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— State parlando del corpo astrale”?

— Qualcosa del genere, anche se noi non useremmo quel termine. Il punto è che il soggetto ci ha dato una descrizione precisa della casa e della strada in cui si trova. Qui non abbiamo modo di controllare fino a che punto c’entri la sua immaginazione, ma se il suo racconto coincidesse con la realtà avreste fra le mani una storia piuttosto interessante. Che ne dite?

Ci fu una pausa. — Sarebbe una storia interessante se fossi sicuro che non si tratta di uno scherzo, signor Redpath. Non voglio insinuare niente, ma…

— No, no! Fate benissimo a dimostrarvi scettico. Lo sono anch’io. Vi lascerò il mio numero di telefono in modo che possiate richiamarmi, e vi lascerò anche il numero del professor Nevison all’istituto. Potrete parlare con lui domani e avere conferma di tutto prima di andare in stampa. Naturalmente, se preferite che mi rivolga a un altro giornale…

— No, assolutamente no, signor Redpath. Sono lieto che abbiate chiamato noi. Avete detto che vi ha dato un indirizzo preciso?

— La strada è la tredicesima Avenue S.E… e il numero della casa è due-due-due-quattro. Vi sembra possibile? — Ricevuta conferma, Redpath descrisse la casa, disse che forse il proprietario si chiamava Rodgers, e raccontò tutti i dettagli che ricordava: la porta blu pallido, i numeri di metallo disposti in diagonale, l’idrante appena fuori, il “Gruber’s Delicatessen” all’angolo, il bar “Pete’s Palace”… Concluse dandogli il numero di telefono di Leila e dicendo che aspettava una chiamata di conferma.

— Okay, non mi ci vuole molto ad arrivare alla tredicesima Avenue e controllare — rispose Knight. — C’è altro?

— Ecco… — Redpath esitò. Forse si stava spingendo troppo in là, forse correva un pericolo; ma quello che gli aveva detto Leila gli aveva instillato dei dubbi sui confini tra realtà e incubo. — Per il momento non voglio darvi il nome del soggetto, però deve aver visto qualcosa nella stanza da bagno, qualcosa di spaventoso di cui non ha voluto parlarci. Non so nemmeno perché ve lo dico… Voi non entrerete in casa, vero?

— Dipende. — Nella voce di Knight si sentiva di nuovo una nota di dubbio. — Queste cose si improvvisano sul momento.

— Allora aspetto di risentirvi. — Redpath mise giù il telefono e si girò a guardare Leila, che se ne stava con le mani sui fianchi. Sembrava la caricatura dello sdegno. Redpath non si sentiva più così eccitato, però aveva la certezza confortante di aver fatto una mossa utile, anche se piccolissima, contro le forze del caos e dell’assurdo. Era la prima volta che gli si presentava l’occasione di restituire un colpo.

— Non avevi nessun diritto di fare una cosa del genere, John Redpath — disse Leila. I suoi occhi mandavano lampi di collera. — Cosa dirà Henry se la storia arriva ai giornali? Capisci in che posizione potrebbe trovarsi?

— Credi che io mi diverta? — Redpath afferrò la camicia, cominciò a vestirsi. — Credi che mi piaccia?

— Forse no, ma…

— Forse no! Leila, io sto cercando di rientrare nella razza umana. E una battaglia che devo combattere da solo, ma se quel giornalista richiama e dice che i particolari sono esatti… Be’, qualcuno dovrà starmi a sentire. E tutto.

— E se succede il contrario? — chiese Leila. — Se quella casa non esiste?

Redpath sorrise, stanco. — Allora saprò che ieri sono rimasto tutto il giorno fuori di me. Dovrò accettare l’idea.

— Promesso?

— Non c’è bisogno di promettere. Non arriverei a negare i fatti.

— In questo caso, col pollo vuoi insalata verde o insalata di patate? — disse Leila, cambiando umore.

Redpath capì che lei si aspettava una risposta negativa da Dave Knight, e che nel frattempo preferiva non affrontare più l’argomento. L’idea di una tregua, di un ritorno alla normalità, per quanto momentaneo, era indubbiamente attraente. Si prestò subito al gioco.

— Insalata verde — disse — però voglio prepararla col mio condimento speciale all’italiana. Fa miracoli. Non si limita a stimolare le papille gustative;le fa marciare su e giù per la lingua a branchi agguerriti che chiedono cibo, cibo.

Leila si avviò alla porta. — Perché esageri sempre?

— Non hai mai visto un’armata di papille gustative inferocite? — le disse, seguendola in cucina. — È uno spettacolo spaventoso.

Aiutò Leila a preparare una cena semplice. Mentre mangiavano scoprì che la televisione dava uno dei suoi film preferiti, un thriller comico con Jack Haley, “Scared Stiff”. Leila accettò di guardarlo; e mentre se ne stavano seduti assieme in quel buio invitante, ridendo delle stesse cose di cui altra gente aveva riso in altri tempi e in altri posti, sentendosi vicini, lui desiderò che il telefono non squillasse. Voleva un po’ di calma. Era stanco di discutere e di sentirsi spaventato, di lottare per assimilare concetti estranei a quelli su cui si era basato fin da bambino, e poi tutto sembrava così magico, così tranquillo, lì su quel divano, accanto alla donna che amava, mentre le tenebre scendevano dal cielo e niente gli impediva di lasciarsi risucchiare nel minuscolo universo meraviglioso del tubo catodico, dove la faccia di Jack Haley fluttuava periodicamente come una cometa… una cometa comica… una cometa comica che gli faceva venir sonno…

Redpath si addormentò tranquillamente, pacificamente.

A qualche chilometro di distanza, sull’altro lato della città, i lampioni blu e bianchi si erano accesi lungo il canyon di mattoni rossi di Woodstock Road, proiettando ombre innaturali, producendo strane metamorfosi nel colore dei vestiti e delle macchine. Gli autobus correvano ancora, costellazioni mobili e solidissime di stelle gialle; e le luci dei negozi scavavano alti zampillii nel buio, luci color miele nel caso dei negozi di confezioni, delle tabaccherie, delle tavole calde, dei locali pubblici vecchio stile; e luci fredde, immobili, bianche, nel caso di agenzie immobiliari, imprese edili e negozi di lusso che lasciavano le vetrine accese tutta la notte, per incoraggiare i passanti e scoraggiare i ladri. Anche i semafori aggiungevano la loro luminosità di rubino, topazio e smeraldo, e non si sarebbero mai fermati per tutta la notte, dirigendo pazientemente i flussi e contro-flussi di veicoli che esistevano solo nelle protomenti delle loro scatole automatiche di controllo.

Quindi, Woodstock Road non si trovava mai completamente al buio; ma già da un po’ la notte si era impossessata delle stradine trasversali della zona. Lì i lampioni mandavano una luce più debole, ed erano molto meno numerosi. Alcuni poi non funzionavano più, e i tecnici comunali non se ne erano mai accorti; altri erano stati rotti, o per il piacere del vandalismo o per loschi interessi. Bastava allontanarsi di poche centinaia di metri dalla via principale, svoltare un paio di angoli, per entrare in una regione buia dove i passanti erano rari. Chi si avventurava fuori la notte di solito camminava in fretta, a testa bassa, e si faceva i fatti suoi.

E in Raby Street non c’era proprio nessuno, nessuno che potesse accorgersi che all’improvviso si erano accese le luci dietro le finestre della casa contrassegnata dal numero centotrentuno.

Per un attimo Redpath si trovò a guardare il pavimento verde-crema; ebbe paura che l’incubo ricominciasse, ma il tono del sogno era diverso. Riuscì a identificare subito il pavimento luminoso, capì senza il minimo dubbio che le mattonelle luminose facevano parte di una grande macchina. Automaticamente paragonò quella struttura al pannello di un computer, al quadro comandi di un aereo; ma i principi tecnici usati per costruire quella cosa erano lontanissimi dalle conoscenze della razza umana. Sentiva fluire in sé informazioni di cui non comprendeva né la forma né il contenuto. Al di sotto di alcune di quelle lastre trasparenti s’intuivano movimenti continui, furtivi. Redpath sapeva che a muoversi non erano pezzi meccanici o elettronici: la macchina incorporava in sé componenti organici, vivi, anche se la loro funzione gli era incomprensibile.