«So che Eldor sarebbe contento di fare la tua conoscenza, e poi tu avrai sempre la sua gratitudine e la mia per…»
Un rumore proveniente dagli ultimi scampoli di buio lo fece trasalire, e si zittì alzando la testa per ascoltare.
«Chi è?», sussurrò Gil.
Ingold si girò a guardarla.
«Temo di dover andare,» disse gentilmente. La sua voce era sempre stata tranquilla, e raramente ne era trasparsa una qualsiasi preoccupazione. Avrebbe potuto, con lo stesso tono, fare le sue scuse a causa di un precedente impegno per il té con la Regina di Numenor? Gil però sapeva che qualcosa stava accadendo aldilà del Vuoto, nel palazzo fortificato di Gae.
Lo Stregone si alzò per andarsene, e la sua spada ruppe la linea dritta del mantello. Gil non poté impedirsi di pensare al pericolo in agguato dall’altra parte del Vuoto, e lo afferrò per un braccio. Con una voce più sottile e commossa di quanto volesse, gli sussurrò:
«Stai attento…»
Il sorriso di risposta di Ingold fu luminoso come il sole.
«Grazie mia cara, puoi stare tranquilla: sono abituato da sempre a farlo…»
Poi fece pochi passi verso il centro della cucina ed alzò le mani come per scostare una tenda. Fatto ciò, sguainò la spada, e Gil scorse una luce fredda infiammare la lama, mentre lo Stregone si dileguava nella nebbia e nel fuoco dei labirinti dell’Universo.
CAPITOLO SECONDO
Era quella stramaledettissima pompa della benzina!
Rudy Solis capì immediatamente quale fosse l’ennesimo guaio del motore della vecchia Chevy. Controllò lo specchietto retrovisore e poi fissò di nuovo lo sguardo nell’oscurità, lungo la linea dello spartitraffico che sembrava perdersi in lontananza; non c’era niente da fare però: nel raggio di cinquanta miglia, non c’era niente che somigliasse ad una luce!
Con tutta la California del Sud a disposizione, la cosa migliore che era riuscito a fare era stata quella di scegliere quella strada, sperduta in quello sperduto deserto tra Barstow e San Bernardino, per rendere l’anima a Dio in quella notte domenicale deserta e silenziosa…
Rudy si chiese se sarebbe mai riuscito a farcela a tornare alla festa. Avrebbero certo rimpianto in molti la sua assenza, pensò tra sé, gettando un’occhiata al di sopra della spalla destra verso le dieci casse di birra accatastate tra macchie di schiuma, vecchi giornali ed articoli di abbigliamento ormai non più identificabili ammucchiati sopra al sedile posteriore.
Il motore tossì e scoppiettò. Rudy maledisse il proprietario di quel catorcio, una stella nascente del rock, alla cui festa aveva bevuto ed oziato allegramente per tutto il fine settimana, nonché gli amici che gli avevano affidato il compito di andare a prendere la birra trenta miglia più in basso, a Barstow. Non furono maledizioni veramente sentite, ma picchiò con forza il pugno sul volante ed imprecò con se stesso per quella sua decisione di andare.
Bene, gli serva di lezione! La prossima volta che mandano qualcuno a comprare birra, ci penseranno due volte prima di dargli una macchina come questa!
Purtroppo, la maggior parte degli invitati alla festa di Tarot era arrivata in motocicletta, come aveva fatto anche Rudy. E Tarot — il suo vero nome era James Carrow ed era noto come Jim quando non vestiva gli abiti da palcoscenico — non era abituato a prestare la sua Eldorado, non importa quante casse di birra fossero rimaste.
Okay! Vada all’inferno anche lui!
Rudy sì scostò i lunghi capelli dagli occhi e diede una occhiata alla monotona oscurità che scorreva nello specchietto retrovisore. Ormai tutti quelli che si erano rintanati in quel nascondiglio da centomila dollari tra i canyons dovevano essere talmente ubriachi da non accorgersi se mancavano o meno dieci casse di birra. Se le cose fossero peggiorate — e sembrava che ormai fosse inevitabile considerato il rumore di ferraglia che proveniva dal motore — avrebbe sempre potuto trovarsi un buco tra le colline dove ripararsi fino al mattino per poi cercare un passaggio che lo portasse al telefono più vicino. Stando a quello che poteva ricordare, a circa dieci miglia doveva esserci una strada secondaria che lo avrebbe condotto sino ad una baracca diroccata nascosta tra quello che rimaneva di un antico aranceto. Insonnolito e stanco, Rudy nemmeno pensò a fare qualcosa per il vecchio motore quella notte, né si sentiva attratto dal pensiero di dormire per strada.
Bevve quindi un lungo sorso dalla bottiglia di vino mezza vuota che teneva poggiata sul sedile accanto a sé e continuò a guidare.
Guidava da molto tempo e da molto tempo aveva avuto a che fare — non sempre legalmente — con i motori, ma gli ci volle tutta la sua esperienza per riuscire a far andare avanti la cadente Chevy dalla tabella indicatrice luminosa fino alla strada secondaria battuta dai camion.
Lo scoppiettio e gli strattoni che venivano dagli otto cilindri consunti della macchina mentre si inerpicava tra pendii ghiaiosi ed ì letti di ruscelli scavati dall’acqua, gli fecero chiedere se si trattasse soltanto di qualche pezzo rotto. Desiderò all’improvviso di aver già finito quella salita per fermarsi a controllare — sebbene non avesse nulla con sé per illuminare, neanche una torcia tascabile — ma era sempre più convinto che niente di meno di una revisione totale avrebbe fatto ripartire quella stupida macchina.
Il debole bagliore dei fari fece risaltare i punti di riferimento che aveva ben fissi in testa fin dai tempi in cui percorreva quella strada in motocicletta: una quercia che si contorceva con l’aspetto di un monaco che sembrava disapprovasse vivacemente le coppiette che usavano fermarsi lì, ed una roccia, simile ad un bufalo dormiente, che si stagliava nettamente contro lo sfondo del cielo stellato.
L’hobby della caccia con arco e frecce aveva consentito a Rudy di familiarizzarsi con quasi tutta la solitaria campagna della California del Sud: una conoscenza casuale, ma reale come quel maledetto motore che lo aveva condotto nell’ombra densa delle colline.
Era sorprendente quanto fosse silenziosa quella notte. Di solito, il mondo intorno, al calar del sole, si popolava di migliaia di rumori. Anche lontano dalla folla di una città si potevano udire areoplani, macchine, l’eco della civiltà lontana. Adesso invece udiva solamente il picchiettare del metallo della carrozzeria, ed il fruscio del vento attraverso l’erba secca. Finalmente gli occhi di Rudy, sforzandosi nel pallido chiarore delle stelle, riuscirono a distinguere il profilo della baracca tra l’erba, ed un mucchio disordinato di alberi contorti.
Scese, e il rumore dei suoi passi gli sembrò assordante in quella oscurità. Camminò lentamente, quasi vacillando, e portò con sé una confezione da dodici lattine di birra e la bottiglia di moscato che gli aveva tenuto compagnia durante il viaggio. La testa cominciava a dolergli.
Proprio ciò di cui ho bisogno: una pompa della benzina rotta ed un mal di testa da sbornia. Gli altri probabilmente penseranno che mi sia preso i soldi della birra e me la sia filata in Messico.
Si avvicinò alla baracca che si ergeva solitaria nel buio delle colline. L’erba alta intorno alle pareti nascondeva i resti fossilizzati dell’attrezzatura, ormai arrugginita, della fattoria. Le tegole logore del tetto avevano ceduto sotto il peso di una quantità incredibile di foglie marce.
Salì l’instabile scala frontale ed appoggiò le lattine di birra sulle assi della stretta veranda. L’aria fresca della notte profumata lo fece tremare quando si tolse la giacca di cotone unta e bisunta: se l’avvolse intorno ad una mano e, con il suo aiuto, riuscì ad infrangere con un pugno un vetro della finestra accanto alla porta.
Entrò: sorprendentemente, la luce si accendeva. Rudy diede uno sguardo veloce alla squallida cucina. Il lavandino funzionava, ma faceva scorrere solamente acqua fredda. Bene, pensò il giovane, non si può avere tutto… Nella credenza sotto il lavandino trovò tre scatole di maiale e fagioli — i prezzi stampati sopra risalivano ad almeno quattro anni prima — ed una stufa a kerosene con mezza lattina di combustibile.