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Leila preparò tazze e piattini, poi aprì un contenitore e tirò fuori un dolce rettangolare. Si guardò attorno, stranamente esitante, prese un coltello da cucina e cominciò a tagliare il dolce a pezzettini, con meticolosità estrema.

— Quest’ultima parte non la capisco. — La sua voce era quasi normale. — A cosa dovrebbero servire tutti quei controlli mentali, quelle manipolazioni?

— Semplicissimo. Si tratta di vita o di morte. Il nostro alieno è inseguito da un altro membro della sua razza, un killer dotato di poteri che tu e io non possiamo nemmeno immaginare; per cui deve restarsene tranquillo. In un caso del genere, un uomo non dovrebbe muoversi o fare rumore. Per il mostro di cui stiamo parlando, questa situazione significa non poter usare molte delle sue doti naturali. Il fatto è che non poteva sopravvivere senza quelle doti, per cui cos’ha fatto? Come ha superato il problema?

Leila smise di tagliare il dolce. — Ha usato dei surrogati.

— Esatto. — Redpath si sentì incoraggiato. Da un po’ di minuti le sue stesse parole gli sembravano incredibili. Si stava chiedendo se un’altra persona potesse accettare una storia così stravagante. All’inizio aveva deciso di calmare Leila, di costringerla a credergli; poi gli era parso che tutta quella calma fosse controproducente, che forse la cosa migliore era lasciare libero sfogo all’istinto, urlare al mondo che lui sapeva, che la megamorte stava per abbattersi sul pianeta, e che il tempo a disposizione era pochissimo. Però Leila reagiva meglio di quanto non avesse previsto. Forse sarebbe riuscito a convincerla.

— Esatto — ripeté. — Ecco cosa sono le persone che vivono in quella casa: surrogati, schiavi, protesi. È questo il fattore comune che cercavo. Capisci, agiscono in gruppo. Ognuno mette a disposizione le proprie doti, e il… grande burattinaio se ne sta nascosto. L’alieno che dà la caccia al mostro di Raby Street non nutre il minimo interesse per la razza umana. Non tiene in nessun conto le nostre attività, nemmeno le rare attività paranormali. E quella cosa vive sotto la casa di Raby Street da anni, da decenni. [la sempre usato gli esseri umani come animali da macello. Quando diventavano inutili, se ne liberava.

— E non se n’è mai accorto nessuno?

— Fa di tutto per non farsi notare, e c’è riuscito benissimo, visto come stanno le cose. Il concetto di famiglia dev’essergli completamente estraneo, però ha cercato di ricrearlo per tenere in piedi la commedia. Ogni sera quella gente si mette a cantare, e sembrano felici e contenti, e la signorina Connie lavora a maglia come tutte le vecchie di questo mondo, anche se non fa niente di preciso. Sferruzza, e basta. Io ho trascorso lì una sola sera, Leila, ma qualcun altro l’ha fatto per anni e anni, sera dopo sera, giorno dopo giorno…

Redpath s’interruppe, pensieroso. — Hai mai pensato che l’inferno possa essere una vecchia stanza semibuia, con poltrone imbottite e vassoi di panini, dove è proibito urlare per non attirare l’attenzione dei vicini?

Leila guardò il coltello, pensosa. — È difficile credere che qualcuno possa controllare a questo modo degli esseri umani, forzando la loro volontà.

— Ma è vero, Leila. Comunque ho il sospetto che all’inizio il controllo non sia così totale o immediato. Credo che per i primi tempi si debba restare nel raggio d’azione del mostro. È, per questo che Betty York è venuta a cercarmi e ha usato tutte le sue risorse per portarmi in quella casa. Probabilmente Albert è l’unico che di tanto in tanto disobbedisce. Sono quasi sicuro che quando gli viene voglia “fa un salto” in America solo per comprarsi le sigarette. Forse è l’elemento più difficile da controllare perché può spostarsi a suo piacimento. Sì, ha trasportato anche me nella casa di Gilpinston. Ci scommetto che quello scherzo me l’ha combinato lui. Voleva…

Redpath esitò di nuovo. — Per i cadaveri nella vasca da bagno avevi ragione tu, Leila. Non facevano parte dell’incubo, credo. Devo averli visti sul serio. Ma perché mai qualcuno dovrebbe scorticare due cadaveri? Dev’esserci ancora qualcosa che non… — Smise di parlare. Una sensazione familiare, ma ugualmente orribile, stava nascendo dietro i suoi occhi. Il suo cervello era invaso dal gelo. Nella sua testa c’era un serpente gigantesco che cominciava ad agitarsi.

— Non capisco una cosa. — Leila si girò a guardarlo, stringendo il coltello con aria noncurante. — Se tu ti sei trovato in quella casa, sotto il controllo del mostro, come hai fatto a sfuggirgli?

Redpath si portò le mani alle tempie, le rivolse un sorriso forzato, imbarazzato. — Non ci sei arrivata? Credevo che fosse ovvio. — Oscillò leggermente. La pressione sul suo cervello diventava più forte. Adesso la sua voce era stridula, innaturale. — Ho perso tempo… Credevo di essere al sicuro… [la bisogno di me, capisci… Vuole che io dia l’allarme prima che scoppi la bomba… Il nato-Tre-Volte bombarderà l’astronave, e userà una bomba molto potente, un’arma terribile… L’Inghilterra non esisterà più, Leila… Forse non resterà niente dell’Europa…

Redpath sospirò all’improvviso, fissò Leila come se la vedesse per la prima volta, cercò di controllare il tremito spasmodico dei muscoli della bocca. — Ti dirò cosa devi fare, Leila. La casa di Gilpinston è il suo rifugio, e per questo è così lontana. Pochi secondi prima che esploda la bomba… Appena prima dell’esplosione… La cosa, il grande burattinaio, si farà trasportare lì da Albert. Dopo l’esplosione ci sarà silenzio completo. Silenzio ESP, voglio dire. Il nato-Tre-Volte aspetterà un po’, resterà in ascolto, ma non percepirà niente e ripartirà, soddisfatto. Probabilmente morirò anch’io, perché il grande burattinaio non vuole correre il rischio che io sveli la sua presenza, ma tu puoi impedire tutto questo. Noi due possiamo impedirlo, se lavoriamo di comune accordo. Basta uccidere il grande burattinaio prima che cada la bomba. Il nato-Tre-Volte saprà cos’è accaduto. Scruterà la Terra coi suoi sensi e non farà cadere la bomba. O almeno lo credo. Tu mi aiuterai, vero, Leila? Dimmi che mi aiuterai, per amor di Dio!

Redpath afferrò Leila per le spalle, serrò le dita sulla sua carne tenera. Lei indietreggiò, mosse le labbra, e affondò il coltello nel corpo di Redpath. Il dolore fu assoluto, tremendo; una sintesi di tutti i dolori che avesse mai provato. Allentò la presa sulle spalle di Leila e guardò il coltello. Gli aveva trafitto la camicia, era penetrato in maniera superficiale nell’accumulo di grasso sottocutaneo quasi all’altezza della vita, e lì si era fermato. Leila, irrigidita, tremante, stringeva ancora l’impugnatura.

— Non volevi farlo — le disse, dolce, quasi paterno; poi le tolse il coltello di mano, lo ripulì dal sangue. — Ti ho spaventata e tu hai reagito perché eri impaurita, però non permetteremo che un incidente banale come questo modifichi i nostri piani, vero”?

— No, John. — La voce di Leila era debolissima. Le lacrime le scendevano copiose lungo le guance. — Scusami se…

— Non preoccuparti. — Redpath mise il coltello sul tavolo, strappò un po’ di carta dal distributore appeso al muro, l’infilò sotto la camicia per tamponare la ferita. Il sangue era già sceso, aveva formato una macchia sui calzoni, appena sotto la cintura. Stringendo la carta con la sinistra, Redpath concentrò tutta la sua attenzione su Leila. Il dolore improvviso gli aveva schiarito leggermente le idee, ma quelle pressioni intangibili erano cresciute in maniera enorme. Nel suo cervello si era scatenata una forza che adesso lottava, impaziente, selvaggia, per prendere il sopravvento.