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Questa cella sarebbe una vera e propria tortura per una famiglia, pensò Gil.

Le vennero spontanei alla mente l’immagine ed i suoni della casa natale di Rudy con tutti gli alterchi tra le sue donne… e sorrise pensando a quanti casi di fratricidio ci sarebbero stati negli anni a venire nel Torrione…

L’ombra del fuoco si agitò non appena Ingold si mosse per riporre il suo cristallo. Il Mago si sdraiò nell’angolo opposto della stanza avvolgendosi nel mantello quasi fosse una coperta. Gil si preparò a fare lo stesso chiedendogli, mentre si sdraiava:

«Sei riuscito a vedere il convoglio?»

«Si: si stanno organizzando per la notte con un doppio turno di sentinelle. Non vedo alcun segno del Buio. Il cristallo, tra l’altro, mi ha mostrato il Nido del Buio nella valle: è ancora chiuso.»

«È un buon segno, vero?» Gil si coprì con il mantello fissando le ombre sui muri creati dalle fiamme. La sua mente vagò seguendo i suoi pensieri circa il mondo racchiuso in quelle pareti e dalle spesse mura del Torrione. Oscurità, silenzio e segreti, segreti dimenticati perfino da Ingold, da Lohiro, Arcimago di tutti i Maghi del mondo. Quelle pareti spesse racchiudevano qualche segreto, ma questo era a sua volta rinchiuso nell’oscurità dei millenni…

Si girò su un fianco ed appoggiò la testa su un braccio.

«Sai,» disse a bassa voce, «questo luogo assomiglia molto a quello che hai descritto quando parlavi dei Nidi del Buio.»

Ingold aprì gli occhi.

«È molto simile», rispose.

«È per questo che siamo venuti qui? Per vivere come loro, per essere al sicuro dai loro attacchi?»

«Probabilmente…», assentì il Mago con voce assonnata. «Ma dovremo scoprire perché i Guerrieri del Buio vivono così. Tutto considerato però, qui siamo al sicuro, e ci rimarremo fino a che le porte staranno chiuse per la notte.» Si girò di nuovo. «Adesso dormi, Gil.»

Gil ammiccò fissando il fuoco che scoppiettava.

Se i Guerrieri del Buio riuscissero ad entrare nel Torrione, pensò, la nostra sicurezza si trasformerebbe in una trappola mortale. Tra quelle mura regnava un’oscurità eterna, simile alla notte al centro della Terra che nessun’alba poteva illuminare…

«Ingold…», sussurrò inquieta.

«Si?», rispose il Mago con la voce impastata dal sonno.

«Cos’è la Legge del Torrione di cui ha parlato il Capitano? Cosa aveva a che fare con la notte che avremmo trascorso qui?»

Ingold sospirò e girò la testa verso la ragazza mentre il fuoco morente creava strane ombre sul suo viso segnato.

«La legge del Torrione,» le disse, «impone come priorità fondamentale l’integrità della costruzione: al di sopra della vita, al di sopra dell’onore, al di sopra della sopravvivenza di qualunque persona cara. Tutto ciò che non richiede cure particolari, viene lasciato fuori delle porte. E quando queste sono chiuse — devono esserlo sempre — nessuno può entrare fino all’alba. Nei tempi antichi, la pena per l’apertura della porta durante la notte, cioè tra il tramonto e l’alba, era quella di essere incatenati ai due pilastri che sovrastavano la collina che fronteggia le porte dall’altro lato della valle, ed essere lasciati lì per una notte, in balia del Buio. Ora però dormi.»

Questa volta il Mago gettò un Incantesimo sulle sue parole, e la ragazza cadde addormentata all’improvviso: le parole di Ingold la seguirono nell’oscurità dei suoi sogni.

Il Buio era a caccia. Gil poteva sentirlo, riusciva a percepire i suoi spostamenti attraverso l’oscurità. Erano movimenti vaghi, indecifrabili, compiuti in quegli abissi insondabili che non venivano mai sfiorati dalla luce.

Intontita, ancora immersa nella nebbia grigia del sonno, Gil cercò di ricordare dove fosse… Il Torrione… il Torrione di Dare… Vide figure contorte e fluttuanti aggirarsi per i corridoi scuri e convergere sulla loro preda. Poteva sentire come quel male invisibile ed in agguato, fiutasse il pulsare caldo del sangue e percepisse attraverso le tenebre il bagliore emanato dalla sua preda, il centro di quel desiderio avido e odioso…

Non era la segretezza del Torrione a opprimerla, quanto il freddo, il vento, il rumore sordo dell’acqua tra i pilastri di pietra, il tocco gelido dell’aria al di sopra dei ruscelli. Un potere sconosciuto corrodeva la pietra mentre delle menti, altrettanto avide, osservavano una fila lunga quattro miglia di persone addormentate, ed intanto sorridevano, se sorriso quello si poteva chiamare, con una gioia senza suono.

Spalancò gli occhi, ed il viso le si imperlò di sudore al ricordo di quella vibrazione. Sussurrò: «Ingold…» quasi timorosa di parlare a voce più alta per paura che qualcosa potesse sentirla.

Il Mago era già sveglio. I suoi capelli erano arruffati dal sonno, ma gli occhi erano vigili come se stesse ascoltando qualcosa di estremamente distante. Una luce magica gli pendeva sul capo; il fuoco nella cella si era spento da molto tempo.

«Cosa c’è?», le chiese gentilmente. «Cosa hai sognato?»

Gil inalò un lungo sospiro alla ricerca di quelle sensazioni che l’avevano colpita così improvvisamente.

«Il Buio…»

«Lo so», le rispose Ingold. «Anch’io l’ho sentito. Cosa? E dove?»

La ragazza si alzò a sedere stringendosi il mantello sulle spalle alla ricerca di un po’ di calore.

«Non so dove fosse», disse con più calma. «C’era dell’acqua che scorreva, e pietra, pietra intagliata: sembravano pilastri. Strappavano pezzi di pietra dai pilastri e li gettavano nell’acqua e… e… ridevano. Essi sanno dov’è Tir!», aggiunse quindi con voce bassa e incalzante.

Il Mago le si avvicinò e le mise un braccio intorno alle spalle per confortarla, anche se il momento peggiore era passato.

«Anch’io lo so,» disse. «È con sua madre, a mezza giornata di cammino, sotto il ponte di pietra che attraversa la gola del Fiume della Freccia.»

Da qualche parte al di sopra dell’oscurità, il cielo avrebbe potuto essere più luminoso, con il chiarore del giorno che si annunciava. Ma, se così fosse stato, Rudy se ne sarebbe accorto. Il canyon attraverso il quale passava la strada era simile ad un tunnel buio e ventilato. L’odore del vento era forte, sapeva di terra, ed il suono era come quello del mare quando fischiava tra i picchi in alto, sopra la strada.

Rudy attraversò il campo che si andava svegliando. Si muoveva senza sosta, in preda ad un disagio inconscio, intrufolandosi tra gruppetti di gente ammucchiati intorno ai loro falò mattutini. Ritornò poi, quasi senza rendersene conto, verso i carri dai quali era uscito poco prima che suonasse il segnale della sveglia. Erano stati accesi dappertutto i fuochi, e quelle fiamme gettavano su tutto il campo un bagliore morbido che si rifletteva nell’aria bluastra del mattino.

Alde era sveglia e stava dando un po’ di pane inzuppato nel latte a Tir; la donna e il bambino se ne stavano al riparo dall’aria gelida dell’alba nel retro del carro. Dall’altro lato del falò, un gruppo di Guardie della Casa di Bes stava divorando una magra razione in silenzio. Più lontano, un’altra donna — una serva della Casa — stava dando ordini a due bambini, mentre ne nutriva un altro più piccolo di Tir; suo marito stava invece preparando il foraggio per i buoi senza dire una parola, immerso in un silenzio carico di amarezza.

In alto, gli stendardi si inclinavano come canne sotto le sferzate del vento. Rudy sorrise ad Alde appoggiandosi alle stanghe che sorreggevano il tetto del carro.