«Poi,» Ingold spalancò le mani mostrandole vuote come fa un prestigiatore, «il Nero non venne più! Se questo avvenne gradualmente o d’improvviso, non è dato saperlo perché, a quel tempo, soltanto poche persone erano abbastanza colte per tenere delle registrazioni precise. Dapprima piccoli villaggi sorsero al di fuori delle mura dei castelli, poi ne apparvero di nuovi sulle rovine delle antiche città i cui nomi sono stati dimenticati con il passare degli anni. Ci furono guerre, cambiamenti, e tutto questo avvenne in un lungo lasso di tempo. Le vecchie storie e le canzoni via via furono dimenticate, e la tradizione sbiadì…»
«Tremila anni sono lunghi Gil. Tu, che sei una studiosa di storia, sapresti dirmi esattamente cosa avvenne tremila anni fa?»
Gil rimase un attimo ad inseguire con la memoria quello che sapeva delle antiche civiltà. Maratona? Stonehenge? Le invasioni dell’Egitto da parte degli Hyksos?…
In quanto esperta del Medioevo, aveva solamente una pallida idea di ciò che era avvenuto prima di Costantino. Cosa sembreranno queste cose ad uno come Joe Doakes — pensò tra sé — che non è mai stato all’Università e che, tra l’altro, detesta la storia? Persino un avvenimento tragico e spaventoso come la Peste, che aveva pesantemente e violentemente inciso sulla civiltà occidentale, era soltanto un nome per l’otto per cento della popolazione… e si trattava di cose avvenute appena seicento anni prima…
Ingold annuì. Aveva raggiunto il suo scopo.
Gil si chiese come avesse fatto a sapere che si occupava di storia, ma lo Stregone riprese a parlare senza lasciarle il tempo di continuare a pensare.
«Per anni sono stato l’unico a sapere tutto, persino qualcosa dei racconti più antichi che trattano dei Neri… Sono così venuto a conoscenza del fatto che i Neri non erano completamente svaniti. Anzi non erano nemmeno diminuiti di numero. Ho sentito anche cose che mi hanno indotto a credere nel loro ritorno. Il padre di Eldor mi mandò in esilio per averne parlato: pensai che fosse di strette vedute perché l’allontanare me non avrebbe certo allontanato il pericolo, ma forse pensò che io stessi mentendo per qualche mio tornaconto personale. Eldor invece mi credette. Senza i suoi preparativi, credo che saremmo stati di certo spazzati via la prima notte della loro ricomparsa!»
«Ed ora?», chiese Gil a bassa voce.
«Ora?» I segni della stanchezza erano pesantemente incisi sul volto dello Stregone adesso che la notte stava finendo. «Non possiamo fare altro che resistere nel Palazzo di Gae. Il nucleo principale dell’esercito, sotto il comando del Cancelliere del Regno, Alwir, il fratello della Regina, è stato mandato a Penambra, dove le incursioni hanno sortito gli effetti peggiori. Di sicuro essi ritorneranno in città tra pochi giorni ma, a meno di un miracolo, sarà troppo tardi per impedire una catastrofe. Ho cercato invano di mettermi in contatto con il Consiglio degli Stregoni nella Città Nascosta di Quo, ma temo che anche loro adesso siano sotto assedio. Si sono ritirati dietro le difese del Potere e dell’Illusione ma, anche se spero ancora che riescano a resistere abbastanza a lungo da permettere a Lohiro di inviarci qualche aiuto, non vorrei che questa speranza possa mettere a repentaglio la vita dei miei amici. I difensori del Palazzo adesso hanno bisogno di me, Gil, ed anche se non posso fare molto, non tralascerò nulla d’intentato pur di salvarli. E qui intervieni tu: per questo ho bisogno del tuo aiuto!»
La ragazza lo guardò senza capire.
«Cercando di ritardare la catastrofe, potrò fare a meno di fuggire,» continuò Ingold col suo tono pacato, «ma ho bisogno di allontanare il figlio di Eldor dal mondo da cui provengo, ed è mio dovere portarlo in un luogo sicuro lontano dagli artigli del Buio, il che posso fare solo trasportandolo attraverso il Vuoto. Io però posso transitare con una relativa facilità mentre, di norma, il passaggio provoca un trauma fisico piuttosto pesante in un adulto. Per un bambino di sei mesi, anche se sotto la mia protezione, potrebbe essere estremamente dannoso dover andare avanti e indietro nello stesso giorno. Dovrò fermarmi per un poco nel tuo mondo, prima di poter tornare ancora in un luogo più sicuro del mio, insieme a lui.»
Fuori della finestra cominciarono ad apparire le prime luci dell’alba.
Gil sorrise.
«Tu hai bisogno di un posto dove rifugiarti!»
«Certo. Ho bisogno però di un posto isolato e senza troppe comodità, un posto dove trascorrere il tempo necessario in tranquillità. Ne conosci uno?»
«Potresti venire qui», propose Gil.
«No», disse Ingold scuotendo decisamente il capo.
«Perché?»
Lo Stregone esitò prima di rispondere.
«È troppo pericoloso,» si lasciò sfuggire alla fine. Si alzò dalla sedia e si diresse verso il rettangolo chiaro della finestra spingendo di lato la tenda e guardando giù nel cortile del palazzo. Il riflesso verde delle luci sull’acqua della piscina si rispecchiò sul suo volto e sui segni delle tante battaglie affrontate dallo Stregone. «Troppe cose potrebbero accadere, e non ho molta fiducia nel destino, Gil. I miei poteri sono molto limitati nel tuo mondo; se qualcosa non dovesse andare per il verso giusto, non ho nessuna voglia di dover spiegare la mia presenza e quella del bambino alle autorità locali…»
Gil si fece immediatamente un quadro mentale di Ingold, vestito come un barbuto giocatore di qualche gioco di ruolo con la sua spada al fianco dinanzi a qualche panciuto poliziotto o, peggio, circondato da una pattuglia della Polizia Stradale. No, non era possibile rischiare un incontro del genere. Non adesso, e con quella posta in gioco!
«C’è un luogo dove si va di solito per cavalcare,» disse, dopo un attimo di riflessione.
«Si?»
Ingold tornò indietro dalla finestra lasciando ricadere la tenda dietro di sé.
«Una ragazza con la quale andavo a scuola vive vicino a Barstow: è nel deserto, nell’Est. Ho trascorso un paio di settimane là non più di due estati orsono. Aveva qualche cavallo, e di solito cavalcavamo sulle colline nei dintorni. Ricordo che tra gli aranceti su una delle colline c’era una piccola capanna. Ci riparammo lì un pomeriggio durante una tempesta. Non era granché, ma c’era acqua corrente ed una stufa a kerosene. Però è isolata come hai chiesto.»
Ingold annuì.
«Si», mormorò tra sé. «Si: dovrebbe andare.»
«Io posso occuparmi del cibo e delle coperte», continuò la ragazza. «Dimmi soltanto quando ci andrai.»
«Non lo so ancora», rispose lo Stregone. «Ma farò in modo che tu lo sappia al momento opportuno.»
«Va bene.»
Sebbene fosse di solito piuttosto sospettosa, Gil non provò alcun desiderio di fargli altre domande, ma non si sentì sorpresa. Provava un istintivo senso di fiducia nei confronti dello Stregone, neanche lo conoscesse da molti anni. Ingold allungò una mano attraverso il tavolo ed afferrò la sua.
«Grazie!», disse. «Tu sei una straniera per il mio mondo, e non ci devi niente. È gentile da parte tua aiutarci!»
«Ehi!», protestò Gil. «Non devi pensare a me come una straniera. Io il tuo mondo l’ho visto, e ho visto anche il Buio! Ho anche quasi incontrato Re Eldor!»
Si fermò confusa: ricordò di colpo, provandone vergogna, l’amicizia che legava lo Stregone al Re, e c’erano fin troppe possibilità che quest’ultimo morisse nel giro di una settimana.
Ingold non diede nessun peso alle sue parole, pur accorgendosi del rossore che copriva le guance di Gil.