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Redpath piombò nella cucina buia, andò a destra, spalancò la porta rossa che dava in cantina. Sotto di lui si spalancavano tenebre profondissime, che esalavano un respiro caldo. Ignorando il terrore che minacciava di farlo cadere in ginocchio, alzò l’accendino, diede un colpo alla rotella. La fiamma non si accese. Riprovò, mentre l’atrio risuonava di passi, e di nuovo non ottenne nessun risultato.

“La valvola! Ho dimenticato di abbassare la maledetta valvola del gas!”

Infilò l’accendino sotto il fazzoletto umido di benzina. Stava per girare la rotella, quando qualcosa si abbatté contro la porta della cantina a tutta velocità. La porta colpì Redpath alle spalle, lo scaraventò sul primo gradino. Perse l’equilibrio, scivolò in giù di altri gradini. La bottiglia gli sfuggì di mano, scomparve nelle tenebre, con una serie di colpi sempre più forti.

Un colpo, due, tre… Silenzio.

“Avrebbe dovuto rompersi! Il pavimento è di cemento… La bottiglia avrebbe dovuto rompersi!”

Si accese la luce, e nello stesso istante il maglio passò con un sibilo sopra la testa di Redpath, andò a finire contro la parete al suo fianco, scavando un buco nel cemento. Wilbur Tennent, che adesso indossava solo il giubbotto e i pantaloni, era sopra di lui, lo guardava con quei terribili occhi da cadavere e si preparava già a lanciare il maglio per la seconda volta. Redpath non aveva alternative. Corse giù per la scala; e quando arrivò quasi in fondo, ormai nell’impossibilità di tornare su, si accorse che il pavimento e le pareti erano ricoperte quasi interamente da una poltiglia molliccia, color rosso-marrone. Sembrava una massa di sangue semicoagulato e di pezzi di fegato, e si muoveva. Si stava ritirando dal fondo delle scale, lasciando libera una zona di pavimento che aveva al centro la bottiglia di Redpath.

“Mio Dio, l’incubo era vero! Sono finito nello stomaco della casa!”

Ormai oltre i limiti del terrore, col cervello sconvolto, Redpath raccolse la bottiglia, indietreggiò nell’angolo vicino al fondo delle scale. La poltiglia oscena smise di ritirarsi, prese ad avanzare verso di lui, protendendo tentacoli che si ricoprivano di liquidi gorgoglianti e venivano riassorbiti dalla massa centrale.

Intanto Wilbur Tennent scendeva lentamente le scale col maglio, seguito dalla signorina Connie e da Betty York, che avevano ancora i loro micidiali scalpelli. Betty indossava solo la biancheria intima. Era ustionata allo stomaco e alle cosce, e su un lato della testa le si erano inceneriti i capelli. I suoi occhi, come quelli di Tennent, erano spenti, privi di vita.

Redpath, con la precisione meccanica di un robot, girò la rotella dell’accendino, e questa volta ricordò di tener abbassata la valvola del gas. Uscì una fiamma blu che lui accostò alla bottiglia, incendiando il fazzoletto. La bottiglia si trasformò in una torcia giallastra che emanava luce e calore. Il fronte della poltiglia informe smise immediatamente di avanzare. Redpath alzò di più la bottiglia, e a quella luce vide che nella massa amorfa, sul fondo, c’era qualcosa che sembrava una struttura centrale, una cresta di protoplasma in cui era sepolta una forma che poteva essere un occhio. L’occhio lo fissò, e a lui parve che la vita gli sfuggisse, gli sembrò di trasformarsi in un ammasso di organi immobili, privi di volontà.

“Si sta impossessando di me, Leila, e con una rapidità spaventosa!

“Devo lanciare la bottiglia prima che mi esploda in faccia, però so che non servirà a niente.

“Qui non c’è niente che possa bruciare!

“Forse la benzina riuscirebbe a ferire il nato-Una-Volta, ma è troppo grande per poterlo uccidere così. Non credevo che fosse tanto grande. Comunque non fa nessuna differenza, perché… perché…”

Redpath non riusciva più nemmeno a pensare. Tennent era arrivato in fondo alle scale e si stava avvicinando, il maglio puntato contro la sua spalla destra. Redpath tentò di muoversi, di sfuggire al colpo, ma era completamente paralizzato. Non poteva nemmeno aprire le dita e lasciar cadere la bottiglia. Tennent gli giunse più vicino, alzò il maglio sopra la testa, e improvvisamente si fermò in quella posizione. Davanti a lui si era materializzato Albert.

L’apparizione fu istantanea, magica, stupefacente.

Redpath aveva già intuito che Albert possedeva la facoltà del teletrasporto; ma vederlo comparire così all’improvviso gli procurò una sorpresa enorme, una sorpresa che superò anche il terrore della morte e la ripugnanza per la creatura aliena. Restò a guardarlo, travolto da una meraviglia superstiziosa. Albert distese le braccia, diventò un crocefisso che proteggeva Redpath dal maglio di Tennent.

— Togliti di mezzo — disse Tennent. La sua voce era monocorde, inumana. — Se non ti sposti dovrò ucciderti.

— Sarebbe una buona idea — replicò dolcemente Albert — ma non puoi. Vedi, io sono l’unico di cui il nostro padrone abbia ancora bisogno. Wilbur, sta succedendo tutto esattamente come aveva previsto Prince Reginald.

— Mentiva.

— No! Ci ha raccontato la verità. Ormai sono più di dieci minuti che le cose si sono messe in moto. Il padrone ha cercato di costringermi a trasportarlo nell’altra casa. E io non gli ho obbedito, Wilbur. “Ho fatto resistenza”, Wilbur. Per la prima volta in dodici anni ho trovato la forza di resistere a quel mostro.

I muri marroni, viventi, della cantina si gonfiarono e si sgonfiarono, come un cuore palpitante. Albert vacillò, quasi fosse stato colpito. Si girò a guardare Redpath. La sua faccia era pallida, solcata da rivoli di sudore; i suoi occhi erano di ghiaccio.

— È merito tuo, ragazzo. Il padrone ha paura, sta invecchiando, non riesce più a controllarmi come una volta; ma i guai più seri glieli hai dati tu. Più lui si sforzava di tenerti sotto controllo, più io ero libero. — Albert si interruppe, deglutì faticosamente. — Devi continuare a lottare, ragazzo. Non arrenderti adesso. Se riesci a gettare la bottiglia, dovremmo essere a posto. Io posso portare via tutti… Mettere fine per sempre a tutto questo.

Redpath sentiva che la bottiglia diventava sempre più calda, che correva il rischio di trasformarsi in una torcia umana, ma non riusciva a lanciarla. — Io… Io… Puoi portare via anche me?

Albert gli rivolse un sorriso strano, triste. — Tu non sei ancora parte di noi, ragazzo. Tu sei pulito.

— Pulito?

— È quello che ho detto. Vedi, non hai mai dovuto aiutarci a nutrire il padrone.

— Oh! — Redpath guardò gli occhi di Albert e vide qualcosa che andava molto oltre il dolore, qualcosa che non desiderava sapere.

— Sì, ragazzo, è orribilmente terribile. — Albert si girò a guardare Wilbur e le due donne. — Non lasciate tutto sulle spalle mie e di John! Per amor del cielo, dateci una mano a farla finita per sempre. — La sua voce era distrutta. Ogni parola era come lo spezzarsi di un osso.

Tennent spalancò la bocca, emise un gemito roco, lanciò il maglio. Il martello a due teste volò alto nell’aria, andò a piombare vicino al centro della poltiglia marrone, scomparve in un gorgo di liquidi scuri.

Un urlo silenzioso esplose nel cervello di Redpath, annichilendolo.

Si accorse solo vagamente che quell’orribile poltiglia si muoveva in avanti a velocità tremenda, agitando i tentacoli. La massa amorfa gli avvolse le caviglie, e lui provò dolore; ma il dolore era attutito dallo spettacolo terrificante di quello che stava accadendo a Tennent, a Betty e alla signorina Connie. Quando la poltiglia toccava la carne nuda delle loro gambe, la pelle scompariva, apparivano i muscoli, nudi, rossi, perfettamente visibili come su un atlante anatomico. La signorina Connie cadde carponi nella massa aliena, si rialzò. Le sue mani adesso sembravano guanti scarlatti.