Выбрать главу

L’annuncio del capitano che si prevedeva un altro ritardo suscitò applausi ironici, ma Leila non li sentì nemmeno. Si sganciò la cintura, si alzò, prese giacca e borsa e si incamminò verso la porta centrale dell’aereo che si era appena aperta. Uno steward in camicia bianca a mezze maniche le sbarrò la strada mentre lei cercava di oltrepassare il meccanico che stava salendo a bordo con una scatola d’attrezzi.

— Mi spiace, signorina — disse lo steward. — Non si può scendere. C’è qualcosa che non va?

— Ho cambiato idea. Non parto più. — Cercò di essere decisa, sicura. — Voglio scendere, e penso che questo rientri nei miei diritti.

Lo steward scosse la testa. — I passeggeri non possono più scendere quando i bagagli sono stati caricati. È una misura di sicurezza, signorina.

— Non me ne importa niente dei vostri regolamenti.

— Se volete tornare a sedervi sono sicuro che…

— Non ho nessuna voglia di tornare a sedermi perché questo aereo doveva partire più di quattro ore fa, e così io ho perso un appuntamento importantissimo, e adesso è inutile che vada in America, per cui non ci vado. — Leila alzò il tono di voce, attirando l’attenzione dei passeggeri più vicini. — Se cercate di tenermi a bordo per forza, mentre i vostri cosiddetti tecnici tentano di sistemare quel contenitore, vi prometto che butto in piedi la causa più rognosa, più lunga e più spiacevole che vi sia mai capitata.

— Ma non capite, signorina? — disse lo steward, con aria infelice. — Se scendete adesso dovremo scaricare tutti i bagagli e…

— Siete voi che non capite — ribatté Leila. — Se mi impedite di scendere immediatamente mi rivolgerò ai giornali, e racconterò che questo volo ha avuto un ritardo di quattro ore per un banalissimo contenitore di cibo. Farò in modo che tutta l’Inghilterra sappia che razza di servizio offre la vostra compagnia.

Lo steward alzò le mani. — Aspettate qui, per favore. Vi faccio parlare col capitano Sinclair.

I trenta minuti che seguirono furono uno dei periodi più difficili e imbarazzanti di tutta la vita di Leila, specialmente perché la sua brusca decisione di non partire suscitò i sospetti degli impiegati della dogana e dell’ufficio immigrazione, nonché della polizia; ma lei superò tutto con una calma gelida. Crollò solo quando, ripartita dall’aeroporto in direzione nord, si trovò nei pressi di Uxbridge. Accecata dalle lacrime, si fermò sul ciglio della strada, appoggiò la fronte sul volante.

— Mi spiace, John — mormorò. — Mi spiace tanto. Ho tentato, anche se tu non vorrai credermi… Ma stasera dovrai cavartela da solo.

11

La famiglia era riunita di nuovo. Sedevano tutti a semicerchio nel soggiorno del pianterreno.

Betty York era vicina alla parete a sinistra della stufa, con le unghie dei piedi dipinte in rosso e le unghie delle mani dipinte d’un marrone orribile. Vicino a lei c’era John Redpath; poi veniva Wilbur Tennent, maestoso ed elegante, leggermente chino in avanti, forse per non stropicciare la giacca. Al suo fianco c’era Albert, che annuiva e sbuffava, le mani enormi intrecciate sullo stomaco, vestito come sempre di una tuta marrone e stivali logori. E accanto alla parete, sulla destra della stufa, c’era la signorina Connie, coi capelli bianchi e gli occhiali senza montatura, avvolta in un cardigan grigio e in un vestito nero lungo fino ai piedi. Sferruzzava alacremente, aggiungeva altri punti irregolari alla massa informe di lana che si intravedeva nell’oscurità alle sue spalle.

— Prima che me ne scordi, John. — Tennent infilò una mano in tasca, ne tolse un fascio di banconote strette da un elastico e le mise in grembo a Redpath. — Parsnip Bridge ha vinto, come avevo previsto.

— Grazie. — Redpath si accorse che non aveva idea di dove fossero finiti i soldi vinti due giorni prima. Per un attimo si chiese se Tennent se li fosse ripresi senza farsene accorgere, o se li avesse fatti sparire la signorina Connie per motivi che lui ignorava.

Tennent si fregò le mani, felice come un bambino. — Andiamo bene, vecchio mio. Per domani ho un paio di cavalli, e se vuoi seguire i miei consigli devi…

— Lascialo in pace — intervenne Betty. — Ti ho già detto che a John non interessano i tuoi sistemi per fare soldi in fretta.

— E perché non dovrebbero interessargli? Qualche sterlina in più fa piacere a tutti. Giusto? — Tennent, in cerca di sostegno, si voltò a guardare Redpath con un sorriso amichevole. Lo fissò per qualche secondo, mentre l’allegria spariva dalla sua faccia e nei suoi occhi s’accendeva la scintilla della perplessità. — John? Ti piace qui, vero? Voglio dire, non faresti niente per…

— Lascialo in pace — intervenne Betty. — Come fa a riposarsi se tu gli stai sempre addosso?

Tennent s’immerse nel silenzio, lanciando di tanto in tanto un’occhiata interrogativa a Redpath. Redpath, stranamente sollevato, mise i soldi sul bracciolo della poltrona, in posizione neutra. Seguì un lungo periodo in cui nessuno parlò, ma la stanza era comunque piena di piccoli rumori: il borbottio del fuoco, il ticchettio dell’orologio, il tintinnio dei ferri della signorina Connie, gli sbuffi e i sospiri di Albert. Le tendine riposavano tranquille sul bovindo. Redpath girò lo sguardo lungo la stanza, si fermò su una cosa piccola e nera attaccata alla tappezzeria. Era un insetto, forse lo stesso che aveva notato due sere prima, nello stesso posto, e vibrava seguendo lo stesso ritmo assurdo.

“Cristo, ma perché vibrano sempre? Pensavo che fosse già morto. Quanto tempo vive un insetto come quello, tra l’altro? Un rospo può vivere quarant’anni. Roba da non credere! Già dev’essere brutto essere rospo per un anno, figuriamoci per quaranta! Leila, come puoi essere morta se …?”

— Lo so io quel che ci vuole — disse Betty York, alzandosi. — Una bella tazza di tè e qualcosa da mangiare.

“Io non ne ho bisogno. Io devo bere acqua, un sacco di acqua, e guardare la televisione “.

— I panini sono pronti, tesoro, e per il tè basta un attimo. — Betty attraversò il semicerchio di poltrone che Redpath aveva davanti, e per un attimo lui vide solo i suoi lunghi capelli neri, i jeans blu, le borchie di rame. — Ti piace il Plumrose, vero?

Redpath annuì, perplesso dalla voglia improvvisa di bere acqua e guardare la televisione. “Stasera non c’è Jack Haley, no? L’ho visto ieri sera. Ma con chi ero?”.

Betty ritornò dopo pochissimi minuti. Tennent spostò la poltrona per lasciarle sistemare il carrello al centro del gruppo. Betty riempì cinque tazze da un’enorme teiera. La signorina Connie mise da parte i ferri, prese un sandwich e cominciò a mangiare con una voracità incredibile per una persona anziana dall’aspetto così fragile. Redpath guardò i panini imbottiti di carne e gli venne in mente che non aveva mangiato niente per tutto il giorno.

Si servì quattro sandwich. Arrivato all’ultimo, si accorse che Alberi non aveva preso niente né da mangiare né da bere. Leggermente incuriosito, tese la testa in avanti e vide che Albert era ancora nella stessa identica posizione di quando lui era entrato nella stanza, abbandonato sulla poltrona con le gambe distese e le mani incrociate sullo stomaco. Il suo mento enorme era più sporgente che mai; i suoi occhi erano fissi nel vuoto, come quelli di un malato sotto sedativi; e tremiti quasi continui gli scuotevano il corpo. Le sopracciglia erano madide di sudore.

Gli altri, apparentemente ignari delle condizioni di Albert, continuavano a mangiare in silenzio.

Redpath mise giù il piatto, si voltò per guardare meglio Albert. I gemiti inarticolati che Albert emetteva divennero più forti, e i suoi occhi (addolorati, supplicanti, disperati) si posarono su Redpath. Quello sguardo sembrava volergli trasmettere un messaggio, ricordargli una tremenda responsabilità che lui si era assunto. Redpath si sentì spaventato.