— Non è così semplice. — Nevison era pensoso. — Potrebbe essere telepatia, o il ricordo inconscio di una località. A John cercavo solo di dimostrare che il rapporto fra la sua coscienza e la sua mente è più complesso di quanto lui non creda. Ti farò un altro esempio utilizzando lo stesso sogno… John, sei mai stato in America?
— Mai. — Redpath rispose automaticamente. La cosa che gli interessava di più era che Leila fosse rimasta al suo fianco. Sentiva il profumo che lei usava sempre.
— Come pensavo… Eppure, quando hai descritto quella cantina, hai detto che l’interruttore era abbassato, e che per accendere la luce hai dovuto alzarlo.
Redpath scrollò le spalle. — E allora?
— In America gli interruttori sono fatti così. Per accendere la luce bisogna tirarli su.
— Ma non è possibile. È logico che la luce si accenda abbassando la mano. Insomma… — Redpath, sempre più incerto, si interruppe. Cominciava a capire che lui e Nevison, fin dall’inizio, stavano discutendo su due livelli diversi.
— Anche questo potrebbe essere un dato assimilato dall’inconscio — disse Leila. — John ha visto un sacco di film americani, e forse ha notato la cosa senza rendersene conto.
— Hai perfettamente ragione. — Nevison era salomonico. — Vorrei solo far capire a John che i panorami mentali fra cui si è messo, non importa se derivati da fattori interni o esterni, non sono la stessa cosa di un disegno animato. Forse il problema maggiore della comunicazione telepatica sta nell’incompatibilità fra il soggetto che trasmette e il soggetto che riceve. Forse all’inizio sarà molto difficile interpretare i messaggi.
Leila tirò un gran sospiro, che a Redpath parve d’impazienza. — Non dovresti preoccuparti un po’ di più degli effetti clinici delle tue droghe? Lo so che non sono faccende di mia competenza, però praticamente John ha perso un giorno di vita, e se non sbaglio ieri poteva succedergli di tutto.
— Stamattina gli farò un check-up completo, prima di riprendere con gli esperimenti.
Redpath tossì teatralmente. — Volevo solo ricordarti che ci sono anch’io. Non hai nemmeno intenzione di chiedere la mia opinione?
— Certo. Però pensavo che volessi procedere con gli esperimenti, visto che ti trovi in condizioni eccezionali — rispose Nevison. — Adesso come ti senti?
— Bene, immagino. — Redpath si fece un veloce esame fisico e mentale. Scoprì di essere in perfetta forma, tranquillo, dato che Leila era viva e l’incubo era finito. — Anzi, mi sento benissimo. Mi sembra quasi che l’attacco di ieri notte abbia sistemato… — S’interruppe all’aprirsi della porta.
— Scusate se ci ho messo tanto — disse Pardey, ed entrò sollevando il ginocchio per aria come una majorette, il che non sembrava per niente adatto a un uomo del suo fisico. Si mise a sedere e controllò qualcosa sul blocchetto degli appunti, poi si rivolse a Redpath.
— Il vostro amico Tennent pare vivo e vegeto — disse. — Mi piacerebbe fare quattro chiacchiere con lui.
— Cos’ha fatto?
— Probabilmente vive di scommesse. Ha ridotto sul lastrico gli allibratori di quattro diverse zone del paese.
— E non se lo possono permettere? — A Redpath tornò in mente l’amicizia gioviale di Tennent, che era forse l’unico ricordo non indegno del giorno prima. Non gli andava affatto l’idea di dover guidare la polizia sulle sue tracce.
— Oserei dire che nessuno può permettersi di finire sul lastrico, ma c’è un’altra cosa. — Pardey aveva un tono molto pratico. — È ricercato in rapporto alla scomparsa di un certo Reginald Adams Selvidge, altrimenti noto come Prince Reginald, un artista ambulante che leggeva il pensiero e che e sparito otto anni fa circa.
— Leggeva il pensiero? — Redpath guardò gli altri, sorpreso. — È strano.
Pardey annuì. — È venuto in mente anche a me. Ieri non lo avete incontrato, per caso?
— E perché dovrei averlo incontrato?
— Dicevo così per dire. Scherzavo.
“Bello scherzo” pensò Redpath, seguendo i pensieri del poliziotto. “Bello scherzo, molto significativo. Quella casa di Raby Street è una specie di ricovero per mostri in pensione, e io sono stato accolto a braccia aperte…”
Pardey chiuse il taccuino, se lo mise in tasca e si alzò. — Okay, John, andiamo a recuperare la bicicletta.
Redpath strizzò gli occhi. — E dov’è?
— Spero che sia dove mi avete detto. Al numero centotrentuno di Raby Street.
— Non voglio tornarci subito — ribatté Redpath.
— Perché?
— Sarebbe imbarazzante. Ieri pensavano tutti che mi sarei trasferito lì…
— Strano — intervenne inaspettatamente Nevison — ma l’indirizzo mi sembra quasi familiare.
— Volete riprendervi la bicicletta, no? — chiese Pardey, fissando John con interesse divertito.
— Posso mandare qualcuno.
— Se non mi sbaglio — continuò Nevison — una volta lì c’era un dottore, o un dentista.
A quell’ultima parola, Redpath fiutò l’aroma debole, ma inconfondibile, dei chiodi di garofano; e improvvisamente ricordò che da bambino era andato in quella casa di Raby Street, forse una volta sola, dal dentista. L’aroma sinestetico dei chiodi di garofano (allora si usava l’essenza di chiodi di garofano per ripulire la bocca) si era presentato automaticamente ai suoi sensi, entrando nell’atrio con Betty York.
“C’ero già stato, maledizione!”
Quella rivelazione, forte e improvvisa come un raggio di sole, cambiò immediatamente l’atteggiamento di Redpath nei confronti della casa, anche se in modo non del tutto razionale. Adesso era convinto che il senso d’inquietudine che lo aveva oppresso derivasse dall’agitarsi di ricordi sepolti che cercavano di riemergere. Da bambino aveva un sacro terrore dei dentisti; era certo che fosse bastata quella paura (repressa, negata) a intorbidare le acque delle sue reazioni emotive di fronte alla casa. Sì, restavano da spiegare molte cose, però…
— Alla bicicletta potrei pensarci anch’io — disse Pardey — ma se non venite voi a riprendervela le cose diventerebbero molto complesse.
— Probabilmente è meglio che vi segua, per dare un taglio a tutta questa storia. — Redpath si alzò, si trovò vicino a Leila, e impulsivamente le prese una mano. — Leila, per te non dev’essere stato molto divertente… Tutti quei miei incubi… Mi dispiace che sia andata così.
Lei gli rivolse uno sguardo caldo, diretto. — Non preoccuparti. Sono contenta che tu stia bene.
— Non quanto io sono contento che stia bene tu. — Redpath voltò gli occhi verso il cielo, come un santo di El Greco, e Leila sorrise, e il fatto di vederla sorridere, di essere stato lui a farla sorridere, gli diede una soddisfazione immensa.
— Voglio che tu torni entro le due, per una serie di test psicometrici — disse Nevison, togliendo il nastro dal registratore. — Dovresti avere il tempo di fare un salto a casa e darti una rinfrescata.
— Capito — rispose Redpath, toccandosi il mento ispido di barba. Uscì con Pardey fra chiacchiere e saluti, ormai sicuro che la vita era meravigliosa, che di tanto in tanto vale la pena di traversare un tunnel buio per apprezzare come si deve il sole che splende all’altro capo del tunnel. Era talmente euforico che per un attimo si chiese se non si trattasse di un altro preludio psicotropico, della dolcezza ingannevole che precedeva un attacco; ma decise, pensandoci, che quella sensazione era autentica e giustificata. Era un uomo normale, con tutti i difetti e i problemi di un uomo normale, ma niente di più. A metà scala si fermò a studiare il pavimento verde-crema dell’atrio, che non subì la minima metamorfosi.
— Cosa farete a Tennent? — chiese a Pardey quando furono in macchina, diretti verso il centro. — Dovete arrestarlo?