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«No?».

«Li abbiamo ricevuti e sono stati trasmessi al mio ufficio. Li ho letti».

«E non ha risposto», lo interruppe Ewing, in tono d’accusa. «Li ha volutamente ignorati. Perché?».

Mellis distese le dita sulle cosce, parve concentrarsi intensamente. Con una voce calma, ben modulata, disse: «Perché noi non possiamo aiutare voi o nessun altro nel modo più assoluto, signor Ewing. Mi crede?».

«Non capisco».

«Noi non possediamo armi, forze militari, capacità o desiderio di combattere. Non possediamo astronavi».

Ewing strabuzzò gli occhi. Quando Firnik gli aveva detto che la Terra era priva di ogni difesa, gli era riuscito impossibile crederlo; ma sentirlo raccontare dalle labbra del governatore generale era addirittura inaudito!

«Impossibile che la Terra non possa fornirci nessun aiuto. Su Corwin siamo appena in diciotto milioni. Naturalmente abbiamo un esercito, ma non è all’altezza della situazione. La nostra riserva di armi nucleari è minima…».

«La nostra non esiste nemmeno», lo interruppe Mellis. «I materiali fissili che possediamo servono solo per alimentare le pile atomiche da cui dipendono le nostre città».

Ewing si fissò le punte delle dita. Scosso dai brividi, ricordò l’anno trascorso sepolto nella schiuma nutritiva, i cinquanta anni luce che aveva superato. Per niente.

Mellis ebbe un sorriso triste. «C’è un altro aspetto della sua richiesta da considerare. Lei ha detto che i Klodni attaccheranno il suo pianeta entro un decennio, e il nostro entro un secolo».

Ewing annuì.

«In questo caso», proseguì Mellis, «dal nostro punto di vista la questione diventa accademica. Prima che sia trascorso un decennio, la Terra sarà un protettorato di Sirio IV. La nostra posizione non ci permetterà più di aiutare nessuno».

Il corwinita fissò il viso malinconico del governatore generale della Terra. Negli occhi di Mellis, Ewing lesse una profonda consapevolezza, la consapevolezza di chi si trova a reggere un pianeta ormai ai suoi ultimi giorni di splendore.

Ewing chiese: «Ne è proprio sicuro?».

«Sicuro al cento per cento. I siriani continuano a infiltrarsi sulla Terra. Ormai il nostro mondo ne ospita più di un milione. Uno di questi giorni mi comunicheranno che io non sono più nemmeno il governatore della Terra».

«E non potete impedire ai siriani di invadervi?».

Mellis scosse la testa. «Non abbiamo nessun potere. La sequenza di eventi che ci aspetta è inevitabile. Quindi, i suoi Klodni ci preoccupano davvero poco, amico corwinita. Quando arriveranno, io sarò morto da molti anni, e con me le glorie della Terra».

«E delle colonie non ve ne importa niente?», ribatté aspramente Ewing. «Ve ne resterete qui senza fare nulla mentre gli alieni ci distruggeranno? Il nome della Terra significa ancora molto per le colonie. Se lei dichiarasse lo stato di guerra generale, tutti i pianeti invierebbero le loro forze per difenderci. Ora come ora, le colonie sono troppo divise, pensano solo ai propri interessi, non si preoccupano del bene comune. Non capiscono che unendosi potrebbero distruggere i Klodni, mentre divise sarebbero inevitabilmente sconfitte. Una dichiarazione ufficiale della Terra…».

«… Sarebbe inutile, stupida, superflua, nulla, vacua e insignificante», disse Mellis. «Mi creda, signor Ewing. Vi aspetta un destino infausto. Ufficialmente, io vi compiango. Ma sono solo un vecchio che sta per essere deposto dal trono, e non posso aiutarvi».

Ewing serrò istintivamente le mascelle. Non disse nulla. Era chiaro che non c’era nulla da dire.

Si alzò. «A questo punto, immagino che l’incontro sia terminato. Mi spiace averle rubato del tempo, governatore generale Mellis. Se avessi saputo come stanno le cose sulla Terra, forse non avrei fatto il mio viaggio nello spazio» .

«Speravo…», cominciò a dire Mellis. S’interruppe, poi scosse la testa. «No, è una follia».

«Signore?».

Il vecchio sorrise debolmente. «È tutto il giorno che un’idea stupida mi frulla in mente, da che ho saputo che un ambasciatore di Corwin era giunto a Valloin. Ma ora capisco che si tratta di un’idea assurda».

«Posso chiederle…?».

Mellis scrollò le spalle. «Pensavo che lei potesse essere giunto qui in nome dell’indipendenza terrestre, per offrirci l’aiuto del suo mondo contro le manovre dei siriani. Ma siete voi ad avere bisogno d’aiuto. È stata una pazzia credere di poter trovare difensori tra le stelle».

«Mi spiace», disse dolcemente Ewing.

«E di che? Perché non potete aiutarci? Se è così, dobbiamo scusarci a vicenda». Mellis scosse di nuovo la testa. «Il nostro pianeta ha avuto una storia troppo luminosa. Ora le ombre si fanno più spesse. Gli alieni vengono da Andromeda per distruggere, e i figli della Terra si rivoltano contro la madre».

Il vecchio scrutò Ewing fra le tenebre sempre più fitte della stanza. «Ma queste mie tristezze l’annoieranno, signor Ewing. Sarà meglio che lei se ne vada. Che lasci la Terra, intendo. Torni a difendere il suo mondo dai nemici. Per noi non esiste più possibilità d’aiuto».

Premette un pulsante sulla parete. La porta si spalancò, e un robot apparve nel più assoluto silenzio. Il governatore generale si voltò verso l’automa.

«Accompagna il signor Ewing alla macchina, e vedi che il viaggio di ritorno al suo hotel a Valloin sia il più comodo possibile».

Ewing, all’improvviso, provò una compassione enorme per l’uomo che aveva la disgrazia di governare la Terra nel suo periodo più oscuro. Strinse i pugni, ma non disse niente. Ormai Corwin gli pareva enormemente lontana. Sua moglie, suo figlio, la minaccia dell’orda aliena, contavano ben poco rispetto alla Terra e al destino che l’attendeva, meno violento ma molto più doloroso.

In silenzio si congedò dal vecchio, seguì il robot lungo il corridoio, fino all’ascensore. Trasportato da un fascio di radiazioni magnetiche, scese a livello del suolo.

La macchina lo attendeva. I turboreattori si accesero, iniziò il viaggio di ritorno.

Tornando all’hotel, si sbizzarrì a redigere mentalmente il testo del messaggio che il mattino dopo avrebbe inviato a Corwin per generatore subeterico. Nel pomeriggio avrebbe lasciato per sempre la Terra. Poi un altro anno di viaggio, l’arrivo a Corwin, l’annuncio definitivo, tragico, che contro l’orda dei Klodni non esisteva il minimo aiuto.

6

Era mezzanotte passata quando Ewing uscì dall’ascensore al quarantunesimo piano del Grand Valloin Hotel. Arrivò alla porta della sua stanza e guardò la cassetta dei messaggi. Vuota. Quasi si aspettava di trovare un altro biglietto minaccioso.

Premette il pollice contro la piastra d’identificazione e disse sottovoce, per non svegliare gli altri ospiti: «Apriti».

La porta si aprì. Le luci della sua stanza, incredibilmente, erano accese.

«Salve», disse Byra Clork.

Ewing s’immobilizzò sulla soglia, fissò stupefatto la ragazza siriana dalle grandi spalle. Indifferente, se ne stava seduta sulla rilassopoltrona accanto alla finestra. Sul comodino c’era una bottiglia, e vicino due bicchieri, uno pieno a metà di un liquido ambrato. Byra si era messa a proprio agio, a quanto sembrava.

Lui entrò.

«Come ha fatto a introdursi nella mia stanza?», le chiese.

«Ho chiesto alla direzione di darmi un passepartout, e nessuno si è opposto».

«Ah, bene», esclamò Ewing. «Probabilmente non riesco a capire come funzionano gli hotel terrestri. Nella mia ingenuità credevo che la stanza fosse riservata esclusivamente al cliente, ammesso che paghi, e che nessun altro avesse il permesso d’entrare».

«In genere le cose vanno proprio così». La ragazza sembrava quasi allegra. «Ma ho ritenuto necessario parlarle di questioni urgenti. Questioni della massima importanza per il consolato siriano di Valloin, che io rappresento».