«Che cosa ha causato questa rovina? È come se le viti crescessero più rigogliose nei luoghi dove…»
«Sono radicate in profondità,» gli fece eco debolmente Gil. «Apparentemente i sentieri sono così coperti da lasciare appena una traccia. Gli alberi laggiù sono più bassi perché le loro radici non possono estendersi troppo in profondità. Guarda. Vedi il letto di quel ruscello? E ancora…» Si interruppe. «Sembra quasi che sia stata progettata così, con una regolarità che però non riesco a ricordare in nessuna altra città che ho visto. C’è una certa configurazione: si può distinguerla con il sole da questa angolazione, ma il progetto è del tutto sbagliato…»
«Naturalmente,» sussurrò il Mago, «non ci sono strade.»
I loro sguardi si incontrarono. La comprensione li raggiunse lentamente come un sussurro che proveniva dagli abissi incommensurabili del tempo.
«Vieni,» disse Ingold in fretta. «Questo non è un posto dove possiamo rimanere una volta che il sole è tramontato.»
CAPITOLO TREDICESIMO
Una volta lontani dalla protezione della valle, il vento cominciò a tormentarli con forza maligna gelando le loro mani già provate dalla precedente scalata. A volte erano costretti ad addentrarsi nei boschi arrampicandosi pericolosamente su sentieri più adatti a capre che a esseri umani, resi scivolosi da neve e ghiaccio. Altre volte ad ostacolarli trovavano grovigli di vegetazione che li costringevano ad aggrapparsi per sorreggersi alle radici scorticate dal. vento di vecchi alberi, quasi fossero acrobati da circo.
Gil ed Ingold continuarono però imperterriti il loro cammino in quel mondo dove le uniche costanti erano il freddo, la pietra, il vento, ed il gorgoglio distante dell’acqua. Non avrebbero potuto fermarsi, neanche se l’avessero voluto: non c’era alcun luogo adatto ad una sosta prolungata. Senza i fili di luce magica che Ingold proiettava sui profili delle montagne, Gil era certa che non sarebbero mai riusciti a sopravvivere a quella scalata. Soltanto più tardi, ricordandola, provò un cupo senso di stupore per il solo fatto di avercela fatta…
Riuscirono a dormire in una profonda crepa su un pendio roccioso, stretti l’uno all’altra per riscaldarsi. Era il primo sonno vero che Gil riusciva a fare dopo oltre quarantotto ore. Nel mezzo della notte sentì il tempo che cambiava, e nei suoi sogni avvertì l’avvicinarsi della minaccia portata dalla neve.
La mattina il cammino si prospettò più semplice, non peggiore di un viaggio con qualche carico pesante sulle spalle. A mezzogiorno Ingold scovò la traccia di un sentiero che conduceva sulla parte occidentale a strapiombo e coperta di alberi della Rampart Range, da dove avrebbero potuto raggiungere nel pomeriggio la valle fredda e ventilata di Renweth.
Gil fissò il paesaggio socchiudendo gli occhi. Il vento freddo che spirava, le mozzava il respiro e creava forme simili a lunghe onde sull’erba incolore alta fino alle ginocchia.
«Cos’è quello?»
«È il Torrione di Dare.» Ingold sorrise incrociando le braccia per riscaldarsi, ma continuando lo stesso a tremare. «Cosa ti aspettavi?»
Gil non era più sicura di nulla. Pensava a qualcosa di più piccolo, di più medievale come struttura.
Certo non avrebbe mai immaginato di trovarsi davanti ad un monolito trapezoidale di pietra nera che si ergeva, quasi fosse stato generato dalle stesse viscere della montagna, su una grande collina situata ai piedi di quella lontana vetta dominata ancora dal buio.
La sua sommità superava la cima dei pini; un velo polveroso e sottile di neve fresca s’innalzava verso le nuvole. Non vi erano finestre sulle pareti, che si elevavano lisce e pulite quasi fossero fatte di un qualche genere di vetro.
«Chi diavolo l’ha costruito?», sussurrò Gil intimidita. «E quanto è grande?»
Soltanto ora riusciva a credere che in quella costruzione il genere umano sarebbe riuscito a sopravvivere al Buio. La forza dei Guerrieri poteva anche infrangere la pietra o il ferro, ma quella fortezza doveva essere certamente inespugnabile!
Con un senso di malcelata sorpresa, comprese che esisteva in quel mondo un rifugio dove potersi fermare.
«L’ha costruita il Dare di Renweth,» disse Ingold accanto a lei, «usando quanto rimaneva della tecnologia e del potere dei Regni Antichi. Un potere che va molto al di là di quanto siamo in grado di fare oggi. Diede riparo a coloro che erano sopravvissuti al primo attacco del Buio e, da quella costruzione, lui ed i suoi discendenti governarono questa valle, il Passo di Sarda, e tutti i territori che erano rimasti di un impero il cui ricordo era quasi del tutto svanito dalla memoria degli uomini. Per quanto riguarda la sua ampiezza,» guardò in lontananza contemplando il monolito scuro che dominava la distesa della valle, «non è molto grande. Può ospitare con qualche comodità circa ottomila persone, ma la valle può essere coltivata e dare così da vivere ad un numero doppio di individui. Non esistono documenti — se mai ce ne sono stati — di quanta gente sia riuscita ad ospitare in una sola volta.»
Mentre si avvicinavano tra l’erba bruna della valle, il Torrione sembrò diventare più grande nella luce chiara sotto il cielo grigio e nuvoloso. Gil si fermò ad osservare quel paesaggio: era una serie di campi montani dove crescevano pioppi, betulle e piante di cotone. Le foglie luccicavano spinte dal vento che spirava dalle vette delle montagne intorno. C’era una bellezza intensa e luminosa in quel luogo, primo e ultimo cuore del Regno, culla e tomba delle speranze di molti uomini.
Le ossa le dolevano, ed anche i muscoli allenati a maneggiare la spada le bruciavano per lo sforzo sostenuto durante quella faticosa arrampicata.
Non è male, pensò, come posto dove stare rinchiusa per qualche anno…
Tuttavia, quella prospettiva era guastata dalle chiacchiere che aveva udito da tempo. Il suo futuro era inevitabilmente quello di rimanere in un forte impenetrabile, insieme alle stesse persone, per molti anni a venire…
«Il Torrione è qui da molto tempo,» spiegò ancora Ingold non appena giunsero sulla strada che conduceva verso il Passo di Sarda, la stessa strada sulla quale, molte miglia più in giù, Alwir stava conducendo il suo popolo alla ricerca di una salvezza nascosta in una leggenda. «Tuttavia, i Segni Runici del Potere si trovano ancora sulle porte del Torrione, incisi dai Maghi che aiutarono ad erigerlo: là sulla sinistra c’è Yad, e Pern sulla destra, che sono i Segni dell’Autorità e della Legge. Soltanto un Mago può vederli, e si snodano come una traccia luminosa e argentea. Nonostante tutto questo tempo però, gli Incantesimi dei costruttori sono ancora efficaci…»
Gil distolse lo sguardo dalla massa rocciosa della montagna che si alzava, parete su parete, ed era ricoperta da gole nere e foreste d’alberi, nonché dalla sella poco profonda ma ben visibile del Passo di Sarda, per tornare all’ombra scura del Torrione. Lei non poteva vedere i caratteri runici: tutto ciò che riusciva a scorgere erano dei grandi pannelli di ferro legati con l’acciaio a pesanti perni, intatti da secoli.
Le grandi porte erano aperte. Nella loro ombra c’erano i membri della piccola guarnigione che Eldor vi aveva inviato per tenere sgombro il luogo e conservarlo come un eventuale rifugio, quando Ingold aveva, per la prima volta, suggerito la possibilità di un ritorno del Buio.
Il Capitano della guarnigione, una donna bionda, minuta e graziosa, con occhi umili e tranquilli, salutò Ingold con rispetto, e non sembrò sorpresa dalla notizia della caduta di Gae e dell’arrivo ormai imminente della colonna di profughi.
«Lo temevo», disse, guardando il Mago con la mano stretta intorno all’elsa della sua spada. «Non abbiamo avuto notizie da più di una settimana, ed i miei uomini hanno detto di aver visto i Guerrieri del Buio che svolazzavano sulla valle quasi ogni notte.» Increspò le labbra in un’espressione contrariata. «Mi fa solo piacere constatare che quanto tu dicevi si è avverato. Ricordo che a Gae la gente per strada ti derideva per i tuoi ammonimenti. Parlavano di te come di un allarmista eccentrico degno soltanto di essere preso in giro.»