Tesa, nervosa, si tolse la giacca, la ripose sull’attaccapanni; poi, tanto per fare qualcosa, sparecchiò la tavola e lavò i piatti. Quando ebbe finito era in preda a una tristezza profondissima, che permeava ogni suo pensiero e minacciava di travolgerla se solo rifletteva sulla calamità incredibile che aveva colpito Redpath. In due giorni, da quel “flâneur” normalissimo e simpatico che era, con un suo fascino disperato, con l’unico grande difetto di essere terribilmente possessivo, era diventato uno sconosciuto imprevedibile, convinto delle idee più pazzesche su alieni e dischi volanti.
Uno degli aspetti più inquietanti della metamorfosi era quell’aria di convinzione estrema, fanatica, che permeava le sue fantasie. A Pangbourne, Leila conosceva un ragazzo che aveva perso la ragione. A volte si metteva a parlare per ore intere degli emissari del Regno d’Orione che un giorno sarebbero giunti dal cielo a rapirlo, ma nei suoi occhi era sempre dipinto lo stupore. Lo stupore nasceva dal fatto che il ragazzo era ancora, almeno parzialmente, in contatto con la realtà, e lottava per conciliare due visioni del mondo in conflitto fra loro. John, invece, era mortalmente sicuro, era assolutamente convinto. Leila sapeva poco di patologia psicologica, ma aveva il sospetto che un’allucinazione così completa e intensa dovesse avere effetti prolungati. Forse il Composto Centottantatré non era semplicemente una droga psicosomimetica, forse aveva scatenato una follia irreversibile.
L’idea che il vecchio John Redpath fosse scomparso per sempre le fece capire che aveva cominciato, inconsciamente, a considerarlo parte integrante della propria esistenza. Sbalordita di scoprire che quella parte di sé che gli scrittori romantici chiamano cuore, e che lei pensava di avere sotto controllo assoluto, era un organo dotato di volontà propria, capace di creare situazioni impreviste, Leila bevve un po’ di caffè e si ritirò in soggiorno ad aspettare la telefonata di Nevison. A mezzanotte pensò di andare a letto, poi rinunciò: forse Nevison sarebbe corso subito da lei. Si accomodò sul divano, lesse i primi due capitoli di un romanzo senza riuscire a entrare nella storia, e chiuse gli occhi.
Qualche minuto dopo l’una la svegliò il trillo insistente del telefono. Si alzò, gelata, apprensiva, corse nell’atrio, sollevò il ricevitore.
— Grazie, grazie di aver chiamato, Henry — disse. — Stavo aspettando che…
— Chiedo scusa. — A interromperla era stata una voce sconosciuta. — Non è il numero del signor Redpath?
Leila riconobbe l’accento americano, e il suo senso d’apprensione crebbe. — Il numero è giusto, ma al momento John non è in casa.
— Oh! Quando posso trovarlo?
— Non tornerà per un po’ — rispose lei, poi obbedì a un impulso incomprensibile. — È dovuto uscire per una questione urgente, ma mi ha pregata di rispondere alla vostra telefonata. Io sono Leila Mostyn, lavoro con John all’istituto. Naturalmente so perché vi ha chiamato.
— Speravo proprio di parlare col signor Redpath.
— Non siete il signor Knight del “Gilpinston Bugle”?
— Sì, certo. — Rassicurato dal fatto che Leila conoscesse il suo nome. Il giornalista si animò. — Sono stato alla tredicesima Avenue, signora… Signorina…
— Leila.
— Grazie, Leila. Come dicevo, sono stato alla casa, ed è tutto vero! I particolari corrispondono perfettamente, anche il nome dei proprietari. Si tratta del signore e della signora T.E. Rodgers, e mi hanno raccontato che da un po’ non si vedono più. Ho pensato che il signor Redpath volesse essere informato subito.
— Siete stato gentile a chiamare — disse piano Leila. Esitò un attimo. Non riusciva a trovare la spiegazione più logica, più ovvia, per dimostrare che anche quella era una prova falsa, che John Redpath era sempre e comunque impazzito.
— Vorrei pubblicare questa storia sul numero di domani, ma il signor Redpath non mi ha dato il numero del… ehm… professor Nevison — continuò Knight. — Voi per caso non…?
— Il professor Nevison è fuori città — rispose subito Leila, quasi automaticamente. — Debbo avvisarvi che è molto scettico su questa faccenda. In tutta onestà, vi dirò che sarà alquanto seccato se viene a sapere che John ha parlato con voi senza la sua autorizzazione. Secondo lui, il nostro soggetto potrebbe aver ricavato tutte le informazioni da elenchi telefonici o lettere o conversazioni.
— L’ho pensato anch’io… Però c’è il particolare del bagno.
— Il bagno? — All’improvviso Leila si accorse delle tenebre che si addensavano alle finestre. — Cosa c’entra il bagno?
— A quanto pare, ieri mattina c’è stata parecchia confusione da quelle parti. La casa è disabitata da un po’, ma un ragazzo ha notato che la porta era aperta e ha deciso di entrare. Probabilmente sperava di trovare qualche soldo per terra. Sapete come sono i ragazzi. Ad ogni modo è tornato fuori a razzo, e sua madre lo ha trovato nascosto sotto il letto. Le ci è voluto un’ora per farlo parlare, ma il ragazzo ha giurato di essere entrato in bagno per fare un bisogno e di aver trovato due cadaveri nella vasca.
— Mostruoso — disse Leila, con voce distante.
— E none tutto. Il ragazzo ha detto che i cadaveri erano scorticati, ed era così sconvolto che la madre ha chiamato la polizia. Quando la polizia è arrivata la porta era chiusa dall’interno, ma una signora che vive nella casa di fronte ha detto di aver visto entrare un uomo coi capelli rossi in tuta marrone. Per cui i poliziotti hanno fatto scassinare la porta da un fabbro e sono andati a vedere in bagno.
— E allora?
— Niente di niente. Tutto a posto. La casa era completamente vuota.
Leila si sforzò di sembrare fredda, indifferente. — In altre parole, tutta questa storia non significa niente.
— Non capite — incalzò Knight. — Il signor Redpath mi ha detto che c’era qualcosa…
— Il signor Redpath ha una immaginazione molto vivida. Non credo proprio che sia il caso di proseguire questa conversazione. Addio, signor Knight. — Leila riagganciò sulle proteste del giornalista, si appoggiò alla parete, respirò profondamente. Aveva l’impressione che il mondo le stesse scivolando via da sotto i piedi.
Rimase così per più di un minuto, poi andò a prendere la giacca, appesa sulla parete di fronte. Il suo passaporto sporgeva parzialmente da una tasca. Lo guardò con occhi calmi, poi prese una decisione. Andò in camera da letto a preparare la borsa da viaggio.
Terza parte
9
La notte era trascorsa come un episodio di sogno.
Dopo aver fatto partire Leila per Londra aveva pensato di restare nel suo appartamento fino all’alba, poi aveva deciso di no. Bastava la telefonata o la visita di un amico per sconvolgere i suoi piani. Era uscito, incamminandosi verso il suo appartamento di Disley High Street, e s’era accorto che la ferita sanguinava ancora abbondantemente. Dal suo punto di vista, dal punto di vista del vero John Redpath, si trattava solo di un fastidio trascurabile. Poteva sopportare praticamente all’infinito il dolore e il freddo dei vestiti inzuppati di sangue; ma una voce gli aveva detto che gli occorrevano tutte le sue forze, tutte le sue risorse per la battaglia che lo attendeva.