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Un camion passò rombando nella strada fuori della finestra, ma il suo rumore si smorzò rapidamente nella notte. Qualcuno azionò uno sciacquone in un appartamento dell’edificio, ed il gorgoglio dei tubi rimbalzò attraverso le pareti fino a spegnersi.

Gil fissò a lungo il tavolo, ed i suoi occhi notarono automaticamente centinaia di particolari, concentrandosi poi sui suoi appunti circa la manutenzione dei ponti nel Quattordicesimo Secolo. Rialzò il capo e guardò lo Stregone che stava bevendo calmo la sua birra di fronte a lei.

«Cosa mi dici del Vuoto?», chiese.

«Quando ti parlai a Gae,» rispose Ingold, «compresi che i nostri mondi dovevano essere in stretta connessione in quel periodo. Una connessione così stretta che, a causa di quella frattura psichica, colui che sogna potrebbe letteralmente percorrere la linea che divide i mondi e guardare dall’uno nell’altro. È un evento estremamente raro e purtroppo temporaneo: si è realizzata una possibilità su un milione… Comunque è una situazione che in questa emergenza viene tutta a mio vantaggio…»

«Ma perché è successo adesso, e soltanto al momento della crisi?», chiese Gil appoggiandosi al tavolo, e la luce della lampada riverberò attraverso il velo ricamato delle larghe maniche del suo chimono. «E perché è successo proprio a me?»

Ingold capì subito dal tono della voce di Gil la sua paura di essere diversa, unica, non del tutto umana. Quando rispose, la sua voce assunse un tono gentile.

«Non c’è nulla di fortuito, né esistono eventi totalmente casuali. Ma non possiamo con questo conoscere le ragioni di tutto.»

La ragazza nascose un sorriso.

«È una risposta da Stregone… semmai ne ho sentita una.»

«Vuoi dire che chi sa, ama parlare sempre a doppi sensi?»

Il suo sorriso era malizioso.

«È uno dei rischi del nostro lavoro.»

«E quali sono gli altri?»

«Ce n’è soltanto un’altro: una deplorevole tendenza ad intrometterci…»

Gil sorrise insieme a lui. Poi divenne seria e chiese:

«Ma se tu sei uno Stregone, come mai hai bisogno del mio aiuto? Quale aiuto potrei darti che tu non potresti trovare più facilmente da solo? Come potrei aiutarti contro il Nero? E poi, cos’è il Nero?»

Ingold la guardò in silenzio per qualche istante, giudicandola e saggiando la profondità di quegli occhi blu la cui luce nascondeva una tensione ed una profondità maggiori di quelle dell’oceano. Il suo viso era diventato di nuovo serio, immobile, e le rughe sembravano quasi scolpite nella sua pelle.

«Tu sai!», rispose.

La ragazza alzò lo sguardo e scorse con la mente le gigantesche porte di bronzo che scaraventavano i loro monolitici battenti; vide anche delle ombre che la rincorrevano, simili ad uno spettrale branco di lupi. Parlò senza incrociare gli occhi dell’anziano Stregone.

«Non so cosa sono.»

«Nessuno lo sa», rispose lui, «tranne, forse, Lohiro, il Capo di Quo. È una domanda alla quale non avrei mai voluto dover cercare una risposta, un enigma che avrei preferito non dover risolvere… Cosa posso dire del Nero, Gil? Cosa, che tu non sappia già? Essi sono i Signori della Notte, strappano la carne dalle ossa, il sangue dalla carne, l’anima da ogni corpo vivente, e lo lasciano vagare senza più alcuna coscienza verso la morte per inedia… Cavalcano l’aria nell’oscurità, cacciano nell’oscurità. … Soltanto il fuoco, la luce, ed una luna splendente, riescono a tenerli lontano. Capisci cosa sono?»

Gil scosse la testa, ipnotizzata dal labirinto caldo delle sue parole, imprigionata dal bagliore di quello sguardo, e dall’orrore e dal ricordo di altri più spaventósi orrori che vi scorse.

«Ma tu sai…», sussurrò.

«Dio volesse che non sapessi nulla!», sospirò Ingold, guardando ben oltre le mura della casa di Gil. Quando tornò a guardarla, la sua solita baldanzosa sicurezza era tornata nei suoi occhi senza alcuna traccia del dubbio, della paura e della ripugnanza per ciò che conosceva.

«Io… io li ho sognati…»

Gil incespicò nelle parole; per lei era diventato improvvisamente difficile raccontare quel vecchio sogno a qualcuno che sapeva.

«Prima ancora di averli visti, prima di aver saputo cosa fossero, ho sognato di una… una volta… una cantina… C’erano archi in tutte le direzioni. Il pavimento era nero e liscio come vetro. Nel mezzo di quel pavimento c’era un pezzo di granito nuovo e ruvido perché mai nessun passo lo aveva calpestato… Tu hai detto che essi vennero… dal profondo della terra…»

«In verità,» disse lo Stregone fissandola con una aperta curiosità, «sembrerebbe che tu abbia percepito il loro arrivo molto prima di chiunque altro. Questo può significare qualcosa, anche se adesso non ne posso essere sicuro… Si, era il Nero o, piuttosto, il passaggio chiuso per uno dei suoi Nidi. Sotto quel pezzo di granito — e so bene di cosa stai parlando — si nascondono scale che conducono a profondità sotterranee ed inimmaginabili. Fu con le scale che tutto ebbe inizio. Le scale ci sono sempre state; si trovano rappresentazioni che le raffigurano nelle più antiche cronache, addirittura incise su lastre di pietra preistoriche. Vi sono vasti pavimenti di pietra nera e, al loro centro, scale che scendono nel cuore più profondo degli abissi. Nessuno è mai sceso per quelle rampe — almeno nessuno, se lo ha fatto, ne è mai risalito — e nessuno ha mai saputo chi le abbia costruite. Si sussurra che furono i Titani di un tempo o gli stessi Dei della Terra; documenti quasi disfatti dal tempo ne parlano come di luoghi terrificanti, pieni di Magia. Per molto tempo furono considerati luoghi fortunati, favoriti dagli Dei, e la vecchia religione costruì templi su di essi, templi intorno ai quali nacquero le prime città del genere umano. Ma tutto ciò accadde migliaia di anni fa. I villaggi divennero paesi, poi città vere e proprie. Grandi popoli si unirono: gli Stati e i Regni si diffusero lungo le ricche valli del Fiume Marrone, sulle sponde del Mare Rotondo e dell’Oceano Occidentale, oltre che nelle giungle e nei deserti di Alketch. La civiltà fiorì e portò ì suoi frutti: la Stregoneria, l’arte, la moneta, la cultura… la guerra… Le registrazioni di quell’epoca sono così misere, da risultare quasi inesistenti: ne rimangono solamente pochi frammenti, polvere di cronache, specialmente nella Biblioteca di Quo. E il ridicolo ricordo di una civiltà che raggiunse grandi altezze e ricchezza, e dove vi era sublime bellezza e saggezza insieme ad immonda decadenza, una società che si imparentò dapprima con la Stregoneria, poi con la Chiesa e con i grandi codici della legge civile.

«Sono del tutto certo» riprese Ingold dopo un istante di pausa, «che almeno un genere di tradizione esisteva allora riguardo ai Neri: in quella lingua esisteva un termine per indicarli. Sueg… Nero… Isueg… una forma arcaica rappresentata da una sola parola. Essi però dovevano essere solo vaghe ombre che si agitavano minacciose oltre i confini di leggende ancora più antiche: la paura sottile ed insidiosa di qualcosa di terribile… E, se mai ci fu una simile tradizione, nessuno la collegò a quella delle Scale. Così essi rimasero inastati negli abissi del tempo, un antico mistero seppellito nel cuore stesso della civilizzazione.

«Non abbiamo nessuna documentazione attendibile della distruzione dell’antico mondo; sappiamo solo che accadde in poche settimane. Sappiamo anche che cosa colpì quegli antichi uomini: una folgore distruttrice di puro orrore. Ma l’orrore e la confusione furono così violenti da non lasciare alcuna traccia, nessun documento. Dal momento poi che la difesa contro i Neri implica generalmente l’uso del fuoco come arma, abbiamo sicuramente perso quel poco che avremmo potuto conoscere della loro venuta. Sappiamo soltanto che vennero… ma non sappiamo perché.

«Incapace di volare,» la voce dello Stregone si era fatta stanca, «il genere umano fuggì e si rinchiuse nei Torrioni fortificati dietro le cui massicce mura venne condotta una misera esistenza: strisciare di giorno e lavorare i campi, nascondersi di sera non appena calava il sole… Per trecento anni il Caos assoluto e il terrore l’hanno fatta da padroni sulla Terra, perché non si sapeva nulla del momento o del luogo dal quale il Nero sarebbe tornato. La civiltà si sgretolò, e della sua grande luce, non rimasero altro che tizzoni fumanti.