“Eccoci qua, ragazzo mio. Sei libero di andartene.”
“Davvero?”
Era di nuovo un essere razionale, e ne era contento; però gli venne il sospetto che fosse tutto troppo facile, troppo semplice, che non gli avrebbero permesso di uscire e di immergersi nel grande fiume della normalità. La casa e le persone che ci vivevano sembravano possedere una personalità composita, sfaccettata; e l’istinto gli diceva che quella personalità mancava di qualcosa, e che non avrebbero acconsentito facilmente a lasciarlo andare. Forse era meglio rimandare la fuga fino a che non ricominciasse la vita della città. Sarebbe stato più tranquillo, più sicuro, se aveva attorno altra gente cui chiedere aiuto.
“Non dire idiozie, uomo! A cosa stiamo giocando?”
Redpath si maledisse: si lasciava sempre travolgere da fantasie infantili. Roba da film. Aprì la porta della stanza. Il pianerottolo era buio e deserto.
“Certo che è deserto! Chi ti aspettavi? Bela Lugosi? Oppure quella bambina dell’Esorcista, Linda Blair, con la testa girata dall’altra parte e la vestaglia sporca di vomito verde? Insomma, non dire idiozie!”
Curioso e un po’ intimidito, Redpath uscì sul pianerottolo e si fermò ad ascoltare i suoni della casa. Dalla porta di fronte giungeva un russare debole, segno che Wilbur Tennent stava ancora dormendo. Rassicurato da quel particolare normalissimo, Redpath scese piano le scale, arrivò al pianerottolo successivo. La porta della prima stanza, quella che secondo lui era occupata da Betty York. era leggermente aperta. L’oltrepassò in punta di piedi, per paura di svegliarla. La camera della signorina Connie, poi giù per tre gradini. Da lì poteva vedere tutto il retro della casa.
La finestra in fondo al pianerottolo era illuminata dal sole dell’alba. Il giglio giallo se ne stava immobile al centro, come un uccello da preda in agguato. Redpath sentì di nuovo l’aroma di chiodi di garofano, che svanì immediatamente. “È un profumo che non esiste” pensò. “Un aroma immaginario. Sinestesia.”
Distolse gli occhi dalla porta del bagno, leggermente socchiusa, lontana solo due passi, e scese al pianterreno. Adesso doveva solo oltrepassare le due porte, uscire (a meno che non fossero chiuse a catenaccio e che la chiave non fosse infilata nella serratura), incamminarsi per strada nella quiete del primo mattino, verso Woodstock Road. Era libero, libero! L’idea di dover perdere tempo con la serratura, col pericolo che qualcuno gli arrivasse alle spalle, lo spinse a voltarsi, a guardare verso la cucina. La porta della cucina era spalancata. Nel chiarore grigiastro della stanza, vide qualcosa di bianco sospeso a mezz’aria, come una falena gigantesca.
Redpath si portò una mano alla bocca, e anche l’oggetto bianco si mosse: stava guardando il riflesso della propria faccia in uno specchio. Si immobilizzò. Correre via in quel momento sarebbe stato come dichiararsi sconfitto. Poi, col cuore che batteva fortissimo, decise di fare un esperimento. Si spostò lentamente di lato, e l’immagine riflessa dallo specchio scomparve, in ossequio alle leggi dell’ottica. Lo specchio era davvero uno specchio, e le care vecchie leggi della fisica erano ancora valide. Dal punto in cui si trovava adesso, lo specchio gli rimandava l’immagine di una macchia color rosso scarlatto, che identificò subito: la porta che dava in cantina. Annuì, soddisfatto; si avviò verso l’ingresso, e si fermò di colpo.
“Ma cosa sta succedendo? Io non ho mai visto quella porta rossa. L’ho vista solo in un incubo, quando credevo di essere finito nello stomaco della casa!”
Redpath restò perfettamente immobile, cominciò a carezzarsi il mento ispido, cercando spiegazioni. La spiegazione più ovvia, quella che i ricercatori usavano sempre per mettere a tacere gli individui che sostenevano di fare sogni precognitivi, era che in realtà lui avesse intravisto la porta rossa, senza rendersene perfettamente conto. Una buona spiegazione. Un ragionamento lucido, impeccabile; ma il guaio era che non riusciva ad accettarlo. Era assolutamente sicuro che le poche volte in cui si era trovato nell’atrio la porta della cucina fosse chiusa, per cui gli sarebbe stato impossibile intravedere qualcosa.
Molto bene. Se una spiegazione non funziona, bisogna trovarne un’altra. Ma perché mai doveva cercare una spiegazione? Perché non si accontentava di uscire, visto che il momento era propizio?
Sapeva benissimo perché doveva indagare, sradicare ogni ombra di dubbio sugli avvenimenti del giorno prima e della notte. Quella casa lo aveva spaventato. Aveva preso d’assedio la roccaforte del suo materialismo, del suo buonsenso. Andarsene ora, quasi certo dell’esistenza di orrori soprannaturali, avrebbe significato concedere la vittoria alla casa. Sarebbe diventato un’altra persona. Davanti al buio avrebbe reagito come un bambino spaventato, come un selvaggio superstizioso. E la vita era già abbastanza dura…
Redpath si girò e si incamminò verso la porta della cucina.
La cucina era lunga. A metà della parete di sinistra si trovava un vecchio lavandino di porcellana, tutto crepato e pieno di piatti sporchi. Anche quel particolare corrispondeva esattamente al sogno, ma non lo turbò troppo perché poteva venire come logica deduzione dall’esperienza. Le vecchie case di quel tipo avevano tutte, più o meno, la stessa struttura; la mancanza di ammodernamenti lasciava supporre che probabilmente il lavandino era sempre lo stesso; e Betty York non gli sembrava così scrupolosa da mettersi a lavare i piatti dopo ogni pranzo. Nello stesso angolo del sogno c’era anche il frigorifero, ma era la posizione più naturale in cui sistemarlo. Tutto si riduceva alla porta che dava in cantina, ammesso che portasse davvero in cantina.
Redpath avanzò di due passi, guardò a destra, nel punto in cui dall’atrio la sua visuale era bloccata dalla porta. C’era un’altra porta, stranamente dipinta di rosso scarlatto. Come in sogno, con una sensazione d’irrealtà, Redpath protese la destra verso la maniglia.
“Ehi, amico, lascia stare! Mi è venuta in mente una spiegazione perfetta. È tutta colpa del Composto Centottantatré! Conosci i particolari della cucina perché li hai assorbiti, per via telepatica, da Betty York o dagli altri. È una cosa che ti succede già da un pezzo. Non è chiaro?
Redpath aprì la porta, vide solo vagamente gli scalini di pietra che scendevano giù nel buio. L’aria era più calda di quanto si aspettasse. Calda e pesante.
Scese due scalini, si fermò al limite della sua visuale, in ascolto.
“Ragazzo mio, ma lo stai facendo sul serio? Lo sai cosa stai facendo, no? È come in quei vecchi film dell’orrore, quando l’eroe è tanto stupido da andarsi a cacciare fra le zampe del mostro. E i bambini che guardano il film tremano di paura, gli urlano di tornare indietro, ma lui no, va avanti. Sul serio, John, credevo che tu avessi un po’ più di cervello…”
Redpath scese un altro gradino e si fermò di nuovo, cercando di penetrare le tenebre. Sotto, qualcosa si mosse con un risucchio viscido, ripugnante.
Slughhh. Slughhh. Slughhh.
Tornò indietro di uno scalino, scosse la testa. Fra le cose che in genere si trovano in una vecchia casa, cosa poteva produrre quel rumore?
Slughhh. Slughhh. Slughhh.
— D’accordo, casa. Hai vinto — mormorò Redpath. Risalì le scale e chiuse la porta rossa. Ormai non gl’importava più che lo sentissero. Corse nell’atrio, arrivò all’ingresso. La porta esterna era chiusa da due catenacci e da una serratura Yale, ma Redpath fu veloce, abilissimo.
Dopo qualche secondo era già sulla strada, sotto il sole timido dell’alba, e correva via.
Seconda parte
6
Osservando la città che tornava alla vita di tutti i giorni, Redpath ritrovò fiducia nell’esistenza della normalità; ma fu un’esperienza dolceamara. Fra lui e le altre persone si era creata una barriera estremamente solida. Si sentiva un estraneo, spinto da motivi artificiali, come un giornalista televisivo che cercasse di assorbire l’atmosfera di Calbridge per un documentario. Trascorse ore a passeggiare in centro, a bere caffè nei bar semibui; scrutò le facce di un migliaio di persone, e capì che nessuno aveva mai pugnalato un altro essere umano, che tutti sapevano operare distinzioni nette fra realtà e illusione, che non si erano mai permessi di credere che una vecchia casa fosse viva e malvagia. Era completamente solo, tagliato fuori.