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Redpath annuì, ricominciò il racconto. Si fermava di tanto in tanto a chiarire qualche particolare, su richiesta di Nevison. Narrò l’attacco epilettico, la fuga all’alba dalla casa di Raby Street. Adesso che era lì, nell’ufficio di Nevison con le pareti coperte di libri, così tranquillo, gli venne la tentazione di non parlare della spedizione in cantina, di non ammettere che si era lasciato spaventare solo da un rumore insolito. Ma il registratore era lì a ricordargli che aveva promesso di confessare tutto, per amore della scienza. Quindi raccontò tutto, scrutando con una certa vergogna le facce degli altri, e concluse con l’incontro con Pardey al posto di polizia. Quando smise di parlare, il silenzio nella stanza era così intenso che il ronzio del registratore sembrava assordante, mostruoso, gelido. Nevison lo spense. All’interno del registratore, per un attimo, si accese una luce intensissima.

— Credo proprio di dovere le mie scuse a John — disse Frank Pardey, alzando gli occhi dal blocco per appunti. — Non avevo idea degli esperimenti che fate qui. Non credevo che usaste droghe. Naturalmente sono qui soprattutto nella veste di amico di Leila, però penso che se iniettate roba del genere ai vostri soggetti dovreste tenerli sotto controllo finché l’effetto non cessa.

Nevison scosse la testa. — I composti chimici che usiamo non sono allucinogeni.

— Però fanno vedere cose che non esistono — disse Redpath, sarcastico. Scoprire che Nevison rifiutava ogni responsabilità per quello che gli era successo lo sorprendeva e lo irritava.

— Questa è telepatia — ribatté Nevison. — Se sei telepatico, vedi cose che non hai sotto il naso.

— Un’altra cosa sorprendente… La telepatia! — Pardey si agitò sulla poltrona, guardò gli altri con un sorriso perplesso. — Credevo di sapere tutto quello che succede in città… Ma gli esperimenti di telepatia! E proprio al Jeavons, poi!

— Il concetto di telepatia è accettato dappertutto.

— Non dalle nostre parti — disse Pardey, calcando la voce. — Qui c’è ancora gente che ha i suoi dubbi sul telefono.

Redpath guardò Pardey, leggermente sorpreso, quasi convinto che il poliziotto avesse detto qualcosa d’importante. Adesso che ci pensava, l’Istituto Jeavons (tradizionalista, conservatore, provinciale, non certo un tempio del sapere, semmai un serbatoio di conoscenze tecnologiche utili all’industria locale) gli sembrava il posto meno adatto per un investimento di tempo e denaro in ricerche parapsicologiche. E lui, dato che lavorava lì, non ci aveva mai pensato…

— La cosa che mi lascia davvero sbalordito — disse tranquillamente Nevison, abbandonando un discorso che per lui doveva essere marginale — è il grado di funzionalità dei diversi livelli di coscienza di John, la capacità di scegliere alcuni elementi percettivi e inserirli in un contesto globale a sfondo extrasensoriale o comunque soggettivo. — Si tese in avanti, a scrutare la faccia di Redpath.

— John, ti è ben chiaro che ieri non sono andato a casa di Leila? Le ho solo prestato la macchina per una decina di minuti.

— Sì, adesso lo so.

— Quando Leila è ripartita, non l’hai vista al volante?

— No. I finestrini riflettevano troppa luce. Mi hanno abbagliato.

— E tutto il resto era normale?

— Be’, la vista mi tremolava un po’. Ricordo che ho pensato al distacco delle retine.

— In altre parole, hai avuto l’impressione di vedere un’immagine proiettata su uno…

— Scusatemi, dottor Nevison — intervenne Pardey. — Io non sono dell’ambiente, e voglio togliermi dai piedi il più presto possibile. Ma ho bisogno di fare qualche domanda a John.

Sulla faccia grigia di Nevison apparve una smorfia di disappunto, ma le sue mani rivolsero un cenno d’invito al poliziotto. — Sono sicuro che a John non dispiace.

— Grazie. — Pardey consultò gli appunti, prima di guardare Redpath. — Questa vecchietta con la stanza piena di roba… Avete idea del cognome?

— No. — Redpath si accorse all’improvviso di essere tornato nel mondo normale, dove ogni persona ha le proprie preoccupazioni. — Per me era solo la signorina Connie.

— E questo Albert?

— Era solo Albert.

— Capisco. Avete idea di cosa faccia questa gente per vivere?

— Assolutamente no. Sono rimasto in quella casa per poche ore, e non se n’è mai parlato. Secondo me, Albert faceva l’operaio, tempo fa. — Per la seconda volta in due minuti Redpath capì che Pardey, col suo senso pratico, aveva toccato un punto cruciale. Il giorno prima era martedì, giornata lavorativa, ma nella casa di Raby Street nessuno era andato al lavoro. Come facevano a mantenersi?

— Mi pare un po’… — Pardey fece scorrere la penna contro la spirale di plastica del blocchetto, e quel rumore sembrò quasi frastornante. Gli occhi blu del poliziotto erano meditabondi. — C’è un telefono? Vorrei chiamare l’ufficio.

— Sul pianerottolo, seconda porta a destra — disse Nevison. Aspettò che Pardey se ne fosse andato, poi rivolse a Redpath un sorriso stranamente comprensivo. Redpath si girò a guardare la finestra. Non voleva arrendersi così in fretta.

— John, ti prego, non pensare che vogliamo abbandonarti a te stesso — disse Nevison. — Hai passato un’esperienza molto brutta, e come direttore del reparto me ne sento responsabile. Nessuno aveva previsto esattamente gli effetti del Composto Centottantatré sulle tue percezioni, e…

— Però tu hai detto che il Composto non c’entrava niente — ribatté Redpath. — E hai detto che sono io a essere uscito di testa.

Nevison sorrise di nuovo. — Io ho solo detto che il Composto Centottantatré non ti ha dato allucinazioni. Sono sempre convinto che tu stia ricevendo emanazioni telepatiche di cui ignoriamo la fonte, e che tu non sia ancora in grado di interpretarle correttamente.

— Ma che interpretazione e interpretazione! Se vedi una cosa, la vedi.

— Non è così semplice, John, credimi. Se prendi la fotografia di un televisore e la mostri a un aborigeno che in vita sua non ha mai visto un televisore o una fotografia, non avrà la più pallida idea di cosa sia. Vedrà solo un foglio di carta pieno di macchie colorate. Per estendere l’esempio, il diagramma dei circuiti elettronici di quello stesso televisore a te non direbbe niente, mentre per un tecnico sarebbe una miniera d’informazioni chiarissime. Capisci?

— Io ti capisco, ma sei tu che non capisci me.

— Andiamo un po’ oltre. — Nevison ostentava una pazienza estrema. — Quando hai sognato di trovarti negli Stati Uniti, come si chiamava la città?

— Gilpinston.

— E lo stato qual era?

— Credo l’Illinois. — Redpath era restio a rispondere. Sapeva che Nevison gli stava preparando una trappola.

— Bene. Per quanto tu ne sappia, hai mai sentito parlare di Gilpinston, nell’Illinois?

— No, ma non capisco cosa…

— Guarda, tiro a indovinare — disse Nevison, poi si alzò e si avvicinò a uno scaffale della libreria — ma è solo per una buona causa. — Prese un atlante, lo aprì all’indice e lo mise davanti a Redpath. — Forza, John, cerca Gilpinston.

Redpath ubbidì, lasciò scorrere il dito sulla pagina, poi si fermò di colpo, irrequieto. Aveva trovato le parole “Gilpinston, Ill., U.S.A.”, seguite dal numero della pagina e dalle coordinate della mappa.

— Cosa vorresti dimostrare? — chiese, fissando Nevison con una smorfia. — Come facevi a sapere che la città esiste davvero?

Prima di rispondere, Nevison tornò a sedere dietro la scrivania. — Non lo sapevo. Non ho mai sentito nominare Gilpinston prima di stamattina.

Leila si alzò, andò a sedersi sulla poltrona accanto a quella di Redpath, gli mise una mano sulla spalla, guardò l’atlante. — Secondo te, questa sarebbe la prova che si è trattato di un fenomeno telepatico?