da qualche parte tra queste montagne?»
«Soltanto uno di cui parlai una volta a Janus. È un vecchio rifugio, chiuso da molto tempo. Notte dopo notte l’ho esaminato nel fuoco, ma non sembra essere stato adoperato di recente. Tuttavia continuo a vederlo…» annuì all’indirizzo del piccolo falò. «Riesco a vederlo anche adesso. È in una valle ampia e poco profonda a nemmeno venti miglia da qui. Riesco a scorgere il suo basamento: è alle spalle della valle, inclinato verso le montagne. La valle invece è coperta dagli alberi, piena di calore e di oscurità…»
Un ceppo cadde sul fuoco e si alzò una nuvola di scintille che illuminarono il suo viso.
«Questi luoghi si trovano sempre al riparo di qualche genere di ombra. Né il cielo né le stelle riescono a riflettersi su quella pietra levigata… e, nel mezzo di quella oscurità, come l’entrata di una tomba, si staglia l’oscurità più profonda dell’entrata stessa. Posso vedere che è chiusa, e che la terra e le rocce sono coperte dalle erbacce che sono cresciute.»
Fissando il fuoco, Gil non riusciva a vedere nulla. Soltanto il gioco dei colori, topazio, rosa, giallo, e il riverbero del calore che si sollevava sulle pietre che circondavano il falò rivelando il disegno intricato e misterioso delle felci fossili racchiuse nella struttura della roccia.
La voce aspra di Ingold l’aiutò comunque a scorgere quella scena, quasi la vedesse con i suoi stessi occhi: il modo in cui l’oscurità si addensava tra quegli alberi contorti e avviluppati, l’agitarsi dell’ombra della montagna che nessun vento avrebbe mai potuto distruggere.
La notte era gonfia di un senso profondo e disperato di orrore…
«Non mi piace…», mormorò Gil.
«Nemmeno a me,» rispose Ingold. «Non credo a questa visione, Gil. Siamo così vicini al Torrione. Il Buio deve fare il suo tentativo e farlo presto…»
«Possiamo andare fin là?»
Ingold sollevò il capo e guardò intorno a lui il campo silenzioso e addormentato. Le nuvole si stavano addensando sulle montagne coprendo le stelle; sembrava quasi che un’oscurità più profonda stesse calando sulla terra.
«Non credo», disse ancora Gil, «che ci sia rimasta qualche altra possibilità…»
Il Buio li circondò. Gil ne percepì immediatamente la presenza con una sensazione amara e bruciante: era qualcosa capace di oscurare anche la luce stessa del sole. Si fermò ai margini di uno degli innumerevoli boschi che coprivano la valle come la spessa ragnatela di un ragno mostruoso, e guardò verso il nord a cercare il punto dove quella valle maledetta si inclinava. Tentò di pensare razionalmente: ora era giorno e lei era in compagnia di Ingold! Però la sensazione di paura non scomparve: il Buio era là!
La scalata era stata troppo semplice. Troppo facile, pensò.
La valle ampia e rotonda attraverso cui l’aveva condotta Ingold era pianeggiante, con una pendenza minima che non sarebbe stata assolutamente difficoltosa se non fosse stato per l’erba alta che la ricopriva. Il vento che li aveva tormentati fin dalla loro partenza da Karst si era calmato: il luogo era protetto dalle pareti del canyon, roccia che si arrampicava su altra roccia fino a costruire una parete che raggiungeva i baluardi oscuri delle vette che oscuravano il cielo.
Al loro riparo, l’aria era più calda di qualsiasi altro posto lei avesse conosciuto in quel mondo, ma quel caldo la sconcertava. I boschi erano troppo fitti per essere salutari, l’aria troppo pesante, e il terreno in alcuni punti era addirittura impraticabile a causa delle radici delle erbacce. Gli alberi scuri e foschi che crescevano lungo tutta la valle sembravano intrappolarla in un labirinto di ombre, e conservavano sotto i loro rami aggrovigliati i residui di una notte eterna che non sarebbe mai passata.
«Sono qui!», sussurrò. «So che sono qui!»
Accanto a lei, quasi invisibile in quella luce sepolcrale, Ingold annuì. Anche se non era trascorso molto tempo dopo mezzogiorno, l’atmosfera di quella valle sembrava giocare strani scherzi con la luce solare. L’aria rarefatta affaticava Gil, e le sembrò anche che una mano misteriosa tentasse di offuscare la sua capacità di pensare.
«Possono essere pericolosi anche di giorno?»
«Sappiamo ben poco di quelle creature», le rispose Ingold a bassa voce. «Ogni tipo di Potere ha i suoi limiti, ed abbiamo visto troppe volte come la loro forza sia aumentata dal numero… stiamo camminando su una lastra di ghiaccio che copre le profondità dell’Inferno… stai attenta a come ti muovi…»
Quindi si coprì il volto con il cappuccio del mantello, e si incamminò come un fantasma in quell’aria velenosa e plumbea.
Mentre continuavano a salire, crebbe in lei la sensazione che si stavano addentrando in un mondo dove regnava un male al di là di ogni comprensione umana. C’era qualcosa di orribilmente simmetrico nella valle: qualche errore nella struttura stessa della roccia, nelle montagne che sussurravano avvertimenti alla mente di Gil.
Il loro cammino comunque risultò facile fino a che non raggiunsero una grande spaccatura che tagliava la valle a metà, e intorno alla quale cresceva della vite selvatica ed una specie di edera particolarmente fibrosa che si sviluppava sul sentiero irregolare che l’attraversava. I fossili che Gil aveva intravisto tra le pietre del falò la notte precedente, erano presenti anche qui, e dalle rocce spezzate affioravano i resti di felci enormi, alghe marine lunghe molte braccia, e qualche traccia di creature vissute troppo tempo prima perché ne fosse rimasta memoria, incisi per sempre nell’ardesia.
Il terreno sembrava livellato dal passaggio di milioni di piedi, ed era duro come un vecchio manto stradale, sempre circondato dall’intrico impenetrabile degli alberi.
Ingold si fermò e si girò per controllare alle sue spalle: era la centesima volta che ripeteva quel movimento quel giorno.
Gil si stropicciò gli occhi arrossati. Aveva dormito a stento e per poche ore da quando avevano abbandonato il campo all’alba, e la mancanza di riposo si faceva sentire.