Ci fu una nevicata, nel tardo inverno, una bufera incredibile che ricoprì ogni ramo con una pellicola scintillante di ghiaccio. Immediatamente dopo venne il disgelo. Il mondo si sciolse. Klaek era circondato da oceani di fango. Un confessore, alla guida di un carro da terra sconquassato e antiquato, arrivò a noi attraverso quel mare scivoloso e mise su negozio in una vecchia capanna, facendo buoni affari tra la gente del villaggio. Andai da lui al quinto giorno dal suo arrivo, quando le code erano più corte, e parlai per due ore, senza risparmiargli nulla, né la verità sul mio essere, né la mia filosofia sovversiva a proposito della regalità, né i soliti fangosi peccatucci nascosti d’orgoglio e di lussuria.
Evidentemente la dose era più forte di quella che poteva aspettarsi un confessore di campagna, ed egli sembrava gonfiarsi ed ingigantirsi man mano che buttavo fuori le parole; alla fine tremava quanto me e riusciva a stento a parlare. Mi chiesi dove andassero i confessori a liberarsi di tutti i peccati e di tutti i dolori che assorbivano dai loro clienti. È proibito loro parlare a gente ordinaria delle cose che vengono a sapere nel confessionale; avevano dunque dei confessori dei confessori, dei servi dei servi, cui confidare ciò che non potevano rivelare a nessun altro? Non riuscivo a capire come un confessore potesse portare a lungo, da solo, un carico di tristezze come quelle che in un giorno riceveva da una dozzina di clienti.
Con l’animo purificato, mi rimaneva soltanto da attendere il tempo della semina, che non era lontano. La stagione di crescita a Glin è corta: si semina prima che la presa dell’inverno si sia completamente rilasciata, in modo da poter sfruttare ogni raggio del sole di primavera. Stumwil attese finché non ebbe la certezza che al disgelo non sarebbe seguito un ultimo tumulto di neve e poi, col terreno che era ancora una palude succhiante, uscì nei campi insieme alla famiglia a seminare grano, fiori di spezie e globi blu.
Era costume, scoprii, andare a seminare nudi. La prima mattina guardai fuori della casetta di Stumwil e vidi da tutte le parti i vicini che camminavano nudi verso i solchi; bambini, genitori, nonni, con la pelle nuda e coi sacchi di semenza buttati sulle spalle, una processione di ginocchia ossute, di ventri cascanti, di seni avvizziti, di sederi rugosi, illuminati qua e là dai solidi corpi lisci dei giovani. Pensando di sognare ad occhi aperti, mi guardai intorno e vidi Stumwil, sua moglie e sua figlia già svestiti che mi facevano segno di imitarli. Presero i loro sacchi e uscirono, con i due ragazzi che saltellavano dietro, lasciandomi solo con la sorella di legame della figlia di Stumwil, che aveva dormito più del solito ed era appena comparsa. Si spogliò anche lei: aveva un corpo sottile e impertinente, i piccoli seni alti dai capezzoli scuri e le cosce snelle e muscolose. Mentre mi spogliavo le chiesi: — Perché si va nudi all’aperto con questo freddo?
— Il fango fa scivolare — spiegò, — ed è più facile lavare la pelle nuda che i vestiti.
Quel che diceva era vero, e la semina era uno spettacolo comico: i contadini scivolavano nel fango traditore ogni dieci passi. Cadevano giù di fianco, sull’anca e si rialzavano coperti di fanghiglia marrone. Era questione di abilità l’afferrare, cadendo, l’imboccatura del proprio sacco, in modo da non perdere i semi preziosi. Caddi anch’io come gli altri, imparando rapidamente a destreggiarmi, e in verità era piacevole scivolare; perché il fango era deliziosamente morbido e liscio. Avanzavamo così, barcollando e saltellando, sbattendo continuamente i corpi nel fango, ridendo, cantando, spingendo i semi nel soffice terreno freddo, e tutti ci ricoprimmo di fango dalla testa ai piedi nel giro di pochi minuti. All’inizio io tremavo dal freddo in un modo pietoso, ma non ci misi molto a riscaldarmi, col ridere e con l’inciampare; quando la giornata ebbe termine, rimanemmo vicini, nudi e senza vergogna davanti alla casetta di Stumwil, tirandoci addosso dei secchi d’acqua per ripulirci. In quel momento mi sembrava ragionevole che preferissero esporre ad una simile giornata di lavoro la pelle invece dei vestiti, ma in realtà la spiegazione della ragazza non era esatta: seppi più tardi da Stumwil, quella settimana, che la nudità è una questione religiosa, un segno di umiltà dinnanzi agli dèi del raccolto, e niente altro.
Ci vollero otto giorni per finire la semina. Al nono, dopo aver augurato un buon raccolto a Stumwil e alla sua gente partii dal villaggio di Klaek per iniziare il mio viaggio verso la costa.
19
Il primo giorno, un vicino di Stumwil mi portò verso Est col suo carro. Procedetti a piedi la maggior parte del secondo giorno, chiesi un passaggio il terzo e il quarto, e di nuovo andai a piedi il quinto e il sesto. L’aria era freddina ma aveva già lo scricchiolio della primavera: le gemme cominciavano ad aprirsi e gli uccelli a tornare. Superai la città di Glain che poteva essere pericolosa e, senza che accadesse nulla che valga la pena di ricordare, arrivai rapidamente a Biumar, il porto principale di Glin e la sua seconda città per popolazione.
Era un posto migliore di Glain, per quanto neanch’esso si potesse dir bello: la distesa untuosa e grigia di una città troppo cresciuta e, alle spalle, un oceano grigio e minaccioso. Il giorno del mio arrivo, venni a sapere che il servizio passeggeri tra Glin e le province del Nord era stato sospeso da tre periodi lunari a causa delle pericolose attività dei pirati che avevano come base di operazione Krell, dato che Glin e Krell erano impegnate in una guerra non dichiarata. Sembrava che l’unico modo per raggiungere Manneran fosse attraversare Salla, via terra, e io proprio non me la sentivo. Ma ero pieno di risorse. Trovai una stanza in una taverna vicino al porto e passai alcuni giorni ad ascoltare i pettegolezzi dei marinai. Il servizio passeggeri poteva essere sospeso, appresi, ma non i viaggi commerciali, dato che la prosperità di Glin dipendeva da questi. Convogli di navi mercantili, potentemente armate, andavano avanti e indietro regolarmente. Un marinaio zoppo che stava nella mia stessa taverna mi disse, dopo che il vino blu di Salla gli ebbe sciolto la lingua, che uno di questi convogli doveva partire dopo una settimana e che lui aveva una cuccetta su una delle navi. Presi in considerazione la possibilità di drogarlo alla vigilia della partenza e di assumere la sua identità, come nelle favole di pirati che si raccontano ai bambini, ma si presentò un metodo meno drammatico: comprai le sue carte d’imbarco. La somma che gli offrii era più alta di quella che avrebbe guadagnato andando fino a Manneran e tornando indietro, perciò fu ben contento di prendere il mio denaro e di cedermi il suo posto. Passammo una lunga notte a bere e a parlare delle sue mansioni a bordo, dato che io non avevo la minima nozione di marineria. All’alba non sapevo nulla lo stesso, ma intravvedevo la possibilità di simulare un minimo di competenza.
Salii a bordo senza che nessuno mi fermasse. Era una nave bassa, col motore ad aria, carica all’inverosimile di mercanzie di Glin. Il controllo delle carte fu un controllo per modo di dire. Mi feci assegnare una cabina, mi ci installai e mi presentai al lavoro. Imitando o provando riuscii a destreggiarmi in modo ragionevole in metà dei lavori che mi affidarono nei primi giorni; il resto lo impastrocchiai semplicemente e ben presto i miei compagni mi riconobbero per un pasticcione, senza però che ne facessero parola agli ufficiali. Tra i ranghi più bassi vigeva una certa lealtà. Ancora una volta mi accorgevo che la mia veduta buia dell’umanità era stata troppo colorata dalla mia infanzia tra gli aristocratici; questi marinai, come i taglialegna, come i contadini, avevano tra di loro un cameratismo che non avevo mai incontrato tra i fanatici del Comandamento. Mi sollevavano dei lavori che non sapevo fare, io facevo per loro quei lavori noiosi di cui ero capace, e tutto filava liscio. Lavavo i ponti, pulivo i filtri e passavo ore senza fine manovrando i cannoni contro gli attacchi dei pirati. Oltrepassammo senza incidenti l’odiata costa piratesca di Krell e scivolammo facilmente giù per la costa di Salla, già verde di primavera.