Quando si sentì pronto ad affrontare la polizia, guardò l’orologio. Erano esattamente le nove. Chissà se il suo inconscio aveva aspettato l’orario in cui la polizia riprendeva l’attività normale. Da un inconscio come il suo c’era da aspettarsi di tutto. Posò l’ennesima tazza di caffè, bevuta a metà, uscì e si avviò verso il centro. Camminò per più di un chilometro verso il posto di polizia più vicino, un edificio a due piani, di mattoni rossi e blu. Sul fianco, un cancello portava al parcheggio interno per le macchine di servizio.
Stava salendo gli scalini, quando un’auto grigia spuntata dal parcheggio si fermò improvvisamente davanti al cancello. Le gomme stridettero. Il finestrino dalla parte dell’autista si abbassò. Redpath si trovò a fissare la faccia vagamente familiare, pallida, di un uomo dalla corporatura robusta. “Pardey” pensò. “Frank Pardey. Ma come faccio a conoscerlo?”
— Voi — disse freddamente Pardey, puntando l’indice come una pistola. — Venite qui!
Sorpreso di scoprire che riusciva ancora a indignarsi, Redpath si fermò un attimo, tanto per fargli capire che non accettava ordini così perentori; poi si avvicinò lentamente all’auto. — Sì?
— Siete John Redpath, vero?
— Sì. — “Adesso ricordo. Ci siamo incontrati a un party. Mi pare a casa di Vicki Simpson.”
— Cosa ci fate qui, Redpath? Cosa volete?
Perplesso dall’ostilità di Pardey, decise di affrontarlo di petto. — Conoscete Leila Mostyn?
— E allora?
— Ieri… Ieri l’ho uccisa a coltellate.
Pardey lo studiò coi suoi occhi blu. Non era sorpreso, nemmeno impressionato; solo freddo e disgustato. — Redpath — disse piano — è meglio per voi se sparite.
— Come?
— Mi avete sentito. Sparite.
— Non mi credete? — chiese Redpath, furioso perché il poliziotto non reagiva a dovere. — D’accordo, parlerò coi vostri colleghi. — Gli voltò la schiena e si incamminò verso il posto di polizia.
— Un attimo — disse Pardey, irritato. — Che razza di scherzo idiota è mai?
— Scherzo? — Redpath rise nervosamente. — Questa sì che è buona. Uno scherzo!
Pardey socchiuse gli occhi, pensieroso. — E a che ora avreste ucciso Leila?
— Verso l’una di ieri. Nel suo appartamento.
— Ne siete sicuro?
— Su cose del genere non ci si sbaglia.
— Comunque io ho visto Leila ieri sera alle sei, e stava perfettamente bene. — Pardey era molto sicuro di sé, lo scrutava con occhi attenti. — Cosa mi rispondete?
La bocca di Redpath era secca. Si sentiva pizzicare la fronte, le guance. — Ma…
— Adesso ve lo dico io cosa avete fatto ieri all’una. Siete entrato nell’appartamento di Leila mentre lei non c’era e avete sventrato uno dei suoi cuscini con un coltello da cucina. Vi siete ferito alla mano, ma nient’altro.
Redpath rivolse un sorriso idiota al poliziotto, poi si voltò, afferrò la cancellata metallica. Restò immobile per un attimo, cercando di frenare i conati che gli scuotevano lo stomaco, poi vomitò il caffè che aveva appena bevuto.
— Salite in macchina. — La voce di Pardey era lontana. Si sentì afferrare, percepì il profumo di bucce d’arancia e l’odore della cenere di sigaretta che permeavano l’auto. Vide confusamente le strade che ruotavano attorno a loro, mentre la macchina partiva. Un autobus, un ammasso incoerente di metallo color zafferano e cartelloni pubblicitari, riempì per un attimo la sua visuale, scomparve quando Pardey lo sorpassò.
— Sono finito — mormorò Redpath. — La realtà… si sta sciogliendo.
Pardey gli lanciò un’occhiata di traverso. — Come mai, Redpath? Droga?
— Penso di sì.
— Pensate di sì?
Redpath concentrò tutte le sue forze nel tentativo di dare una forma logica alle parole. — Lavoro all’Istituto Jeavons. Hanno fatto esperimenti su di me, con nuove droghe. Dev’essere successo qualcosa. Sentite, finché non vedo Leila coi miei occhi non crederò che sia ancora viva.
— Lavora anche lei lì, vero?
— Credo di sì, ma non è detto che le mie opinioni siano…
— Dovrebbe esserci già? Sono quasi le nove e mezzo.
— Dovrebbe esserci. — Redpath cercava di scacciare la visione di un corpo morto, orribilmente sfigurato dai colpi di coltello. — Mi piacerebbe vederla.
Pardey annuì senza entusiasmo. — Mi raccomando, niente colpi di testa. Se Leila non fosse un’amica vi avrei già sbattuto dentro. Ad ogni modo dovrete fornirmi prove molto solide, se no… — Guardò di nuovo Redpath, strinse le labbra, si concentrò sulla guida. Sembrava una molla troppo compressa, sul punto di esplodere.
Redpath capì che era meglio restarsene in silenzio. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal movimento dell’auto. Deglutì diverse volte, per scacciare il sapore amaro di bile che aveva in bocca e in gola.
Dopo la morte di suo padre, Redpath era stato tormentato per mesi da sogni in cui suo padre era ancora vivo. Si era sempre risvegliato triste, inquieto, in preda a sensi di colpa; ma in quei sogni così veri aveva conosciuto momenti di felicità rara. Trovarsi ancora con una persona cara gli aveva procurato gioia, piacere, sollievo; provare sensazioni diverse avrebbe significato rovinarsi la vita.
Adesso, mentre guardava Leila seduta dall’altra parte della scrivania nell’ufficio di Nevison, provava le stesse emozioni. Leila era miracolosamente e meravigliosamente viva, calda, vera, vestita come sempre, col suo camice bianco, la camicetta trasparente e la gonna di tweed. Redpath non si fidava più dei propri sensi; però gli sembrò che mentre raccontava tutto, lei si preoccupasse davvero per lui, che senza accorgersene stesse arrivando a quel tipo di relazione esclusiva, speciale, totale, che lui desiderava. Per un risultato del genere. era pronto a rivivere all’infinito le ultime ventiquattro ore.
Nevison gli aveva chiesto di badare, nel suo racconto, sia ai fatti reali sia a quelli immaginari, senza distinzione; e lui riferì tutti i particolari che ricordava delle allucinazioni, dei sogni e degli incubi. Parlò per quasi un’ora. Pardey e Nevison di tanto in tanto prendevano appunti, anche se era in funzione il registratore. Quando raccontò di lei, particolarmente durante la scena dell’omicidio, Leila arrossì e restò a fissarsi le mani posate sul tavolo. Sembrava pensierosa, a disagio. Redpath si scusò con lei mentre Nevison cambiava il nastro del registratore.
— I sogni dovrebbero essere proprietà privata — le disse. — Ci scommetto che il contratto con l’istituto non prevede cose del genere.
Lei gli sorrise debolmente. — Non avevo capito cosa ti stava succedendo.
— Non l’avevo capito nemmeno io. — Anche lui cercò di sorridere. — E sai qual è la cosa peggiore? Mi è venuto in mente adesso. Devono avermi fregato la pompa della bicicletta!
— Ma tu scherzi sempre?
— Non è uno scherzo — le rispose, fingendosi serio. Il fatto di poterle parlare, di vederla viva, gli sollevava lo spirito. — La pompa era nuova di zecca. Probabilmente l’hanno riverniciata e spedita in Europa. Ho sentito dire che c’è un mercato enorme per le…
— Secondo nastro — intervenne Nevison. — Riprendi dal punto in cui ti eri interrotto, John.