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Nei due anni in cui non l’avevo vista, Halum non era invecchiata affatto; piuttosto si era abbronzata ed era ormai nel pieno fulgore della sua bellezza. La sua pelle era scurissima e, nella corta tunica bianca, sembrava la statua in bronzo di se stessa; i tratti del suo volto erano diventati più angolosi e le davano un delicato aspetto da fanciullo. Si muoveva con grazia leggera.

La casa era piena di gente che non conoscevo, venuta per il banchetto di benvenuto e, dopo quel primo abbraccio, Halum fu trascinata via. Io rimasi con Loimel. Ma, verso la fine della serata, mi feci forte del mio diritto di vincolo e la portai nella mia camera, dicendo: — Bisogna rifarsi di due anni di chiacchiere. — I pensieri mi si accavallavano tumultuosamente nella testa: come potevo dirle tutto quel che era successo, sapere tutto quel che lei aveva fatto, in un primo impeto di parole? Non riuscivo a mettere ordine nei miei pensieri. Ci sedemmo l’uno di fronte all’altra, a dignitosa distanza, sul divano dove poche ore prima avevo preso sua cugina fingendo che fosse lei. Ci sorridemmo, imbarazzati. — Da dove si comincia? — dissi nello stesso istante in cui Halum pronunciava le medesime parole. Scoppiammo a ridere e la tensione si allentò. Sentii allora la mia voce chiedere ad Halum, senza preamboli, se pensava che Loimel mi avrebbe accettato come marito.

26

Loimel ed io fummo uniti in matrimonio da Segvord Helalam nella Cappella di Pietra a metà dell’estate, dopo mesi di riti preparatori e di purificazioni cui ci eravamo sottoposti su richiesta del padre di Loimel, uomo di grande devozione. Per amor suo ci sottoponemmo ad una rigorosa serie di confessioni e, giorno dopo giorno, rovesciai l’intero contenuto della mia anima nelle mani di un certo Jidd, il più noto ed il più costoso dei confessori di Manneran. Quando fu finito, Loimel ed io ci recammo in pellegrinaggio ai nove santuari di Manneran, ed io sperperai il mio misero stipendio in candele ed incenso. Ci sottoponemmo perfino alla arcaica cerimonia della «Rivelazione»: ci recammo, all’alba, su una spiaggia deserta, con Halum e Segvord come testimoni e, nascosti ai loro sguardi da un elaborato baldacchino, ci rivelammo formalmente le nostre nudità, in modo che né l’uno né l’altra potesse dire in seguito che eravamo arrivati al matrimonio senza esserci rivelati i nostri difetti fisici.

La cerimonia fu un evento grandioso, con musica e canti. Il mio fratello di legame Noim, convocato da Salla, fu mio testimone e ci scambiò gli anelli. Il Primo Eptarca di Manneran, un vecchio dal viso di cera, presenziò al matrimonio insieme alla maggior parte della nobiltà locale. Ricevemmo regali di immenso valore, tra i quali un bacile tempestato di strane gemme di qualche altro mondo inviatoci da mio fratello Stirron insieme ad un cordiale messaggio in cui egli si rammaricava che affari di Stato lo costringessero a rimanere a Salla. Dato che io avevo disertato le sue nozze, non era strano che egli disertasse le mie. Quel che mi sorprese fu il tono amichevole della sua lettera. Senza far allusione alla mia scomparsa da Salla, dichiarandosi felice che la notizia della mia morte si fosse rivelata falsa, Stirron mi mandava la sua benedizione e mi invitava a recarmi in visita cerimoniale a Città di Salla assieme a mia moglie il prima possibile. Sembrava che avesse saputo che avevo intenzione di stabilirmi definitivamente a Manneran e che perciò non gli avrei conteso il trono; di conseguenza poteva di nuovo pensare a me con un certo affetto.

Mi sono spesso chiesto e, dopo tanti anni, ancora me lo chiedo, perché Loimel mi abbia accettato. Aveva appena rotto il fidanzamento con un principe del suo stesso reame perché era povero: ed ecco che ero arrivato io, principe pure ed ancora più povero. Perché prendere me? Per il mio fascino nel corteggiarla? Ne avevo ben poco, ero ancora giovane e impacciato. Per il futuro di ricchezza e di potere che poteva schiudermisi? A quel tempo una simile possibilità era molto debole. Per il mio fascino fisico? Certo, ne avevo, ma Loimel era troppo furba per sposare un paio di spalle larghe o dei muscoli potenti; per di più in quel nostro primo abbraccio le avevo mostrato le mie manchevolezze come amante e di rado le prove che diedi nei nostri seguenti convegni furono migliori. Conclusi, alla fine, che le ragioni per cui Loimel mi aveva accettato erano due: primo, sentendosi sola e giù di morale dopo la rottura dell’altro fidanzamento, in cerca d’appoggio, si era imbattuta in me, che ero forte, di bell’aspetto e di sangue reale. Secondo, Loimel era invidiosa di Halum in tutto e sapeva che, sposando me, si sarebbe impadronita dell’unica cosa che Halum non avrebbe potuto avere mai. Non è difficile capire quali furono i motivi che spinsero me a chiedere la mano di Loimel. Era Halum che amavo. Loimel era l’immagine di Halum. Halum mi era proibita, perciò presi Loimel. Possedendo Loimel, potevo credere di possedere Halum, abbracciando Loimel potevo immaginare di abbracciare Halum. Quando chiesi a Loimel di sposarmi, non l’amavo in modo particolare, credo anzi non mi piacesse neppure, ma ero inesorabilmente attratto da lei, che rappresentava l’unico modo possibile per appagare il mio vero desiderio.

I matrimoni contratti per ragioni analoghe alle nostre di rado si concludono felicemente. Il nostro tirò avanti alla peggio; cominciammo come estranei e ci allontanammo sempre più, man mano che dividevamo lo stesso letto. In realtà io avevo sposato una segreta fantasia, non una donna, ma i matrimoni vanno portati avanti in un mondo reale, ed in quel mondo mia moglie era Loimel.

27

Nel frattempo, nel mio ufficio al Tribunale del Porto, mi affannavo a portare avanti il lavoro che il mio padre di legame mi aveva affidato. Ogni giorno, un formidabile fascio di rapporti e di promemoria raggiungeva la mia scrivania, ogni giorno cercavo di decidere quali dovessero arrivare all’Alto Giudice e quali invece dovessero essere trascurati. All’inizio, naturalmente, non avevo dati su cui basare un simile giudizio. Segvord mi aiutò e con lui diversi anziani funzionari del Tribunale che si resero presto conto di avere più da guadagnare ad aiutarmi che ad ostacolare la mia inevitabile ascesa. Afferrai rapidamente la sostanza del mio lavoro e, prima che a Manneran fosse arrivata la piena calura dell’estate, svolgevo i miei incarichi con assoluta familiarità, come se non avessi fatto niente altro negli ultimi vent’anni.

La maggior parte del materiale che si voleva sottoporre all’Alto Giudice era privo di senso. Imparai presto a riconoscere con un’occhiata quel tipo di documenti; spesso mi bastava scorrere una sola pagina. Lo stile in cui erano scritti diceva molto: imparai che se un uomo non riesce ad esprimere in modo chiaro i suoi pensieri sulla carta, molto probabilmente non ha pensieri degni di nota. Lo stile è l’uomo. Se la prosa è lenta e pesante, così è pure, verosimilmente, la mente del suo autore e allora che valore possono avere le sue idee sulle operazioni del Tribunale del Porto? Una mente rozza e comune ha percezioni rozze e comuni. Io stesso avevo un gran daffare a scrivere sunti dei rapporti di una certa importanza e tutto ciò che ho imparato dell’arte dello scrivere lo devo a quegli anni trascorsi al servizio dell’Alto Giudice. Il mio stile, d’altronde, rispecchia la mia realtà; so di essere serio, solenne, cerimonioso e portato a dire più cose di quante, probabilmente, gli altri vogliano sapere. Nella mia prosa ritrovo tutte queste mie caratteristiche. Ha i suoi difetti, ma mi soddisfa, anche io ho i miei difetti, ma sono soddisfatto di me stesso.