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Ewing scrollò le spalle. «Tenteremo. Però hanno già assoggettato i primi quattro mondi che hanno attaccato, e due di questi pianeti erano molto più forti del nostro. Non abbiamo grandi speranze di vincere. Ma tenteremo».

Myreck disse, triste: «Ci chiedevamo se non ci fosse possibile lasciare la Terra ed emigrare su! vostro mondo. Ma se state per essere distrutti…». La sua voce svanì nel nulla.

«Emigrare su Corwin? E perché mai?».

«Tra poco saranno i siriani ad avere il potere qui. Ci metteranno a lavorare per loro, oppure ci uccideranno. Finché restiamo in questo edificio siamo al sicuro, ma ogni tanto dobbiamo uscire».

«Siete padroni del tempo. Potreste nascondervi nel passato per sfuggire alla percuzione siriana».

Myreck scosse la testa. «Si creerebbero paradossi, moltiplicazioni di personalità. Temiamo queste cose, esitiamo all’idea di vederle accadere».

Ewing fece una smorfia. «Certi rischi è necessario correrli. La cautela va bene solo quando non è spinta all’eccesso».

«Speravamo», disse un terrestre dagli occhi sognanti seduto in un angolo, «che lei potesse portarci con sé su Corwin. Magari sulla sua nave».

«La mia nave può ospitare un solo uomo».

La loro delusione era evidente. «In questo caso, non potrebbe mandare un’astronave più grande a prenderci? Noi non ne abbiamo più, capisce. La Terra ha smesso di costruire astronavi due secoli fa, e poco per volta quasi tutte quelle che ci restavano sono state vendute o sono diventate inutilizzabili. Ormai i siriani controllano le industrie terrestri e non ci permettono di avere astronavi. La galassia che un tempo dominavamo ci è preclusa».

Ewing desiderava poter aiutare in qualche modo quei sognatori inutili e dolci. Ma non trovava nessuna soluzione. «Purtroppo Corwin ha pochissime navi», disse. «Quelle in grado di affrontare un viaggio interstellare con un buon numero di passeggeri sono meno di una dozzina. E senz’altro tutte le astronavi che possediamo saranno requisite dall’esercito per l’imminente guerra contro i Klodni. Non vedo proprio cosa si potrebbe fare. D’altronde», aggiunse, «se anche ripartissi domani dalla Terra, mi occorrerebbe quasi un anno per tornare su Corwin. E ci vorrebbe un altro anno ancora per venirvi a riprendere qui. Credete di poter resistere per due anni ai siriani?».

«Forse», rispose Myreck, ma la sua voce era carica di dubbi. Ci fu un attimo di silenzio. Poi l’Accademico disse: «Vorrei chiarire che siamo pronti a pagare il viaggio. Non in denaro, temo, ma in conoscenze. Forse noi possediamo alcune tecniche scientifiche che il suo mondo ancora non conosce. In questo caso, la nostra emigrazione vi sarebbe piuttosto utile».

Ewing meditò sulla proposta. Indubbiamente i terrestri avevano molto da offrire, in primo luogo la macchina del tempo. Ma non gli era difficile immaginare cosa sarebbe successo su Corwin se avesse cercato di convincere il Consiglio ad approvare l’uso di una grande nave interstellare per raccogliere sulla Terra un gruppo di scienziati che non erano riusciti ad aiutarli. Non avrebbero mai accettato. Se solo quegli ometti avessero posseduto una super-arma…

Ma, ovviamente, con una super-arma non avrebbero avuto nessun bisogno di fuggire davanti ai siriani. Era un circolo chiuso che non offriva speranze.

Si inumidì le labbra. «Forse potrei trovare una soluzione», disse. «Non è detto che la vostra causa sia già persa. Ma adesso…».

Gli occhi di Myreck si accesero. «Sì?».

«La vostra macchina del tempo ha suscitato in me una curiosità estrema. Sarebbe possibile vederla?».

Myreck scambiò quella che sembrava un’occhiata dubbiosa con parecchi dei suoi colleghi. Dopo un istante d’esitazione, riportò gli occhi su Ewing e rispose, con voce leggermente scossa: «Non vedo perché non dovremmo mostrargliela».

Non si fidano completamente di me, pensò. Hanno ancora un po’ paura davanti al colono aggressivo, forte. Be’, non posso biasimarli.

Myreck si alzò, fece cenno a Ewing di seguirlo. «Per di qui. Il laboratorio è al piano sotto».

Ewing s’incamminò, accompagnato dal corteo di tutti gli altri terrestri. Scesero una scala a chiocciola, arrivarono in una stanza luminosissima. Sembrava che la luce uscisse da ogni molecola delle pareti e del pavimento. Al centro della stanza torreggiava una macchina imponente, vagamente a forma di spirale, con un enorme pendolo sospeso al centro. Su un fianco si alzava una piattaforma. Disseminati per la stanza, contatori vari e altri tipi sconosciuti di apparecchiature scientifiche.

«Questa non è la macchina principale», disse Myreck. «Nel piano più basso dell’edificio si trova il grande generatore che ci tiene fuori fase temporale rispetto al mondo esterno. Potrei mostrarglielo, ma questa macchina è infinitamente più interessante».

«Cosa fa?».

«Opera spostamenti temporali diretti su piccola scala. La teoria che sta alla base del suo funzionamento è complessa, ma l’idea-cardine è straordinariamente semplice. Vede…».

«Un attimo», lo interruppe Ewing. Lo aveva colpito un’idea improvvisa, con un impatto quasi fisico. «Mi dica, questa macchina potrebbe mandare una persona nel Passato Assoluto più recente, vero?».

Myreck inarcò le sopracciglia. «Certo, sì. Sì. Ma non potremmo mai correre il rischio di…».

Ewing, di nuovo, non lasciò che il terrestre terminasse la frase. «Lo trovo molto interessante», disse. Si inumidì le labbra, improvvisamente secche. «Secondo lei, in teoria è possibile inviare diciamo… me… indietro nel tempo fino a… oh, grosso modo fino a secondodì pomeriggio di questa settimana?».

«È possibile, sì», ammise Myreck.

Un battito enorme cominciò a pulsare nel cranio di Ewing. Si sentiva intirizzito, gli tremavano le dita. Ma ricacciò indietro il senso di paura. Ovviamente, il balzo era già stato fatto una volta, e con pieno successo. Lui lo avrebbe ripetuto.

«Benissimo, allora. Le chiedo una dimostrazione pratica della macchina. Mi rimandi a secondodì pomeriggio».

«Ma…».

«Insisto», lo zittì Ewing, deciso. Adesso sapeva chi era l’uomo mascherato che lo aveva salvato.

10

Un’espressione di orrore totale nacque sul viso pallido di Myreck. Le sue labbra sottili si mossero per un attimo senza emettere suoni. Alla fine riuscì a dire, in un sussurro roco: «Non vorrà farlo sul serio? Si verrebbe a creare un raddoppiamento del continuum. Esisterebbero contemporaneamente due Baird Ewing! E…».

«È una cosa che comporta rischi?», chiese Ewing.

Myreck era perplesso. «Non lo sappiamo. Non è mai stato fatto. Non abbiamo mai osato. Le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. Potrebbe esplodere l’intera galassia, per quello che ne sappiamo».

«Correrò il rischio», disse Ewing. Sapeva che la prima volta non c’era stato pericolo. Ormai era sicuro che a salvarlo fosse stato un altro Ewing, un Ewing che lo aveva preceduto nel tempo, aveva raggiunto quello stesso luogo e momento, e poi si era sdoppiato per liberarlo dalla prigionia, esattamente come stava per fare lui. Mille idee gli turbinavano in testa. Si rifiutò di lasciarsi trascinare dagli aspetti più confusi e paradossali della situazione.

«Non vedo come possiamo permettere che si verifichi un avvenimento tanto pericoloso», disse tranquillamente Myreck. «Lei ci mette in una situazione spiacevolissima. I rischi sono troppi. Non osiamo».

A portata di mano di Ewing c’era una chiave inglese. La prese, l’agitò con aria minacciosa, e disse: «Mi spiace di essere costretto a questo, ma credo proprio che non capireste se cercassi di spiegarvi perché devo farlo. O mi riportate indietro a secondodì, o mi metto a spaccare tutto».

Le mani di Myreck intrecciarono una veloce danza di paura e frustrazione. «Sono sicuro che lei non commetterebbe mai un atto così violento, signor Ewing. Sappiamo che è un uomo ragionevole. Quindi non potrebbe…».