Solo Albert era risparmiato da quella furia. Immobile su un lembo di cemento, fissava Redpath con intensità estrema.
Redpath, trafitto e ispirato dal suo sguardo, fece uno sforzo estremo per gettare la bottiglia. Il suo braccio ebbe un tremito. La bottiglia gli sfuggì di mano, cadde nella massa scura ai suoi piedi. Non scoppiò, ma la benzina incendiata si sparse tutt’attorno. La poltiglia si ritrasse a raggiera, come un iris che aprisse i petali. Un altro urlo silenzioso traversò la mente di Redpath.
Si portò le mani alle tempie, cercò di guardare Albert. Albert aveva chiuso gli occhi. La sua faccia, nonostante le deformità acromegaliche, era solenne come quella di un antico sacerdote. Redpath ne ebbe una ultima immagine frammentaria, lo vide deciso, eroico, con gli stivali logori, con la tuta marrone, col pacchetto di Lucky Strike che sporgeva da una tasca; poi l’immagine scomparve, nell’incredibile calor bianco di una fornace.
Albert non esisteva più.
Le tre persone, i tre ammassi di muscoli rossi che erano con lui, non esistevano più.
La massa di protoplasma scuro e intelligente che era con lui non esisteva più.
Redpath “sentì” la morte del nato-Una-Volta. Cadde in ginocchio nella cantina che adesso era vuota, pura, sicura; e per un istante, nell’ultimo sussulto delle facoltà telepatiche che gli erano state concesse, sentì la sorpresa e la soddisfazione che vibrarono nell’entità composita che era l’astronave aliena. Sentì anche gli echi di una gioia più limitata, deboli come la luce delle stelle a mezzogiorno: la gioia della capsula che stava precipitando verso la Terra, e che ora poteva rinunciare alla morte definitiva, poteva tornare alla nave.
Poi il terzo occhio della sua mente si chiuse per sempre.
14
Restava la tristezza immensa, la compassione enorme per quattro esseri umani travolti da qualcosa che era peggiore di ogni malattia, vissuti schiavi e prigionieri del terrore, morti tra le spire del dolore e dell’orrore. E come loro dovevano esserci state molte persone, nel corso degli anni; persone come Prince Reginald e i Rodgers, gli sfortunati proprietari della casa di Gilpinston. Chi poteva dire quanti uomini, animali e uccelli, forse ancora vivi, erano stati rigettati dalla cantina e fatti scomparire da Albert o dalla signorina Connie?
Redpath restò lì inginocchiato per un po’, a chiedersi se avrebbe mai più trascorso una notte di sonno tranquillo; poi capì che lui, per lo meno, era ancora vivo, e che lo aspettavano tutte le responsabilità pratiche dei vivi.
Fece il giro della casa da cima a fondo, spense tutte le luci, si assicurò che non ci fossero ancora scintille capaci di suscitare un incendio. Impiegò molto tempo, soprattutto perché le nuove ferite alla spalla e alle caviglie gli rendevano difficili i movimenti. Era già passata l’una quando uscì. Chiuse accuratamente la porta, raccolse borsa e televisore e si incamminò sul breve sentiero che portava alla strada.
Pioveva ancora. Le luci dei lampioni erano avvolte da un alone giallo, e le finestre erano buie in tutte le case. A parte l’acqua che gorgogliava nelle grondaie, non si udiva nessun rumore. “È bello” pensò, guardandosi attorno con gioia profonda. “Se avessi i capelli neri, e se al posto di queste strane ferite avessi fori di proiettile, questo potrebbe essere uno dei vecchi meravigliosi film di Francis Lederer.”
Senza voltarsi a guardare la casa numero 131, partì verso le luci che delimitavano il percorso di Woodstock Road. Dopo una decina di passi l’umidità dell’asfalto era già penetrata in quello che restava delle sue scarpe; ma lui era nello stato d’animo adatto a gustare ogni sensazione naturale, e proseguì imperterrito, senza problemi.
Arrivato al primo incrocio girò a destra, e stava per traversare la strada quando poco lontano apparve una mini color rosso ciliegia. Riconobbe immediatamente l’auto, ma non certo per precognizione. Sollevato, si fermò sotto il lampione, aspettò che la macchina si fermasse accanto al marciapiede. Quando Leila gli aprì la portiera lui le mostrò il televisore, per farle segno di abbassare lo schienale del sedile; poi sistemò televisore e borsa sul sedile posteriore, senza dire niente. Salì, sedette, chiuse la portiera, sempre in silenzio.
— Dimmi solo una cosa. Mi hai portato un ricordino da Chicago?
— Oh, John! — Lei esclamò il suo nome con evidente sollievo. — Ero così preoccupata. Ieri sera eri talmente…
— Lo so com’ero ieri sera, ma ti prometto che non succederà mai più. È finita.
— Ho cercato di andare in America — disse Leila, stringendo i lembi della giacca. — Ma poi mi è mancato il coraggio.
Lui scosse la testa. — No, ti è mancata la convinzione. Non hai creduto a niente di quello che ti ho raccontato, vero?
— Ti prego, scusami, John.
— Non è colpa tua. — Le sorrise, rassicurante. — Comunque voglio che tu mi faccia un paio di favori. Per prima cosa voglio che tu mi stia a sentire, e io ti racconterò tutto dall’inizio alla fine. Non potrei parlarne con nessun altro, e ho bisogno di dire subito tutto, per schiarirmi le idee, per separare gli incubi dalla realtà prima di dimenticare tutto. D’accordo?
— Ti ascolto. — Lei gli restituì il sorriso, gli mise la mano sulla spalla, la ritirò immediatamente al suo sussulto. — Cosa c’è, John?
— Mi hai fatto tornare in mente il secondo favore che volevo chiederti… Puoi portarmi all’ospedale?
— Cosa ti sei fatto?
— Cosa mi sono…? — Quella domanda così semplice, così naturale, implicava che fino a prova contraria tutte le sue ferite dovevano avere cause molto prosaiche; e Redpath capì all’improvviso quanto sarebbe parsa assurda la sua storia.
“La ferita alla spalla? Ma niente, me l’ha fatta la cara signorina Connie con uno scalpello prima che io le dessi fuoco.
“La bruciatura alla mano? Oh, sai com’è, il nato-Una-Volta mi ha paralizzato, e così ho tenuta in mano per troppo tempo una bottiglia incendiaria.
“Quelle zone di pelle viva sulle caviglie? È stato quando il nato-Una-Volta ha cominciato a mangiarmi. Si nutre di cheratina, sai. Esatto: la proteina che si trova nella pelle e nei capelli e nelle unghie e nelle piume e nei becchi degli uccelli. Per fortuna che avevo le calze di nylon e le scarpe con la suola di gomma. Altrimenti sarei conciato proprio male. Sissignora, proprio male!”
Redpath ripassò mentalmente il racconto che voleva fare a Leila. Cominciava alle prime ore di martedì, quando Albert, ne era convinto, si era presentato alla sua porta per metterlo in guardia, poi si era lasciato spaventare dalla visione mostruosa proiettata dal nato-Una-Volta. L’alieno aveva ricordato ad Albert qual era la punizione per i traditori. Albert aveva un ruolo di primo piano anche in altri avvenimenti. Aveva trasportato Redpath in America, sul tappeto magico della psicocinesi, e gli aveva fatto vedere quello che il nato-Una-Volta faceva agli esseri umani. E, naturalmente, Albert era il primo attore dell’ultima scena. Quell’uomo così brutto e così eroico era al centro di tutta la storia… Ma adesso dov’era finito? A cosa serviva raccontare a Leila che Albert e gli altri probabilmente erano bruciati nell’enorme fornace dell’acciaieria di Calbridge, ma che poteva anche trattarsi di un vulcano al centro della Terra o del Sole?
Come poteva credergli Leila? Ripensando a tutto quell’incubo, come poteva crederci lui stesso?
— John, ti ho chiesto cosa ti sei fatto.
Redpath la fissò per qualche secondo, prese una decisione. — Mi sono ferito alla spalla con un chiodo che sporgeva dal muro, dopo di che mi sono versato un po’ di acido sulle caviglie.
— Allora sarà meglio che ti porti in ospedale. — Leila ingranò la marcia e premette sull’acceleratore. — Certa gente non dovrebbe andare in giro da sola.
— Io sono proprio uno di quelli. Pensi che potremmo rimediare in qualche modo?