«Ucciderò l’usurpatore di mia mano!» promise Viserys, che non aveva mai ucciso nessuno. «Nello stesso modo in cui lui ha ucciso mio fratello Rhaegar. E anche Jaime Lannister, lo Sterminatore di re, per quello che ha osato fare a mio padre.»
«La più perfetta giustizia, vostra grazia» approvò il magistro.
A Daenerys non sfuggì il sorriso infido che increspò le labbra carnose di Illyrio. Viserys neppure se ne accorse; annuì nuovamente, si rilassò contro i cuscini e guardò dalla finestra della cabina, nel buio. Dany sapeva che, per l’ennesima volta, suo fratello stava combattendo la battaglia del Tridente.
Il palazzo di khal Drogo sorgeva sulla riva della baia. Era un complesso di nove torri connesse da alte muraglie di mattoni sulle quali si arrampicavano tentacoli di edera pallida. Stando a Illyrio, erano stati i magistri di Pentos a donarlo al khal. Le Città Libere erano sempre molto generose con i cavalieri delle pianure. «Naturalmente non lo facciamo perché temiamo questi barbari» aveva spiegato Illyrio con uno dei suoi sorrisi. «E Signore della Luce farebbe sì che le mura della nostra città reggessero all’assalto anche di un milione di Dothraki, così dicono i preti rossi. Al tempo stesso… Visto che la loro amicizia ha un còsto tanto basso, perché correre rischi?»
Il palanchino venne fermato al portale d’ingresso. Una delle guardie scostò rudemente le tende. Aveva la pelle olivastra e scuri occhi a mandorla, caratteristiche somatiche dei Dothraki, ma non c’era traccia di barba o baffi sulla sua faccia. In testa portava la calotta di bronzo munita di rostri degli eunuchi. Il suo sguardo freddo esaminò gli occupanti della cabina. Magistro Illyrio gli borbottò rabbiosamente qualcosa nell’aspra lingua dothraki, la guardia rispose nello stesso modo, poi fece cenno di passare.
La destra di Viserys era rimasta per tutto il tempo serrata attorno all’elsa della spada presa a prestito, notò Dany. Né le sfuggì l’espressione di suo fratello, piena della medesima paura che lei si sentiva dentro. Il palanchino sussultò mentre avanzava verso il palazzo.
Viserys si concesse un mugugno: «Insolente eunuco».
«Molti uomini influenti saranno presenti alla celebrazione di questa notte.» Il tono di magistro Illyrio era suadente come il miele. «E questi uomini hanno dei nemici. Il khal deve proteggere i propri ospiti. Voi in primo luogo, vostra grazia. Non può esserci dubbio alcuno che l’usurpatore sarebbe generoso con chi gli portasse la tua testa.»
«Molto generoso, sì» sottolineò Viserys cupamente. «Ha già tentato di averla, la mia testa, questo posso garantirtelo, Illyrio. Le sue lame mercenarie hanno seguito mia sorella e me dovunque. Io sono l’ultimo dei draghi, e finché rimarrò in vita, l’usurpatore non potrà dormire sonni tranquilli.»
Il palanchino tornò a rallentare, a fermarsi. Le tende vennero di nuovo scostate. Uno schiavo offrì la mano, aiutando Daenerys a scendere. Il suo collare, lei notò, era di comune bronzo. Suo fratello la seguì, la mano sempre stretta sull’elsa della spada. Per fare smontare magistro Illyrio di schiavi ce ne vollero due, entrambi robusti.
L’aria era pesante all’interno del palazzo, satura di una mescolanza di odori di spezie, cannella, limone dolce, ginepro. Vennero scortati attraverso l’ingresso, le cui pareti erano coperte da un grande mosaico di vetro colorato che raffigurava il Disastro di Valyria. Lanterne a petrolio di ferro nero appese alle pareti diffondevano una luminescenza giallastra. Un eunuco, in attesa sotto un’arcata di pietra scolpita a foglie attorcigliate, annunciò il loro arrivo.
«Sua Altezza Viserys della Casa Targaryen, terzo del suo nome.» Aveva una voce delicata, dai toni acuti. «Re degli Andali e dei Rhoynar e dei Primi Uomini, signore dei Sette Regni e protettore del reame. Sua sorella, Daenerys Nata dalla tempesta, principessa della Roccia del Drago. Il loro onorevole ospite Illyrio Mopatis, magistro della città libera di Pentos.»
Superarono l’eunuco ed entrarono in un cortile circondato da colonne e avvolto anch’esso dai tentacoli di quell’edera pallida. Si mescolarono con gli altri ospiti, sotto la luce della luna che dipingeva sfumature argentee sulle foglie di pietra dei capitelli. La maggior parte dei presenti erano signori dothraki. Uomini grandi e grossi, dalla pelle color rame scuro, con anelli d’ottone attorno ai baffoni spioventi, i capelli neri come l’inchiostro intrisi d’olio e acconciati in cascate di trecce piene di campanelli. Ma tra loro c’erano anche guerrieri e fabbricanti di spade di Pentos, Myr, Tyrosh. C’era un prete rosso addirittura più grasso di Illyrio. E poi uomini con i capelli lunghi del porto di Ibben e lord provenienti dalle isole dell’Estate, dalla pelle nera come ebano. Daenerys li guardava con una mescolanza di meraviglia e di timore. E all’improvviso ebbe paura: in mezzo a quell’orda caleidoscopica, lei era l’unica donna.
«Quei tre là» bisbigliò Illyrio «sono i cavalieri di sangue di Drogo. Vicino alla colonna c’è khal Moro, assieme al figlio Rhogoro. L’uomo con la barba verde è il fratello del signore di Tyrosh, e l’uomo dietro di lui è ser Jorah Mormont.»
«Mormont?» Fu quell’ultimo nome a scuotere Daenerys. «Un cavaliere?»
«Sicuro.» Un altro sorriso separò la barba dorata di Illyrio. «E con tanto d’investitura dei sette unguenti da parte del sommo septon in persona.»
«Che ci fa qui?» chiese Daenerys in un soffio.
«L’usurpatore voleva la sua testa» spiegò Illyrio. «Un qualche affronto da poco. Mormont aveva venduto alcuni cacciatori di frodo nella città di Tyrosh come schiavi, invece di consegnarli ai Guardiani della notte. Una legge assurda. Un uomo dovrebbe essere libero di disporre delle proprie risorse come meglio gli aggrada. O no?»
«Prima che questa serata si concluda» disse Viserys «parlerò con ser Jorah Mormont.»
Daenerys non poté evitare di osservare il cavaliere con una certa curiosità. Era un uomo in età, decisamente oltre i quaranta, con un’incipiente calvizie, ma ancora forte e in ottima forma fisica. Al posto di seta e cotone, vestiva lana e cuoio. Sulla sua tunica verde scuro era ricamata l’immagine di un orso in piedi sulle zampe posteriori.
Dany stava ancora osservando quello strano uomo che veniva dalla patria che non aveva mai conosciuto quando la mano umidiccia di Illyrio si posò sulla sua spalla nuda.
«Da questa parte, dolce principessa» le sussurrò il magistro. «Ecco il khal.»
Dany provò l’impulso di scappare di corsa a nascondersi. Ma non poté farlo: suo fratello la stava guardando, e se lei l’avesse deluso, avrebbe risvegliato il drago. Piena d’ansia, si voltò a osservare l’uomo che Viserys sperava l’avrebbe chiesta in sposa prima che la notte avesse ceduto il passo al giorno.
La giovane schiava chiacchierona non si era sbagliata. Khal Drogo superava di tutta la testa il più alto degli uomini in quel cortile. E al tempo stesso si muoveva con estrema leggerezza, il passo sinuoso come quello della pantera di cristallo nella collezione a casa di Illyrio. Era più giovane di quanto Daenerys avesse immaginato, meno di trent’anni. La sua pelle aveva il colore del rame lucidato, i folti baffi erano raccolti da anelli d’oro e di bronzo.
«Devo andare a compiere il mio atto di sottomissione» disse Illyrio. «Aspettate qui. Sarò io a condurlo fino a voi.»
La mano di Viserys si chiuse attorno al braccio di lei in una morsa dolorosa mentre il magistro si faceva strada in direzione del khal.
«Guarda bene la sua treccia, dolce sorella.»
Un’unica treccia satura di olii raccoglieva i capelli di khal Drogo, neri come la notte più profonda. A ogni movimento, i campanelli attaccati a essa tintinnavano in modo vagamente minaccioso. Era incredibilmente lunga: gli scendeva lungo tutta la schiena, fino alla parte superiore delle cosce.