Sognavo la Terra. Cercai nei libri e vidi la fotografia di un pianeta blu con molti continenti ed una grossa luna come segnata dal vaiolo che le girava intorno. Pensai: è da qui che veniamo tutti, questo è l’inizio di tutto. Lessi dei regni e delle nazioni, della vecchia Terra, delle guerre e delle devastazioni, dei monumenti, delle tragedie. I viaggi nello spazio, la conquista delle stelle. Ci fu un periodo in cui immaginavo persino di essere anch’io un Terrestre, nato in quell’antico pianeta di meraviglie e portato piccolissimo a Borthan per essere sostituito al vero figlio di un Eptarca. Mi dicevo che da grande sarei andato sulla Terra, avrei camminato nelle città vecchie di diecimila anni, cercando di individuare la linea di emigrazione che aveva portato i bisnonni dei miei bisnonni dalla Terra a Borthan. Desideravo anche avere un qualcosa della Terra, un frammento di vaso, un pezzetto di roccia, una moneta ammaccata, come legame tangibile con un mondo che era il cuore delle migrazioni umane. Desideravo tanto che qualche altro Terrestre arrivasse a Borthan, per subissarlo di domande e per elemosinare da lui un frammento della Terra; ma non venne nessuno, io diventai grande e la mia ossessione per il primo dei pianeti dell’uomo finì coll’affievolirsi.
Poi Schweiz attraversò il mio cammino.
Schweiz era un commerciante. Molti Terrestri lo sono. Quando lo conobbi, era a Borthan da un paio d’anni come rappresentante di una ditta d’esportazioni che aveva la base in un sistema solare non lontano dal nostro; egli scambiava dei manufatti con le nostre pellicce e le nostre spezie. Durante la sua permanenza a Manneran, si era trovato impegolato in una controversia con un importatore locale a proposito di un carico di pellicce di «scudo-di-tempesta» provenienti dalla costa nordoccidentale. Questi aveva cercato di dare a Schweiz della merce scadente ad un prezzo più alto di quello convenuto, Schweiz lo aveva denunciato ed il caso era finito davanti al Tribunale del Porto. Tutto ciò è avvenuto tre anni fa, poco più di tre anni dopo il ritiro di Segvord Helalam.
I fatti erano chiari e non c’erano dubbi sulla sentenza. Uno dei giudici minori approvò la richiesta di Schweiz e ordinò all’importatore di rispettare il contratto con l’imbrogliato terrestre. In condizioni normali, io non sarei stato coinvolto nella questione, ma quando i documenti del caso giunsero all’Alto Giudice Kalimol per la consueta revisione, precedente la conferma della sentenza, io detti loro un’occhiata e vidi che a sporgere denuncia era stato un Terrestre.
La tentazione era lancinante. L’antico incantamento che mi legava a quella razza, la mia fantasia delusa di artigli, tentacoli, occhi in più, mi riprese. Dovevo parlargli. Cosa speravo di ottenere da lui? Le risposte alle domande che non avevo potuto fare da ragazzo? Qualche indizio sulla natura delle forze che avevano portato l’uomo verso le stelle? O semplicemente un diversivo, un momento di svago in una vita troppo tranquilla?
Chiesi a Schweiz di presentarsi nel mio ufficio.
Entrò quasi di corsa, una figura frenetica, energica, con un abito vistoso. Ghignando quasi come un maniaco mi strinse la mano per salutarmi, appoggiò le nocche sulla mia scrivania, indietreggiò di qualche passo e cominciò a camminare su e giù per la stanza.
— Gli dèi vi proteggano, Vostra Grazia — disse a voce alta. Attribuii il suo strano comportamento, quel modo frenetico di muoversi che lo faceva somigliare ad una molla elicoidale, quello sguardo intenso degli occhi sbarrati, alla paura per la mia persona; d’altronde avrebbe avuto ragione a preoccuparsi, dato che era stato convocato da un alto ufficiale per una causa che egli pensava di aver già vinto. Scoprii più tardi che i modi di Schweiz erano manifestazioni della sua natura esuberante e non di una tensione momentanea e specifica.
Era un uomo di media statura, molto magro, senza un grammo di grasso addosso. La sua pelle era dorata ed i capelli, color miele scuro, gli scendevano lisci sulle spalle. Gli occhi erano brillanti e arguti, il sorriso pronto e malizioso. Emanava da lui un’energia fanciullesca, un dinamismo, un entusiasmo che mi incantarono immediatamente, anche se facevano di lui un compagno un po’ stancante. Tuttavia non era un ragazzo: il suo volto portava i primi segni dell’età e i capelli, anche se abbondanti, cominciavano a diradarsi sulla sommità.
— Sedetevi — dissi, dato che quel suo saltellare mi infastidiva. Mi domandai come cominciare la conversazione. Quante cose potevo chiedergli prima che invocasse il Comandamento e sigillasse le labbra? Avrebbe parlato di se stesso e del suo mondo? Avevo il diritto di frugare nell’anima di uno straniero come non avrei osato fare con un uomo di Borthan? Si sarebbe visto. La curiosità mi spinse. Sollevai il fascio di documenti che riguardavano il suo caso, dato che egli lo stava guardando con aria afflitta, e lo spinsi verso di lui, dicendo: — Le prime cose al primo posto. La sentenza è stata approvata. Oggi l’Alto Giudice Kalimol darà il suo benestare ed entro un ciclo lunare avrete il vostro denaro.
— Parole felici, Vostra Grazia.
— E questo conclude la parte legale.
— Un incontro così breve? Sembra quasi superflua una visita per pochi istanti di chiacchiere, Vostra Grazia.
— Si deve riconoscere che siete stato chiamato per parlare anche di altre cose, oltre al processo.
— Eh, Vostra Grazia? — Sembrava sorpreso e allarmato.
— Per parlare della Terra. — dissi. — Per soddisfare l’inutile curiosità di un burocrate annoiato. Vi va? Siete disposto a parlare un poco, adesso che siete stato attirato qua col pretesto degli affari? Sapete, Schweiz, si è sempre subito il fascino della Terra e dei terrestri. — Per guadagnarmi un po’ di confidenza, giacché era ancora dubbioso e accigliato, gli raccontai la storia degli altri Terrestri che avevo conosciuto e di come credevo ingenuamente che dovessero avere forme aliene.
Egli si rilassò, ascoltò divertito e, prima che avessi finito, cominciò a ridere di cuore. — Artigli! — esclamò. — Tentacoli! — Si passò le mani sulla faccia. — Ma davvero, Vostra Grazia? Credevate davvero che i terrestri fossero creature tanto bizzarre? Per tutti gli dèi, Vostra Grazia, io vi assicuro che vorrei avere qualche stranezza nel mio corpo, in modo da divertirvi!
Davo un sobbalzo ogni volta che Schweiz parlava di sé in prima persona. Le sue bestemmie, del tutto casuali, turbavano lo stato d’animo che avevo cercato di creare. Benché cercassi di fingere che tutto andava bene, Schweiz si accorse subito del suo errore. Balzò in piedi, palesemente dispiaciuto. — Mille scuse! Certe volte si dimentica la grammatica quando non si è abituati a…
— Nessuna offesa — dissi in fretta.
— Dovete capire, Vostra Grazia, che il vecchio modo di parlare muore lentamente e, nell’usare il vostro linguaggio si scivola facilmente in una forma più naturale anche se…
— È ovvio, Schweiz. Un errore comprensibile. — Stava tremando. — E inoltre — dissi strizzando l’occhio, — io sono un adulto. Credete che mi scandalizzi per così poco? — Avevo pronunciato volutamente quelle oscenità, per metterlo a suo agio. La tattica funzionò; Schweiz si tranquillizzò, ma non approfittò dell’incidente per usare ancora quel linguaggio da fogna, quella mattina, anzi badò ad osservare le regole grammaticali per diverso tempo ancora, finché simili cose non ebbero più importanza, tra noi.
A quel punto gli chiesi di parlarmi della Terra, la madre di noi tutti.