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— Vorrei parlare col sergente Pardey — disse, senza lasciare che dalla sua voce trapelassero emozioni. Ci furono alcuni secondi di silenzio, e a lei venne in mente che aveva controllato l’appartamento in maniera molto superficiale. Ad esempio non aveva guardato sotto il letto, non aveva aperto l’armadio o il ripostiglio. Quel pensiero si insinuò nella sua mente, non se ne andò più. Si appoggiò alla parete, persa in un ambiente improvvisamente sconosciuto, e aspettò di udire la voce familiare di Pardey.

— Frank? Sono… — Deglutì. Era importante che la sua voce fosse calma. — Sono Leila Mostyn. Vuoi aiutarmi?

Pardey uscì in un sospiro esagerato. — Leila, te l’ho detto cento volte. Quando il vigile ha steso la multa non c’è nessuno, nemmeno Dio Onnipotente, che possa farci qualcosa.

— Non è per una multa, e lo sai — rispose Leila, quasi sorridendo. Era un grande conforto sentire la battuta che Pardey le ripeteva ormai da anni.

— Guarda, se è un rubinetto che perde o…

— Frank, sono appena rientrata. In casa mia c’è stato qualcuno.

— Oh? — Il tono di voce di Pardey era cambiato. — Hanno portato via qualcosa?

— Non credo.

— E allora come hai fatto…? Ti hanno buttato tutto per aria?

— Non proprio. — Leila gli raccontò tutto. Gli disse anche che probabilmente l’intruso era una persona che la conosceva.

— Pensi che sia uno scherzo cretino?

— Gli amici me li scelgo con una certa cura — ribatté lei, irritata.

— D’accordo. Non toccare niente. Fra un paio di minuti arriveranno i miei uomini.

— Frank, speravo che si potesse fare una cosa… fra noi. Per ora non vorrei mosse ufficiali.

— Insomma, non vuoi che dei poliziotti in uniforme vadano in giro a rompere le scatole ai tuoi vicini.

— Ecco, io…

— E ti piacerebbe che lasciassi perdere faccende più importanti e ti riservassi un trattamento da VIP.

Leila mormorò: — Probabilmente sì. Scusami.

— Non pensarci nemmeno, mia piccola patatina… A cosa servono gli amici? — Pardey era talmente gioviale che forse lo faceva apposta per far sbollire la tensione di Leila. — Ripeto, non toccare niente. Arrivo subito. Ci vediamo.

Leita mise giù il telefono e si guardò attorno, cercando di decidere la mossa successiva. Sarebbe stato il caso di controllare armadio e ripostiglio, ma Frank le aveva detto di non toccare niente, e lei gliene era profondamente grata. Uscì sul pianerottolo, lasciando la porta aperta. Da lì vedeva tutta fa periferia di Calbridge, una zona verdeggiante che le prime ombre della sera cominciavano a oscurare. Quel paesaggio le ricordava la casa dei suoi genitori, a Reading. Per un attimo, stranamente, provò il desiderio di essere a casa. Senz’altro suo padre e sua madre erano fuori in giardino, a curare l’erba e i fiori. L’immagine di quella tranquillità domestica venne sopraffatta dal ricordo improvviso di John Redpath. John odiava il giardinaggio, e lei lo rivide mentre pronunciava una delle sue battute alla Oscar Wilde. “C’è qualcosa di terribilmente triste nello spettacolo della più alta forma di vita animale del pianeta che dedica tanto tempo e tanta energia al benessere delle più basse forme di vita vegetale del pianeta. “Per un attimo se lo vide davanti, alto e magro com’era, intento a declamare, a spiegare il suo punto di vista. “Chissà chi è più furbo? Io o lui?”

In momenti del genere John cercava di essere stravagante, eccentrico. Ma in fondo era un tipo disperatamente normale, e, anche se non aveva mai dato voce ai suoi sentimenti, sarebbe stato ben felice di sposarla, di allevare una nidiata di figli e di curare il giardino di casa. Però lei, dopo essere sfuggita agli agguati dell’ambiente familiare, era più che decisa a evitare un destino del genere. Se proprio il matrimonio era inevitabile, avrebbe preteso il massimo in fatto di soldi, viaggi, e case che fossero decisamente in città o decisamente in campagna, non orribili vie di mezzo che la costringessero a una vita scialba e meschina.

Si accorse improvvisamente di pensare troppo a John Redpath, nonostante tutte le buone intenzioni. Era un’abitudine da eliminare. Appoggiò il gomito al davanzale della finestra e guardò giù, aspettando di veder comparire l’auto di Frank Pardey. Ci stava mettendo troppo.

Trascorsero più di venti minuti prima che la sua macchina grigia si fermasse nella strada sotto. Pardey scese e si avviò verso la casa. Era sulla quarantina, grosso, coi capelli chiari e due spalle robuste. Camminava a passi molto corti, sollevando ogni tanto il ginocchio, come se seguisse il ritmo di una fanfara militare.

— Scusa il ritardo — disse, raggiungendola sul pianerottolo. — Come va, Leila? Spero che tu non sia troppo sconvolta. — La baciò su una guancia e si tirò indietro, sorridendo. A livello di rapporti fisici, non si era mai spinto oltre. Era divorziato, e si dava molto da fare con le donne; ma aveva intuito a sufficienza per capire che lei lo considerava semplicemente un amico.

— Tutto a posto. È solo che… — Leila si strinse nella giacca, rabbrividì leggermente. — Non mi era mai successa una cosa (lei genere.

— Diamo un’occhiata — disse Pardey, con l’atteggiamento incoraggiante di un dentista che si apprestasse a fare la radiografia d’un dente. Entrò in casa, seguito da Leila, e girò a sinistra, verso il soggiorno. Lei rimase a guardarlo mentre si inginocchiava davanti al cuscino sventrato ed esaminava il coltello.

— È chiaro che voleva impressionarti — disse Pardey dopo qualche secondo. — Il coltello è tuo?

— Sì. In cucina ce ne sono altri.

— Capisco. — Pardey si alzò, le lanciò un’occhiata stranamente inquisitoria. — Come si chiama quel tipo che ti ha accompagnata al party di Vicki Simpson un paio di mesi fa? Redmayne? Qualcosa del genere?

— Redpath. John Redpath. — Leila uscì in una risata incerta. — Ma cosa c’entra?

— Abita dall’altra parte della città”? A Disley High Street?

— Sì, ma…

— Oggi è stato qui. Verso l’una.

— Come fai a saperlo?

— Ho i miei sistemi. — Pardey cercò di sembrare enigmatico. — Prima di venire qui ho sentito la macchina che è di pattuglia nella zona, per sapere se avessero notato qualcosa di strano. A volte otteniamo risultati favolosi con questa tattica, sai? Il capopattuglia mi ha detto di aver parlato con un uomo che corrisponde alla descrizione di Redpath, a quattrocento metri da qui. Viaggiava in bicicletta e ha detto di essere epilettico. Redpath è epilettico?

— Sì. — Leila scoprì che le dava fastidio sentir chiamare John per cognome, e con tanta freddezza. — Non sarà mica proibito dalla legge, no?

Pardey afferrò al volo. — Scusa, Leila. So che è tuo amico, ma se fa cose del genere… — I suoi occhi si posarono sul cuscino.

— E perché pensi che sia lui”?

— Aveva tracce di sangue sulle mani e sul giubbotto, parecchio sangue, e sembrava un po’ sconvolto. Ci scommetto l’anima che su quel coltello troveremo le sue impronte.

Leila cercò di immaginare John Redpath che si aggirava in quell’appartamento deserto con un coltello in mano, ma l’immaginazione le venne meno. Sì, era geloso, e magari infantile, ma la violenza, persino una violenza simbolica, non era nel suo carattere.

— Scusa, Frank — disse, tranquillissima — ma secondo me è una storia che non ha senso.

Pardey si avvicinò alla finestra, guardò fuori. — Devo sempre fare le stesse domande. Mi piacerebbe trovarle stampate su un modulo standard.

— Coraggio.

— Ultimamente hai litigato con Redpath?

Leila si sentì sfiorare da dita fredde. — Questa mattina abbiamo avuto una piccola discussione. Niente d’importante.