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Sarei ancora lì, se non fossi stato costretto a fuggire. In un disgraziato pomeriggio d’inverno, col cielo che sembrava ferro e la minaccia di una tormenta, portarono su dalla città le prostitute per la programmata notte di svago. Quella volta c’era tra loro una nuova venuta e il suo modo di parlare dichiarava che veniva da Salla. La sentii subito, non appena la donna entrò ancheggiando nella nostra sala di svago; avrei voluto sgusciar via, ma lei mi vide, sussultò e si mise a gridare: — Guardate là. Quello è di certo il nostro principe scomparso!

Risi, cercai di persuadere gli altri che la donna era ubriaca o pazza, ma il rossore delle mie guance mi accusava, e i tagliaboschi presero a guardarmi in modo diverso. Un principe? Un principe? Che storia era quella? Bisbigliavano tra loro toccandosi col gomito e ammiccando. Sentendomi in pericolo, reclamai la donna per me, la condussi da parte e quando fummo soli tornai a dirle che si sbagliava: non sono un principe, dicevo, sono solo un comune tagliaboschi. Non voleva saperne. — Lord Kinnall camminava nella processione al funerale dell’Eptarca — disse. — Lo si è visto con questi occhi. Tu sei lui! — Più io protestavo, più lei si convinceva, non c’era verso di farle cambiare idea. Anche quando l’abbracciai aveva un tale timore ad aprirsi al figlio dell’Eptarca che il suo sesso rimase asciutto ed io le feci male nel penetrarla.

Quella notte, sul tardi, quando la baldoria fu finita, venne da me il mio capo: era solenne e preoccupato. — Stasera una delle ragazze ha detto delle strane cose sul tuo conto — mi disse. — Se sono vere, sei in pericolo perché quando quella ragazza tornerà al villaggio spargerà la notizia e la polizia non ci metterà molto ad arrivare.

— È necessario che si parta, dunque? — chiesi.

— A te la scelta. Stanno ancora cercando quel principe: se tu sei lui, qui nessuno ti può proteggere contro le autorità.

— Allora bisogna partire. All’alba…

— Subito — disse. — Mentre la ragazza è ancora qui addormentata.

Mi premette in mano del denaro di Glin, molto di più di quanto non me ne dovesse; io raccolsi le mie poche cose e uscimmo insieme. Era una notte senza luna e il vento d’inverno era selvaggio. Alla luce delle stelle, vidi scintillare la neve che cadeva. Il mio capo guidò in silenzio giù per la discesa, oltrepassò ai piedi dei monti il villaggio da cui venivano le prostitute e sbucò su una strada secondaria che seguimmo per qualche ora. All’alba eravamo nel centro-sud di Glin, non molto lontano dal fiume Huish. Li si fermò, alla fine, in un villaggio che si chiamava Klaek, un posto invernale di piccole capanne di pietra grigia circondate da ogni parte da campi ricoperti di neve. Mi lasciò nel camion ed entrò nella prima capanna uscendone un momento dopo in compagnia di un uomo magro che ci riversò addosso un torrente di istruzioni gesticolando senza posa. Con l’aiuto delle sue indicazioni, trovammo la strada del posto che il mio capo cercava, l’abitazione di un certo agricoltore di nome Stumwil. Questo Stumwil era un uomo dai capelli bianchi, più o meno della mia statura, con gli occhi di un blu slavato ed un timido sorriso. Forse era parente del mio capo, o, più probabilmente, era in debito con lui; non l’ho mai chiesto. In ogni caso, aderì prontamente alla sua richiesta ed accettò di tenermi lì. Il mio capo mi abbracciò e ripartì nella neve; non l’ho mai più visto. Spero che gli dèi siano stati cortesi con lui quanto lui lo è stato con me.

18

La villetta era composta di una sola grande stanza, divisa in varie zone da tende leggere. Stumwil mise su un’altra tenda, mi dette della paglia per il giaciglio e così fu pronta la mia nuova abitazione. Eravamo in sette sotto quel tetto: Stumwil, io, la moglie di Stumwil, una donna stanca che sembrava sua madre, i loro tre figli, due ragazzi ancora fanciulli e una ragazza adolescente, e la sorella di legame della ragazza, che quell’anno viveva con loro. Era gente allegra, innocente e fiduciosa. Benché non sapessero niente di me, mi accolsero immediatamente come un membro della famiglia, come uno zio sconosciuto inaspettatamente tornato da un viaggio. Non ero preparato alla semplicità con cui mi avevano accettato, e all’inizio l’attribuii a qualche obbligo col mio vecchio padrone, ma sbagliavo: erano gentili di natura, poco curiosi, senza sospetti. Prendevo i pasti al loro tavolo, sedevo con loro vicino al fuoco, partecipavo ai loro giuochi. Ogni cinque sere Stumwil riempiva di acqua calda un’enorme vasca ammaccata per tutta la famiglia, ed io facevo il bagno con loro. Entravamo due o tre alla volta nella vasca, benché mi turbasse un poco strofinarmi contro i corpi grassocci e nudi della figlia di Stumwil e della sua amica. Penso che avrei potuto avere l’una o l’altra, se avessi voluto, ma mi tenni lontano da loro pensando che una seduzione sarebbe stata un’offesa all’ospitalità. Più tardi, quando capii un poco di più i contadini, mi resi conto che era stata invece proprio la mia astinenza un’offesa all’ospitalità, perché le ragazze erano dell’età giusta e sicuramente volenterose, ed io le avevo respinte. Ma lo capii soltanto dopo aver lasciato la casa di Stumwil. Quelle ragazze ormai hanno figli grandi e penso che a quest’ora abbiano perdonato la mia mancanza di galanteria.

Pagavo una certa somma per l’alloggio e aiutavo nelle faccende, benché d’inverno ci fosse poco da fare, oltre a spalare la neve e attizzare il fuoco. Nessuno di loro sembrava curioso di conoscere la mia identità o la mia storia. Non mi chiesero mai nulla e sono convinto che le domande nemmeno passavano loro per la testa. Neppure la gente del paese si dimostrò curiosa: mi sottopose soltanto all’esame riservato ad ogni straniero.

Di tanto in tanto arrivavano dei giornali al villaggio e passavano di mano in mano, finché, quando tutti li avevano letti, venivano depositati dal vinaio in cima alla via principale del villaggio. Io andavo là a consultare quell’archivio di pezzi di carta macchiati e stracciati, e leggevo quanto potevo degli eventi dell’anno precedente. Appresi che il matrimonio di mio fratello Stirron aveva avuto luogo nel periodo previsto e con la dovuta pompa; il suo volto sottile e preoccupato balzò fuori da un pezzetto di vecchio giornale, macchiato d’unto. Accanto a lui stava, raggiante, la sua sposa, ma non riuscii a distinguerne i lineamenti. I rapporti tra Glin e Krell erano tesi a causa di certi diritti di pesca in una zona costiera contesa e c’erano stati dei morti al confine. Provai pietà per il generale Condorit, il cui settore era quasi all’altra estremità della frontiera della linea Krell-Glin e che quindi doveva aver perduto il divertimento di coinvolgere in qualche modo Salla negli scontri. Un mostro marino sinuoso, dalle scaglie d’oro, era stato visto nel Golfo di Sumar da un gruppo di pescatori manneriani, che avevano confermato la loro visione con un giuramento solenne nella Cappella di Pietra. Il Primo Eptarca di Threish, un vecchio brigante sanguinario, secondo i racconti, aveva abdicato ed era andato a vivere in un tempio delle montagne occidentali, non lontano dal Passo Stroin, e lì faceva da confessore ai pellegrini diretti a Manneran. Le notizie erano di questo genere. Non trovai alcuna allusione alla mia persona. Forse a Stirron non interessava più catturarmi e riportarmi a Salla.

Poteva quindi non essere pericoloso cercar di lasciare Glin.

Ansioso com’ero di lasciare quella provincia gelida, dove perfino i miei parenti mi avevano respinto e dove soltanto degli sconosciuti mi avevano dimostrato affetto, due cose mi trattenevano. Prima di tutto, volevo restare con Stumwil per poterlo aiutare nella semina di primavera, per ricambiare la gentilezza che mi aveva dimostrato. In secondo luogo, non volevo iniziare un viaggio tanto pericoloso senza essermi prima confessato, nel timore che la mia anima potesse andare a raggiungere gli dèi ancora satura di veleni. Il villaggio non aveva confessori, e il conforto spirituale dei suoi abitanti dipendeva dai confessori itineranti che passavano di tanto in tanto per la campagna. D’inverno questi pellegrini erano rari e quindi io ero rimasto senza confessione sin dalla tarda estate, quando uno di loro aveva visitato il campo dei tagliaboschi. Ne sentivo veramente il bisogno.