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«Perché stai dicendo un mucchio di idiozie! Io non sono una spia! Sono…».

Il taglio della mano del sergente Drayl scese su Ewing, nel punto in cui il collo si unisce alle spalle. Lui vacillò, ma non perse il controllo di sé. La sua clavicola cominciò a pulsare.

«A me e alla signorina Clork», riprese Firnik, «hai raccontato che lo scopo del tuo viaggio è chiedere aiuto ai terrestri contro la fantomatica invasione di creature non umane provenienti da oltre i confini della galassia. È una storia così palesemente falsa che tu e il tuo pianeta fate una figura pietosa».

«Si dà il caso che sia vera», disse Ewing, debolmente.

Firnik fece una smorfia. «Vera? Quest’invasione non esiste!».

«Ho visto foto di Barnholt…».

La tempesta di pugni che seguì lo fece quasi svenire. Si costrinse a restare in stato di conoscenza, ma il dolore gli offuscava la mente. Una nube rossa volteggiava attorno alla sua testa.

«Tu costituisci una minaccia gravissima per la sicurezza di Sirio IV e della Terra», tuonò Firnik. «Dobbiamo strapparti la verità, per prepararci ad agire di conseguenza».

Vi ho già detto la verità, rispose mentalmente Ewing, ma non lo disse. Sarebbe stato un invito per i pugni del sergente.

«Non ci mancano certo i mezzi per condurre un interrogatorio», proseguì Firnik. «Sfortunatamente, molti dei nostri metodi richiedono la demolizione quasi completa della personalità. E noi non siamo ansiosi di distruggerti. Ci saresti più utile nel pieno possesso delle tue facoltà mentali».

Ewing lo fissò con aria assente; poi guardò Byra, immobile e silenziosa a fianco di Firnik.

«Cosa volete che vi dica?», chiese.

«Vogliamo i particolari dei piani di Corwin. Informazioni esatte sulla sostanza del tuo incontro col governatore generale Mellis. Informazioni sulle possibili intenzioni ostili di altre colonie».

«Vi ho già detto tutto ciò che posso dire», ribatté Ewing. «Se mi spingessi oltre, racconterei solo bugie».

Firnik scrollò le spalle. «Abbiamo tempo. L’interrogatorio procederà in questo modo finché non ci darai qualche risposta, o finché non ci accorgeremo che le tue difese sono troppo forti. Dopo di che…» Indicò le macchine ammassate negli angoli della stanza. «… Si renderanno necessari altri metodi».

Ewing uscì in un sorriso, nonostante il dolore e l’intorpidimento delle labbra. Per un attimo pensò a sua moglie Laira, a suo figlio Blade, a tutta la gente di Corwin che aspettava fiduciosa il suo ritorno, le buone notizie che avrebbe portato. Ma non lo attendeva un ritorno trionfale con la scorta degli aiuti terrestri; ora aveva davanti violenza, tortura, forse morte per mano dei siriani che rifiutavano di credere la verità.

Be’, scopriranno in fretta qual è la verità, pensò amaramente. Quando i normali metodi si saranno dimostrati inutili, quando cominceranno a usare la sonda cerebrale e il bruciacervello e tutte le altre macchine meravigliose che mi attendono. Rivolteranno la mia mente, metteranno allo scoperto le cose sepolte più in fondo, e scopriranno che ho detto la verità.

Allora, forse, avrebbero cominciato a preoccuparsi dei Klodni. A Ewing non importava. Che lui tornasse o no, Corwin sarebbe stato spazzato via dagli alieni, e forse era meglio morire subito anziché vivere per vedere la distruzione del suo pianeta.

Scrutò il viso freddo, robusto del siriano con qualcosa che era compassione. «Forza», gli disse dolcemente. «Cominciate l’interrogatorio. Vi aspetta una sorpresa».

8

Trascorsero una serie indecifrabile di minuti, ore, forse giorni infiniti. Assieme al portafoglio e ad altri oggetti personali, gli avevano preso l’orologio, per cui non aveva modo di percepire il passare del tempo. Dopo le prime ore, la cosa non ebbe più nessuna importanza.

L’interrogatorio proseguì senza interruzioni. Di solito era Firnik che, chino su di lui, lo spronava a confessare, mentre Drayl e Thirsk gli stavano di fianco e di tanto in tanto lo picchiavano. A volte era Byra a interrogarlo, con una voce piatta, metallica, che poteva benissimo appartenere a un robot.

La sua resistenza s’indebolì. Le risposte diventarono mormorii sfibrati, e quando si facevano troppo incoerenti gli gettavano acqua fredda in faccia per farlo riprendere.

Anche i suoi torturatori mostravano segni di stanchezza. Gli occhi di Firnik erano rossi di fatica; a tratti la voce gli diventava roca, affannata. Allora implorava Ewing, lo scongiurava di finirla con la testardaggine, di dargli le informazioni che voleva.

A un certo punto, quando Ewing sussurrò per la milionesima volta: «Vi ho sempre detto la verità», Byra lanciò un’occhiata decisa a Firnik e disse: «Forse è sincero. Forse stiamo commettendo uno sbaglio. Per quanto tempo possiamo continuare così?».

«Chiudi il becco!», urlò Firnik. Poi si girò verso la ragazza e la scaraventò a terra con un sonoro ceffone. Un attimo dopo, ignorando Ewing, si chinò a raccoglierla e a chiedere scusa sottovoce. «Bisognerà usare la sonda cerebrale», disse. «Così non arriviamo a niente».

Ewing si accorse vagamente che trascinavano qualcosa sul pavimento, verso il suo letto. Non alzò gli occhi. Sentì Byra che diceva: «Quando la sonda sarà penetrata nella sua mente, di lui non resterà nulla».

«Non posso farci niente, Byra. Dobbiamo sapere. Drayl, sei pronto a erogare corrente?».

«Si».

«Allora abbassa il casco e collega gli elettrodi».

Ewing aprì gli occhi. Accanto al letto c’era un’apparecchiatura complicata che lo fissava con un’infinità di interruttori e quadri di controllo. Un casco di rame pendeva da un braccio metallico collegato alla macchina. Il sergente Drayl stava spostando il casco verso di lui, lo abbassava sulla sua testa. I morsetti all’interno del casco aderirono dolcemente al suo cranio.

Si accorse che gli attaccavano ai polsi oggetti metallici. Restò assolutamente immobile. Non provava paura; anzi, sentiva un vago senso di sollievo all’idea che l’interrogatorio stesse finalmente per terminare.

«È pronta per entrare in funzione, signore», disse la voce di Drayl.

«Benissimo». Firnik sembrava un po’ teso. «Ewing, mi senti?».

«Sì», rispose lui, dopo un momento di silenzio.

«Bene. Ti offro l’ultima possibilità. Come mai il mondo libero di Corwin ha deciso di mandarti sulla Terra?».

«A causa dei Klodni», rispose debolmente Ewing. «Sono giunti da Andromeda e…».

Firnik lo interruppe. «Basta! Metto in funzione la sonda».

Sotto il casco, Ewing si rilassò, in attesa della forza che avrebbe obnubilato il suo cervello. Trascorse un secondo, un altro. È questo quello che si prova?, si chiese torpidamente.

Poi udì la voce di Firnik, improvvisamente allarmata: «Chi sei? Come hai fatto a entrare qui?».

«Non stare a pensarci». Era una voce strana, decisa, imperiosa. «Via da quella macchina, Firnik. Ho uno storditore, e non vedo l’ora di usarlo su di te. Forza, contro il muro. Anche tu, Byra. Drayl, toglili le manette e levagli quel casco».