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«Un’altra cosa», aggiunse. «Solo perché tu lo sappia. Guardati dal Vescovo: va dicendo in giro che tu e Bektis siete legati al Diavolo… anche Alwir, ma non ha importanza… La sua parola ha un certo peso sul convoglio… Sai, dice che i Maghi barattano la loro anima per il Potere, e la gente ha paura. Vedono l’incapacità di Alwir di reagire, ma nessun potere di questo mondo potrebbe difendersi in queste condizioni. Così, se moriranno, almeno saranno convinti di farlo nel giusto, sacrificandosi per ciò in cui credono… Anche se la gente impaurita non riesce mai a combinare molto…»

«Neanche i Maghi, Tomec. Neanche i Maghi.» Ingold sorrise all’indirizzo del Comandante. «Grazie per il tuo avvertimento. Fai buon viaggio e che il cammino non ti sia faticoso.»

L’uomo si girò e se ne andò imprecando contro il suo cavallo e incitandolo a muoversi. Gil guardò gli speroni di Tomec e vide come erano affilati. Ma i fianchi del cavallo apparivano assolutamente integri. Capì in quell’istante che l’augurio rivolto da Ingold all’uomo e alla sua gente conteneva degli Incantesimi per allontanare gli incidenti, per far fronte alle circostanze avverse, e per aiutare il Capo di Gettlesand e quelli che erano sotto la sua protezione…

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Aveva iniziato a nevicare forte quando Gil e Ingold giunsero in vista del campo sulle rive del Fiume della Freccia. Nel grigiore incombente riuscirono ad intravedere le figure raggruppate intorno alle deboli fiamme dei falò, ed udirono il crocchiare cupo della paglia e degli zoccoli delle bestie. C’era un’attività frenetica sul margine della gola, ed un andirivieni continuo intorno ai tronconi spezzati del ponte.

Dall’altra parte della gola, lo spettacolo non era diverso. Diverse luci si muovevano qua e là, e le capre si lamentavano con belati che assomigliavano ad un lamento funebre. Da qualche parte, un bambino stava urlando.

Tra i due campi si stendeva la gola, un abisso a strapiombo nell’oscurità nel cui interno si poteva soltanto udire il gorgoglio minaccioso del torrente. Su ognuno dei margini spuntavano i tronconi spezzati di quello che era stato un ponte.

«Quanto è profonda la gola in questo punto?», chiese Gil socchiudendo gli occhi sotto l’incalzare di una raffica particolarmente violenta di neve ghiacciata.

«Circa quaranta piedi. È difficile scendere da questo lato per poi risalire, ma l’acqua non è molto profonda. Come puoi vedere, stanno traghettando la maggior parte dei carichi.» Ingold indicò tre uomini che guidavano un gruppo di maiali verso il convoglio. «Da quello che mi hai detto del tuo sogno, credo che il Buio abbia indebolito i pilastri principali del ponte così che questi non hanno retto sotto il peso dei carri. È stato un tentativo di strage. Ma, anche se è fallito, il Principe Tir si troverà lo stesso nei guai questa notte, là nella gola, tagliato fuori dalla maggior parte del convoglio, con un campo dove regna la più totale confusione. Sarebbe molto difficile per il Buio mancarlo.»

Appoggiandosi al bastone, il Mago iniziò a scendere il pendio.

Rudy li incontrò ai margini dell’accampamento.

«Cosa avete trovato?», chiese.

Mentre si avviavano nel buio verso la tenda di Alwir, Gil gli parlò della Valle del Buio, di Renweth, del Torrione, e di quello che aveva raccontato Tomec Tirkenson. Infine gli chiese:

«Perché Alde non era nel suo carro?»

«Le ho detto io di star fuori,» rispose Rudy. «Ho avuto il presentimento che questa notte quelle creature avrebbero tentato di fare qualcosa. Non ho mai pensato però che potessero esporsi alla luce del giorno. Eravamo a pochi passi dal ponte quando è crollato.»

«Credi ancora nelle coincidenze?», lo rimproverò Ingold. «Mi meraviglio di te!»

«Hai ragione», ammise Rudy. «Questa volta non posso darti torto.»

La tenda di Alwir era una delle poche rimaste. Piantata al riparo del vento sotto alcuni alberi, era illuminata, e dal suo interno si sentiva giungere la voce stridula di Govannin alla quale si aggiungeva quella smielata e leggera di Bektis.

«Il cuore della tempesta non ci ha ancora raggiunto…», stava dicendo in tono grave il Mago. «E non ci raggiungerà, perché io la allontanerò e la spingerò sulle montagne a nord finché non saremo arrivati al Torrione.»

«Allontanarla?», gridò Govannin. «Sei stato nel campo dall’altra parte del fiume, mio signor Mago? La gente è quasi seppellita dalla neve, e sta morendo dal freddo.»

«Non possiamo andar via stanotte,» si intromise Alwir, che aggiunse con malizia: «Abbiamo troppo pochi carri e cavalli per mantenere un buon ritmo di marcia. Saranno gli uomini a trasportare la roba sulla schiena e, se non ci libereremo delle cose inutili…»

«Inutili!» Il Vescovo quasi sputò. «Inutili per quelli che si sbarazzerebbero di tutto ciò che ha a che fare con i Sacramenti della Chiesa. Questa gente sarebbe capace di dimenticare perfino la propria esistenza!»

Alwir protestò con tono da martire.

«La Chiesa di Dio è qualcosa di più di un mucchio di carte ammuffite, mia Signora. Essa è profondamente radicata nel cuore degli uomini.»

«E nei cuori dei fedeli rimarrà per sempre!», replicò seccamente il Vescovo. «Ma la memoria non risiede nel cuore, né nella legge. Uomini e donne hanno lottato e sono morti per acquisire questi diritti alla Chiesa, e il frutto del loro sacrificio — quelle registrazioni — è conservato in quei carri. Non li abbandonerò nella neve seguendo il consiglio di un seguace del Re bambino!»

Ingold scostò la pesante chiusura della tenda. Il volto di Alwir, quando lo vide, si trasformò in una maschera d’argento, con la linea pallida della bocca che sembrava acciaio. Il Cancelliere vacillò e, nell’alzarsi di scatto, sfiorò con il capo la base della lampada che pendeva al centro della tenda, sovrastando la figura del Vescovo accanto alla quale era seduto poco prima. Per un momento sembrò che le stesse cadendo addosso, ma la donna si limitò ad alzare lo sguardo verso di lui. I suoi occhi neri, senza luce come quelli di uno squalo, sembravano quasi sfidarlo.

«Mio Signore Alwir!» La voce di Ingold, aspra ed inconfondibile, giunse a spezzare quella tensione che si era fatta quasi palpabile. Entrambi si girarono, e il Mago chinò rispettosamente il capo. «Mia Signora Vescovo…», completò cerimoniosamente il suo saluto.

La donna si rilassò lasciando che il suo corpo si adagiasse contro lo schienale della sedia. Alwir invece appoggiò una mano al fianco.

«Così hai deciso di ritornare…», disse.

«Perché avete piantato il campo?», chiese Ingold.

«Mio caro Ingold…», il Cancelliere si calmò. «Come puoi vedere, si è fatto buio.»

«Questo è proprio quello che mi preoccupa,» replicò Ingold aspramente. «Avreste dovuto proseguire e raggiungere il Torrione questa notte, oppure attraversare il fiume e unirvi al convoglio principale. Isolati su questo lato del torrente, non siete niente altro che una preda appetibile!»

Pazientemente, Alwir rispose.

«Abbiamo costruito, come avrai visto, un ponte provvisorio attraverso il quale stiamo trasportando il resto del convoglio. Ci sono Guardie a sufficienza per affrontare qualsiasi eventualità durante la notte…»

«Pensi che le Guardie possano rappresentare qualche difficoltà per il Buio? Non ne ha avute con solide porte di quercia… e nemmeno con i piloni di pietra del ponte.»

«Il Buio non ha niente a che fare con quanto è successo!», esclamò Alwir, irritato.

«Pensi davvero di no?»

Le lunghe dita di Bektis non avevano smesso un attimo di giocherellare con un grande solitario ad occhio di gatto che portava alla mano sinistra.

«Non puoi pretendere che tutti credano ciecamente alle tue parole», interloquì con il suo solito fare vanesio. «Non sei l’unico Mago del convoglio mio caro Ingold, ed anch’io ho fatto uso dei miei poteri per controllare la zona al di là delle montagne. L’unico Nido che c’è tra queste cime è stato chiuso molti anni fa, e anche tu sai che non abbiamo sentito la presenza del Male da quando abbiamo raggiunto le quote più alte.»