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Sempre in silenzio, la schiava anziana lavò i lunghi capelli argentei di Daenerys, sciogliendone i nodi. La giovane le lavò i piedi continuando a ripeterle quanto fosse fortunata.

«Drogo è talmente ricco che i suoi schiavi indossano collari d’oro. Ci sono centomila cavalieri nel suo khalasar, e il suo palazzo a Vaes Dothrak ha duecento stanze, tutte con porte d’argento massiccio.»

E c’era di più, molto di più. Che uomo attraente era il khal, così alto di statura, così fiero nell’aspetto. Che cavaliere ineguagliabile, che guerriero indomabile, che arciere formidabile. Daenerys non diceva nulla. Aveva sempre pensato che, nel momento in cui avesse raggiunto l’età giusta, avrebbe sposato Viserys. Per secoli, da quando Aegon il Conquistatore aveva preso in sposa la propria sorella, la Casa Targaryen aveva perpetuato se stessa attraverso l’incesto matrimoniale tra fratello e sorella. «La purezza della discendenza doveva essere mantenuta incontaminata» le aveva ripetuto Viserys mille e mille volte. Il loro era il sangue dei re, il sangue dorato dell’antica Valyria, il sangue del drago. E come i draghi non si accoppiavano con le bestie inferiori, così i Targaryen non si mescolavano con gli uomini inferiori. Però adesso Viserys aveva deciso di vendere la sua unica sorella, la sua unica sposa possibile, a uno straniero, a un barbaro.

Una volta che fu pulita, le schiave l’aiutarono a uscire dalla vasca e la asciugarono. La giovane le spazzolò i capelli finché non furono risplendenti come argènto liquefatto. La donna anziana la profumò con l’essenza penetrante dei fiori delle pianure dei Dothraki sui polsi, dietro le orecchie, sulle punte dei seni e infine in mezzo alle gambe.

La vestirono con l’abito inviato da magistro Illyrio e le calarono sul viso il velo di seta color porpora scuro, celando il viola intenso dei suoi occhi. La schiava giovane le infilò sandali dorati ai piccoli piedi. La schiava anziana le sistemò la tiara sui capelli e le fece scivolare attorno ai polsi braccialetti d’oro incrostati di ametiste. Ultimo venne il collare, un pesante ornamento d’oro massiccio intarsiato con antichi geroglifici di Valyria.

La schiava giovane, senza fiato, ammirò il lavoro finito. «Adesso sì che hai davvero l’aspetto di una principessa!»

Daenerys studiò la propria immagine riflessa nello specchio dalla cornice d’argento, ennesimo, sensibile tocco del previdentissimo magistro Illyrio. Una principessa, certo. Ma la ragazza che non la smetteva mai di chiacchierare aveva detto anche altre cose: i collari d’oro indossati dagli schiavi di khal Drogo, la sterminata ricchezza di khal Drogo, così sterminata da poter comprare qualsiasi cosa.

Un gelo improvviso le percorse le membra, increspando la pelle delle sue braccia nude.

Viserys, sagoma più scura nelle ombre fresche, l’aspettava nel vestibolo al piano terreno. Sedeva sul bordo della fontana, una mano che tracciava percorsi nell’acqua. Si alzò nel vederla avvicinarsi.

«Fermati lì» ordinò, e cominciò a esaminarla con occhio critico. «Va bene, girati. Sì. Hai un aspetto…»

«Regale.» Magistro Illyrio fece il suo ingresso da un portale ad arco. Per la mole che aveva, si muoveva con sorprendente leggerezza. A ogni passo, rotoli di adipe tremolavano sotto gli ampi abiti di seta dai colori sgargianti. Aveva anelli d’oro tempestati di pietre preziose a ogni dito. Uno schiavo gli aveva intriso di unguento la bionda barba biforcuta fino a farla luccicare come se anch’essa fosse fatta d’oro. «Possa, in questo splendido giorno, il Signore della Luce far scendere su di te benedizioni senza fine, principessa Daenerys.»

Il magistro le prese la mano e s’inchinò leggermente. Fu la più leggiadra delle mosse. Aveva denti giallastri tutti storti dietro la cortina di pelo della sua barba dorata.

«Tua sorella è una visione, vostra grazia» disse a Viserys. «Un’autentica visione. Drogo ne sarà rapito.»

«È troppo magra» sentenziò Viserys a labbra serrate.

I suoi capelli, che avevano la medesima sfumatura biondo argento di quelli della sorella, erano strettamente raccolti dietro il capo e fermati in una crocchia da un osso di drago. Era un’acconciatura severa, che faceva risaltare i lineamenti squadrati, scavati del suo volto. Appoggiò la destra sull’elsa della spada che Illyrio gli aveva prestato per l’occasione e chiese: «Sei certo che a Drogo piacciano le donne così giovani?».

«La ragazza ha già avuto il suo primo mestruo.» Non era la prima volta che Illyrio lo faceva presente all’ultimo Targaryen. «È in età sufficiente per il khal. Ma guardala. Quei capelli biondo argento, quegli occhi viola… È puro, antico sangue di Valyria. Nessun dubbio in merito, nessun dubbio. La nobile figlia del vecchio re, la sorella del nuovo re. Non potrà non incantare il khal, la nostra principessa.»

Finalmente Illyrio lasciò andare la sua mano e Daenerys si rese conto che stava tremando impercettibilmente.

«Auguriamocelo.» Viserys continuava a nutrire i suoi dubbi. «Questi selvaggi delle pianure hanno gusti infami. Ragazzi, cavalli, capre…»

«Certo, certo» convenne Illyrio. «Questo, però, a khal Drogo sarà opportuno non dirlo.»

«Mi prendi forse per uno stupido?» Un lampo d’ira balenò negli occhi viola di Viserys.

«Al contrario, ti prendo per un re.» Il magistro si esibì in un altro inchino. «E i re non hanno la prudenza dei comuni mortali. Ti prego di accettare le mie scuse, se ti ho arrecato offesa.»

Senza attendere la sua risposta, Illyrio si girò e batté le mani per far venire i portantini.

Le strade di Pentos erano immerse in una cupa tenebra.

Due servi li precedevano, illuminando il percorso con lanterne a olio istoriate, dai vetri azzurro chiaro. Sulla loro scia, una dozzina di uomini muscolosi trasportavano l’elaborato palanchino di Illyrio, i lunghi pali orizzontali in appoggio sulle spalle. Dietro le tende spesse della cabina l’aria era calda, satura di traspirazione. Il magistro si era inondato di profumi penetranti, ma Dany percepì comunque il lezzo che emanava dalla sua carne flaccida.

Viserys, stravaccato accanto a lei sui cuscini, non lo notò. La sua mente era lontana, chissà dove sul mare Stretto. Le sue dita tormentavano l’elsa della spada, ma Dany sapeva che suo fratello non aveva mai realmente maneggiato una lama.

«Non avremo bisogno dell’accompagnamento di tutto il suo khalasar» disse Viserys. «Diecimila uomini, diecimila cavalieri dothraki urlanti saranno più che sufficienti a fare sì che io possa rivoltare i Sette Regni come un guanto. Tutto il reame si solleverà in nome del vero re. Tyrell, Redwyne, Dany, Greyjoy… nessuno di loro tollera l’usurpatore più di quanto non lo tolleri io. La gente di Dorne non vede l’ora di vendicare la morte della principessa Elia e dei suoi figli. E anche il popolino sarà con noi. Anche il popolino inneggerà al vero re!» Lanciò a Illyrio uno sguardo carico d’ansia, d’incertezza. «Non è forse così?»

«Sono pur sempre le tue genti, e continueranno ad amarti» ribatté il magistro, mellifluo. «Dovunque, nel reame, gli uomini segretamente sollevano le coppe augurandoti buona salute e le donne tessono vessilli con l’immàgine del drago, tenendoli nascosti in attesa del tuo ritorno dal mare.» Le sue spalle appesantite dal grasso si sollevarono. «O almeno, questo è quanto mi riferiscono le mie spie.»

Daenerys non aveva spie, non aveva alcun modo di sapere che cosa pensava o faceva la gente sull’altra sponda del mare Stretto. Di una sola cosa era certa: non si fidava delle parole suadenti di Illyrio, non si fidava per nulla di Illyrio. Al contrario di suo fratello, il quale beveva ogni sillaba del magistro, annuendo compiaciuto.