«Senza dubbio. Anche se mi sorprende il fatto che siano già così vicini.»
Aiutandosi con il suo bastone, Ingold cominciò cautamente a scendere, imitato da Gil che lo seguì con circospezione.
Una volta alla fine del pendio, Ingold scrutò di nuovo la valle, ma questa volta non scorse nulla.
«Non significa niente», disse, spostandosi verso il ciglio della strada. «Il solo fatto di non vedere i Razziatori Bianchi non vuol certo dire che non ci sono!»
«Cosa facciamo?»
Ingold puntò il suo bastone verso il groviglio di crepe che conduceva dalla valle del Buio verso altre valli. Era un mucchio confuso di vecchie spaccature create, forse, da qualche valanga.
«Ci deve essere un’ottima strada da quella parte,» continuò con calma, fermandosi all’ombra delle viti che crescevano accanto alla parete nera e liscia.
«Mi stai prendendo in giro!», esclamò Gil.
«Non scherzo mai in queste situazioni, mia cara», rispose Ingold, ed iniziò la sua salita sul pendio pietroso.
Gil rimase ancora un po’ dov’era, guardandolo scomparire dietro l’angolo della montagna. Il sentiero saliva e girava intorno alla base della scheggia di basalto e, qualunque sconvolgimento avesse creato quel passaggio, ormai era passato tanto tempo da far si che la valle stessa sembrava aver avuto origine in quel punto.
Il pensiero del tempo trascorso infastidiva Gil.
Tutti quei fossili… pensò. Perduti nella notte dei tempi… Erano trascorsi eoni, la terra e il mare avevano addirittura cambiato la loro forma, eppure qualche Potere arcano aveva posto in quel luogo la sua dimora… Mio Dio! Quella valle doveva essere una valle tropicale quando tutto quello era stato creato. Da quanto tempo allora i Guerrieri del Buio abitavano la Terra?
Chi avrebbe potuto risponderle se quelle creature non possedevano ossa?
Sono anche intelligenti, sanno piantare alberi, costruire strade e conservarle per millenni senza che su di loro ci siano segni di decadenza o di rovina… Sono abbastanza intelligenti da possedere una loro Magia, diversa da quella umana e del tutto incomprensibile per noi… Sono anche sufficientemente intelligenti da studiare il convoglio, da sapere dov’è Tir, e da conoscere il motivo che li costringeva a tentare di impedirgli di raggiungere il Torrione…
Gil rimase immobile per qualche attimo con le braccia conserte mentre l’ombra si avvicinava, e continuò a meditare sul Buio.
Dopo un po’ alzò gli occhi, e scorse Ingold che appariva e spariva tra i macigni e gli alberi fitti in fondo alla valle.
Qualche cataclisma primordiale aveva spezzato le vette più alte delle montagne lì intorno, ed aveva lasciato soltanto una landa di desolato granito e abissi senza fondo. Il tempo poi aveva provveduto a ricoprire tutto con una vegetazione estremamente rigogliosa, forse troppo.
Quel paesaggio le ricordava i dipinti cinesi con alberi che spuntavano indifferenti sul lato scosceso della montagna. Ma qui tutto era sgradevole, sporco, scuro. Qui i fusti secchi erano caduti a marcire in gole irte di spighe aguzze di un bianco malato.
Il mantello marrone di Ingold spiccava tra le rocce strette, mentre il Mago si muoveva arrampicandosi su quei pendii pietrosi.
Ingold la vide fermarsi a guardare stando seduta sulla roccia.
«Vieni», le gridò. «C’è un sentiero da questa parte.»
Che diavolo, sospirò la ragazza. Si muore una volta sola!
Non le erano mai piaciute le altezze e, mentre si arrampicava, invidiò il bastone di Ingold. In alcuni punti il sentiero si restringeva fino a diventare non più largo di pochi centimetri. Altrove invece la vegetazione cresceva dovunque, nascondendo il terreno. Più di una dozzina di volte pensarono di dover tornare indietro evitando contemporaneamente di guardare in alto, in basso o da qualsiasi altra parte. Le loro mani a poco a poco si spellarono e cominciarono a diventare insensibili, mentre la loro strada diventava sempre più angusta: un sentiero promettente all’improvviso scompariva trasformandosi in una crepa tra le rocce enormi dove si poteva passare a fatica. Oppure si trovavano dinanzi a viluppi enormi di foglie all’interno delle quali si nascondevano certamente creature, certamente meno mortifere, ma non meno terrificanti del Buio…
Ci saranno dei serpenti a sonagli in questo mondo? si chiese Gil. O comunque serpenti velenosi, sonagli o no…
Infine si fermarono vicino ad una crepa tra le rocce, dopo una ripida salita intorno alla superficie convessa di un macigno piantato sull’orlo di una voragine colma di cespugli spinosi e pietre frantumate.
Gil sudava abbondantemente mentre cercava di mantenere l’equilibrio su quel terreno friabile ed infido.
Lo spostarsi del sole sulla verticale del Rampart Range aveva gettato nell’oscurità più profonda quel baratro. Ingold era a malapena visibile, e soltanto grazie al pallore del viso ed al bianco della sua barba oltreché per il luccichio degli occhi.
«Benissimo Gil!», ansimò il vecchio Mago. «Riuscirò a fare di te una scalatrice.»
«Per niente al mondo», rispose, respirando a fatica e guardando in basso. Se c’era qualche altro sentiero da scalare, certamente non sarebbe riuscita a percorrerlo ora.
«Potremmo seguire questo baratro fino alla vetta di quella montagna là,» continuò Ingold indicandola con il bastone. «Una volta raggiunta quella cima, saremo vicini alle nevi, e credo, finalmente lontani dal Buio. Con un po’ di fortuna, potremmo anche trovare un sentiero sull’altro lato che ci conduca nella valle di Renweth e da lì al Torrione di Dare.»
Gil calcolò approssimativamente la distanza per quanto glielo consentiva la luce ingannevole nell’aria rarefatta di montagna. Sembravano essersi arrampicati fin sopra la foschia che stagnava nella valle. Qui le cose erano chiare, e le ombre che avanzavano rendevano difficile stabilire la posizione apparente delle vette e delle montagne.
«Non penso che ce la faremo prima di notte.»
«Oh, neanch’io lo penso», replicò Ingold «Ma non credo proprio che sia consigliabile trascorrere la notte giù in basso.»
Gil sospirò rassegnata.
«Stavolta hai vinto tu!»
Il Mago appoggiò cautamente il bastone ad un macigno che copriva il sentiero e la pietra rotolò pericolosamente creando un fiume di sabbia e di ghiaia intorno ai loro piedi e sui bordi del sentiero. Brontolando sull’opportunità di portare una fune la prossima volta, imprecò contro gli invisibili Razziatori ed iniziò subito a cercare un’altra strada.
Mentre lo faceva, Gil si girò a guardare la montagna che le sembrava diversa dopo quella scalata da suicida. Scrutò la valle di sotto e fu presa da un attimo di smarrimento e di paura.
«Ingold», chiamò con voce tremante. «Vieni qui a guardare…»
Il tono di Gil spinse il Mago ad avvicinarsi in fretta.
«Che cosa c’è?»
Gil allungò il braccio.
«Guarda là. Cosa vedi?»
Vista da quella posizione, la terra aveva un aspetto diverso; l’angolazione del sole cambiava la prospettiva di quel luogo dominato dall’oscurità. Da quell’altezza era semplice scorgere come le fitte macchie di bosco avessero una strana configurazione, quasi secondo schemi geometrici alieni; i letti stessi dei torrentelli seguivano delle traiettorie dotate di una loro perversa regolarità. I grovigli delle viti selvatiche ed il mutamento progressivo del loro colore e del loro spessore emanavano una inquietante potenza suggestiva.
Quasi a perpendicolo sotto di loro vi era il rettangolo della strada, e la sua posizione, rispetto ai mucchi anomali di pietra scura, era divenuta improvvisamente chiara a Gil, che conosceva i rudimenti dell’archeologia.
Ingold corrugò la fronte fissando la vegetazione.
«È come se… come se ci fosse stata una città… ma qui non c’è mai stata alcuna città che la nostra storia riesca a ricordare…» L’occhio ora poteva riconoscere nell’ombra delle erbacce angoli e curve troppo simmetriche per appartenere a della semplice pietra.