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Era pomeriggio inoltrato. Non aveva alcuna speranza di raggiungere la Gola della Freccia prima del convoglio. Non avrebbero quindi potuto avvisare la gente se i Guerrieri del Buio avevano già raggiunto il ponte.

Dopo qualche istante si riprese un poco e riuscì a liberare la borraccia che teneva legata alla cintura. Svitò il tappo e bevve un sorso di quel liquido che aveva il sapore di una limonata amara.

«Il Capitano del Torrione mi ha dato questo,» disse, passandola a Ingold.

Il Mago bevve.

«Sapevo che c’era una ragione fondamentale nello schema cosmico che giustificava la tua presenza in questo posto,» disse, e sorrise con la barba coperta di cristalli di ghiaccio. «Ora sono due le volte che mi hai salvato la vita.»

Tra le rocce sopra le loro teste il sibilo del vento era diventato ancora più forte. Pareva un urlo freddo e acuto, ed una raffica di vento penetrò nel rifugio. Gil si avvicinò al Mago.

«Quanto siamo lontani dalla Gola della Freccia?»

«Due o tre miglia. Potremmo anche vederla se la strada non fosse tortuosa. La cosa che mi preoccupa di più è che non li abbiamo ancora incontrati. Se avessero attraversato il ponte sani e salvi, sarebbero già qui.»

«La tempesta può aver rallentato la marcia del convoglio.»

«Probabilmente. Ma non sarà un grande problema fino al tramonto. Se si fermano ora, sarà un vero suicidio!»

«Non puoi fare niente per questa neve?», chiese improvvisamente la ragazza. «Non sei stato tu a dirmi che i Maghi hanno la capacità di chiamare o allontanare le tempeste?»

Ingold annuì.

«Lo possiamo fare», rispose. «Se vogliamo.»

Gil notò che aveva sostituito i vecchi guanti con degli spessi guantoni. Erano anche loro vecchi e logori, ma si vedeva chiaramente che erano di fattura elaborata, ed era ovvio che erano stati fatti per lui, su misura, da qualcuno che teneva molto alla sua sorte.

«Possiamo mandare tempeste dappertutto, o chiamarle quando ne abbiamo bisogno… tranne le tempeste di neve delle pianure che giungono senza preavviso e questa, in fondo,» indicò le raffiche turbinanti di neve, «somiglia più ad una brezza primaverile… Credo di aver detto a Rudy una volta, e forse l’ho detto anche a te, che i Guerrieri del Buio non amano attaccare durante le tempeste. Così, non facendo niente per la tempesta, scelgo il male minore.»

Si alzò e si avvolse il mantello più stretto intorno al collo, alzando il cappuccio per proteggersi il viso. Stava aiutando Gil a camminare, quando udirono il rumore sordo degli zoccoli sulla strada, ed il tintinnio delle briglie che echeggiava tra le crepe dei macigni e l’erba secca che fino a un attimo prima aveva attutito il passo sonoro della truppa.

Oltre le rocce Gil scorse la massa confusa dei profughi. In testa riconobbe un uomo alto e coperto di cicatrici che avanzava a cavallo con la testa china per la stanchezza. Scambiò un’occhiata veloce con Ingold, poi il Mago corse tra le rocce, verso la strada, gridando:

«Tirkenson! Tomec Tirkenson!»

L’uomo alzò il capo e si drizzò in sella alzando una mano per fermare i soldati.

Gil seguì Ingold sulla strada, affrettandosi. Il Capo di Gettlesand li sovrastava in quel crepuscolo plumbeo, e sembrava un capo brigante, grosso e scarno, alla testa dei suoi banditi. Guardando lungo la strada, Gil si accorse che quelli che lo seguivano, un gruppo di famiglie, una mandria enorme di mucche e pecore, ed una banda di figuri tozzi e laceri, erano appena un sesto del convoglio principale.

«Ingold!», li salutò Tirkenson. La sua voce era simile ad una lastra di pietra in una buca piena di ghiaia e non stonava affatto con il suo aspetto. «Ci stavamo chiedendo se saremmo riusciti a incontrarvi. Gil-Shalos…», la salutò abbassando il capo.

«Dove hai lasciato il resto del convoglio?»

Tirkenson grugnì rabbiosamente, ed i suoi occhi castani e luminosi si strinsero per la stizza.

«Dall’altra parte del ponte,» brontolò. «Si stanno preparando per accamparsi, quegli sciocchi!»

«Preparano il campo?», gridò Ingold sbigottito. «È una pazzia!»

«E chi ha detto che quella gente sia sana di mente?», grugnì Tomec. «Ho detto loro di lasciare i carri e le mercanzie. Potrebbero sempre tornare indietro a riprenderli…»

La voce di Ingold tornò calma.

«Cosa è successo?»

«Un inferno, Ingold.» Tirkenson si passò stancamente una mano tra i capelli e sul viso. «Cosa non è successo, dovevi chiedermi. Il ponte è crollato. I piloni principali: hanno ceduto sotto il peso dei carri di Alwir, ed hanno portato tutto con loro.»

«E la Regina?»

«No!», rispose l’uomo aggrottando le sopracciglia al pensiero. «Era a piedi e, per qualche ragione, si trovava alla testa del convoglio. Camminava con il Principe imbracato dietro le spalle come qualsiasi altra donna. Non so perché. Ma so che, se fosse stato su uno di quei carri, non si sarebbe salvata. Così Alwir ha iniziato le operazioni di salvataggio tirando su tutto quello che poteva dalla gola, e adesso sta costruendo dei pontoni da sistemare sul fiume. Il Vescovo poi ha detto che non abbandonerà i suoi carri, ed ora li stanno smontando per trasportarli a pezzi. La gente se ne sta divisa da una parte e dall’altra del fiume e continua a litigare sulla roba e gli animali che bisogna traghettare. Insomma hanno deciso di non muoversi durante la notte!»

«Ho cercato di dirgli che sarebbero morti per il freddo», continuò Tomec. «È questa è una cosa sicura come il ghiaccio del Nord. Ma quel Mago prediletto da Alwir, quell’idiota di Bektis, disse che poteva allontanare la tempesta e, dopo qualche istante, cominciarono a litigare anche Alwir e il Vescovo. Così nessuno si è più mosso.»

Tomec Tirkenson gesticolò disgustato e si appoggiò alla parte posteriore della stella.

Ingold e Gil si scambiarono un’occhiata veloce.

«Allora li hai lasciati?»

«Oh, diamine!», esclamò l’uomo. «Forse avrei dovuto rimanere. Ma Alwir tentò di requisire il carro grande del Vescovo, quello che trasportava le registrazioni della Chiesa, e sono certo di non aver mai assistito ad un simile alterco in vita mia. Govannin cercò di scomunicare Alwir, e il Cancelliere ha minacciato di metterla in catene. Sai quanto tenesse a quelle carte, Ingold. La gente si è schierata da una parte o dell’altra, e gli uomini di Alwir ed i Monaci Rossi erano sul punto di tirar fuori le spade. Ho gridato che erano dei pazzi: il campo non poteva essere diviso per questioni simili, soprattutto con una tempesta in arrivo, i Razziatori ed il Buio tutto intorno. Ma nessuno mi ha dato ascolto, ed allora ne ho avuto abbastanza. Ho preso la mia gente e tutti quelli che volevano venire con me, e me ne sono andato via. Forse non è stata la cosa migliore da fare, ma certamente sarebbe stato peggio trascorrere un’altra notte all’aperto. Ho immaginato che avremmo potuto raggiungere il Torrione prima di mezzanotte.»

Ingold guardò il cielo quasi riuscisse a superare il manto di nubi e potesse consultare un sole invisibile per scoprire che ora fosse. Le nuvole ora erano diventate di un marrone sporco, giallognolo, e l’odore della neve era inequivocabile.

«Penso che tu abbia fatto bene,» disse. «Ora andremo giù e cercherò di parlar loro per farli muovere. Dovrai lottare contro il tempo per raggiungere la valle ma, se puoi, convincili a tenere le porte aperte, e fai accendere dei falò su entrambi i lati. Metti tutti gli uomini disponibili a sorvegliarli. Con un po’ di fortuna, arriverai là stanotte!»

«Ne avrai più bisogno tu di fortuna», borbottò il Capo di Gettlesand. «Comunque ci rivedremo al Torrione.»

Quindi alzò di nuovo la mano, ed il suo gruppo si rimise in marcia come una grande bestia ferita che si trascini allo stremo delle forze. Tirkenson allentò le redini e si allontanò da Gil e Ingold incoraggiando il suo cavallo stanco. Si fermò un attimo e guardò indietro verso i due che rimanevano sulla strada battuta dal vento.