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Non che io abbia goduto di particolari comodità da quando sono in questo universo, pensò la ragazza.

Una particolarità del terreno attirò la sua attenzione: era il letto disseccato di un ruscello che non avrebbe dovuto essere lì, e soprattutto uno strano mucchio di rocce…

Giratasi all’improvviso, si ritrovò sola. Fino a poche settimane prima avrebbe fatto attenzione anche al soffiare del vento ed avrebbe chiesto aiuto al primo sentore della presenza del Buio. Ma la vita da lupi e la compagnia del Falcone di Ghiaccio avevano cambiato le sue capacità di reazione, e lei rimase perfettamente immobile scrutando intorno a sé quel paesaggio fin troppo tranquillo.

Una mano le sfiorò una spalla facendola sobbalzare. Ingold le afferrò il polso quando la sua spada era già per metà fuori dal fodero.

«Dove eri andato?», gli sussurrò.

Il Mago si accigliò.

«Non mi sono mosso da qui.»

Con la mano ancora stretta intorno al polso di Gil, si guardò intorno dubbioso.

«Certamente non eri qui un minuto fa.»

«Hmm…» Il vecchio si passò una mano tra la barba arruffata. «Aspetta un momento,» disse infine, «e guardami.»

Pronunciando quelle parole, lasciò andare Gil e si allontanò; i suoi passi erano a malapena udibili tra la sterpaglia alta del sottobosco.

Gil fece del suo meglio per non seguirlo. Esausta com’era, sentiva che la stanchezza la stava avendo vinta con le sue ossa, ma era certa di non essersi mossa e di non aver chiuso gli occhi. Nonostante tutto però, Ingold era scomparso di nuovo. Intorno non c’era alcun posto dove potesse nascondersi, ed inoltre il sole splendeva alto in cielo.

Ammiccò e si stropicciò gli occhi. C’era qualcosa in quel luogo, una qualche esalazione malefica che creava illusioni ed imprigionava la vista. Poi si girò e scorse Ingold a circa venti metri dal margine del sentiero coperto di edera spianata, quasi fosse stato sempre là. Appena le si avvicinò, lei non ebbe difficoltà a seguirne i movimenti.

Gil scosse la testa.

«Non capisco», disse.

Si tirò il mantello sulle spalle, gesto che le era ormai diventato abituale, quasi come quello di raddrizzare l’elsa della sua spada preferita. Nei giorni passati, il mantello non era servito a proteggerla veramente dal freddo, ma in quel luogo, con quell’aria soffocante, sembrava fin troppo caldo e pesante. Era ormai del tutto consapevole dell’atmosfera malefica che pesava su quella valle.

«Sai cosa accadrà?», chiese a Ingold.

«Temo di si,» rispose il Mago. «Il potere del Buio è forte qui, molto forte. Sembra che riesca anche ad interferire sull’Incantesimo che avevo lanciato su noi due… È un peccato: vuol dire che dovremo fare a meno…»

«Vuoi dire,» esclamò Gil sorpresa, «che siamo stati sotto Incantesimo fin dall’inizio?»

«Oh, si!» Ingold sorrise scorgendo il volto sbalordito della ragazza. «Ho gettato più di un Incantesimo sul convoglio da quando siamo partiti da Karst. Principalmente erano per difesa, per tutela… qualcuno anche di avversione e di protezione… Non sarebbero serviti a molto contro un attacco in piena regola, ma sarebbero certamente serviti ad evitarci colpi casuali di sfortuna.»

«Non me ne ero mai resa conto…», rispose Gil.

«Naturale. L’abilità maggiore di un buon Mago è proprio quella di non farsi mai scoprire.»

Gil lo fissò insospettita. Forse Ingold la stava prendendo in giro ma, osservandolo, si rese conto che il vecchio Mago era del tutto serio, serio come era sempre stato nei momenti difficili.

«Un Incantesimo riuscirebbe a proteggerci dal Buio?»

«Probabilmente non qui, nella loro valle», rispose con calma Ingold. «Ma per i Razziatori Bianchi, si. Ci hanno seguito da quando abbiamo lasciato l’accampamento. Se l’Incantesimo non funziona, perderemo molto tempo, e sarà difficile recuperarlo.»

Raggiunsero la loro meta soltanto a metà pomeriggio. Gil sentiva crescere da lontano la sensazione di orrore. Sapeva, senza alcun bisogno di chiederlo, che quello era il luogo che Ingold aveva visto riflesso nella luce del fuoco. Il terreno era innaturalmente piatto, molto inclinato, con una lastra di basalto che era conficcata nel fianco della montagna con la punta più lontana che si alzava verso l’alto come la prua di un vascello insabbiato. Un angolo invece era piantato nel terreno della valle come se a metterlo lì fosse stato qualche inspiegabile cataclisma, perso negli abissi del tempo.

L’angolo più inclinato mostrava l’intero spessore della lastra e lasciava capire quanto a fondo fosse penetrata nel terreno: anche se la terra intorno era scalzata per più di trenta piedi, non si scorgeva traccia del fondo. Nel mezzo di quella sorta di enorme cavità si spalancava il nero foro d’ingresso da cui partivano le scale che conducevano all’abisso del Buio.

Le scale erano aperte.

La minuscola traccia di terra e pietra che Ingold aveva scorto attraverso le fiamme era sparpagliata ovunque intorno a quella orrenda fossa. Le pietre giacevano sparpagliate quasi fossero i resti di un’eruzione vulcanica, ma Gil si accorse che anche su di esse stava crescendo l’erbaccia tenace che aveva visto su pietre molto più antiche.

Ne raccolse una. Su di essa appariva ancora l’impronta di un’orchidea rigogliosa, impietrita in qualche palude primitiva milioni di anni prima e frantumata da qualche lontana esplosione.

Anche Ingold stava esaminando la forma delle pietre mentre si muoveva metodicamente verso il pendio e verso l’ingresso che si spalancava alla luce del giorno come una bocca che stesse lanciando un grido silenzioso.

Il Mago si fermò dove terminavano il campo e le erbacce, e da dove partiva il sentiero oscuro. Gil lo vide chinarsi a raccogliere una pietra che rigirò tra le mani, pensieroso. Poi riprese a camminare cautamente sulla superficie levigata della pietra, ed iniziò una lenta e metodica scalata verso l’ingresso.

Anche se le ripugnava, la ragazza, come aveva già fatto nelle Volte di Gae, lo seguì.

Dovette lottare contro il fogliame che le si avviluppava intorno alle gambe e si avvicinò al Mago sul pendio. Ingold si fermò ad aspettarla, e la sua ombra era un cerchio scuro intorno ai suoi piedi.

Vista alla luce del giorno, sotto il cielo aperto, la vastità del pendio ora le appariva in qualche modo minacciosa. Dall’angolo infossato nella terra fino a quello più inclinato e piantato nel fianco della montagna, correvano circa settecento piedi. Ingold, in piedi in mezzo, sembrava improvvisamente molto piccolo. Inoltre era un’arrampicata difficile, su un terreno scivoloso. Quando raggiunse il Mago, Gil ansimava visibilmente, e cercava di mandare giù boccate di quell’aria densa.

«Avevamo ragione!», esclamò Ingold a bassa voce. «La visione era stata un inganno!»

Sotto di loro le scale scendevano e, da quell’apertura, proveniva un filo d’aria umida che agitò i capelli appiccicati dal sudore di Gil.

Non c’era nulla ora tra loro due e il Buio se non la presenza del sole, e la ragazza guardò verso il cielo quasi temesse l’addensarsi delle nuvole.

«Cosa possiamo fare?»

«Tornare al più presto possibile al convoglio. Non sappiamo ancora cosa stiano tramando, ma almeno sappiamo da dove potrebbe provenire l’attacco. In ogni caso qui è possibile ostacolarli, e al tempo stesso coprire la ritirata di Tir verso il Torrione.»

Gil lo guardò.

«E come?»

«È stata un’idea di Rudy… Una volta… Se noi…»

Ingold tacque di colpo e le afferrò il polso. Gil seguì la direzione del suo sguardo lungo il sentiero che si perdeva nella valle e scorse qualcosa che si muoveva nei boschi accanto a quelle strane forme scure di pietra nera che erano disseminate dappertutto. L’ombra scomparve velocemente alla vista, ma Gil sapeva cosa era. E poteva trattarsi soltanto di una cosa.

«Ci hanno visti?», chiese.