«Quando un Dothraki viene sconfitto in duello» le spiegò Viserys «deve tagliarsi la treccia in segno di disonore, in modo che tutto il mondo possa essere testimone della sua vergogna. Khal Drogo non ha mai perduto un duello. Khal Drogo è come una reincarnazione di Aegon, Signore dei draghi. E tu diventerai la sua regina.»
Daenerys studiò khal Drogo. Il suo volto aveva lineamenti scolpiti, crudeli, e occhi gelidi, neri come onice. Quando il drago si risvegliava, suo fratello a volte le faceva male, le faceva paura. Ma quella paura non era nulla in confronto al terrore primordiale che le istillava il torreggiante guerriero stagliato contro i viticci di edera pallida.
«Non voglio essere la sua regina» disse quasi senza rendersene conto, con una voce sottile sottile. «Viserys, ti prego… Ti prego! Non voglio! Portami a casa…»
«Casa?» Adesso la voce del re Mendicante era piena di furore a stento represso. «E dov’è la nostra casa, dolce sorella? Ce l’hanno portata via, la nostra casa!»
La trascinò sotto un androne assediato dalle ombre, lontano dagli sguardi di tutti, le sue dita scavarono nella pelle di lei.
«Allora, dov’è la nostra casa?»
Per lui, casa era Approdo del Re e la Roccia del Drago e tutto quel grande reame andato perduto. Per Daenerys, non era nient’altro che le loro stanze nel palazzo di Illyrio. Di certo non una vera casa, eppure era tutto quello che avevano. Ma questo suo fratello non poteva, non voleva sentirlo. Lì, per lui, non esisteva nessuna casa. Viserys aumentò la stretta. Voleva una risposta da lei. E la voleva subito.
«Non lo so dov’è…» La voce di Daenerys si spezzò, i suoi occhi si riempirono di lacrime.
«Io invece lo so» sibilò suo fratello. «A casa ci andremo con un esercito, dolce sorella. L’esercito di khal Drogo. Ecco come ci andremo. E se per fare sì che io lo ottenga tu dovrai sposarlo e dormire con lui, tu lo farai.» Le sorrise. «Se per fare sì che io lo ottenga il suo intero khalasar vorrà fotterti, tu ti farai fottere, dolce sorella. Da tutti i suoi quarantamila uomini. E anche da tutti i loro cavalli, se necessario. Invece sii grata che sarà solamente Drogo a fotterti. Chissà, col tempo potresti addirittura cominciare a fartelo piacere. Adesso asciugati gli occhi. Illyrio lo sta portando qui. E khal Drogo non deve vederti piangere!»
Daenerys si girò. Era vero. Magistro Illyrio, tutto sorrisi e salamelecchi, stava guidando khal Drogo verso di loro. Con il dorso della mano, Dany si tolse dalle palpebre lacrime che non sarebbero mai cadute.
«Sorridi» le disse nervosamente Viserys, la mano che tornava all’elsa della spada. «E sta’ eretta. Fagli vedere che hai le tette. E gli dei sanno quante poche tette hai…»
Daenerys sorrise. E rimase eretta.
EDDARD
Un fiume in piena fatto d’oro, argento e acciaio si riversò attraverso il portale del castello, trecento uomini a cavallo in una tonante colonna, cavalieri e alfieri, vassalli e soldati di ventura. Sopra di loro, nell’aria fredda, sventolavano vessilli dai colori azzurri e dorati: il cervo incoronato, emblema della Casa Baratheon, campeggiava su di essi.
Eddard Stark conosceva quasi tutti quei cavalieri. Ecco ser Jaime Lannister, capelli biondi scintillanti come oro lavorato. Ecco Sandor Clegane, con il volto sfigurato da una spaventosa ustione. Il giovane alto accanto a lui non poteva essere altri che il principe ereditario. E il piccolo uomo deforme dietro tutti loro era di certo Tyrion Lannister, il Folletto.
Eppure, l’uomo gigantesco che cavalcava in testa alla colonna, affiancato da due cavalieri con le cappe bianche della Guardia reale, a Ned sembrò uno sconosciuto. O almeno tale gli parve finché non smontò di sella per chiuderlo in un abbraccio da spezzare le ossa.
«Ned! Non vedevo l’ora di godermelo, questo tuo dannato ceffo congelato!» Il re lo studiò da capo a piedi e scoppiò in una risata. «E non sei cambiato affatto.»
Eddard Stark avrebbe voluto poter dire lo stesso. Quindici anni prima, quando avevano combattuto fianco a fianco alla conquista del trono, il signore di Capo Tempesta era il sogno di qualsiasi principessa: giovane, aitante, accuratamente rasato, dal suo metro e novanta di muscoli ben scolpiti torreggiava sulla maggior parte degli uomini del suo esercito. Quando indossava l’elmo munito di corna di cervo della sua nobile Casa, diventava un vero e proprio gigante. Anche la sua forza era quella di un gigante: la sua arma da combattimento era una monumentale mazza ferrata che Ned riusciva a sollevare a stento. In quei giorni, l’odore del cuoio e del sangue permeava lord Robert Baratheon come un profumo.
Adesso, era vero profumo quello che emanava da lui, e il suo ventre sfidava la sua statura. Erano passati nove anni dalla rivolta di Balon Greyjoy, quando i vessilli del cervo e del meta-lupo si erano nuovamente uniti per porre fine agli oltraggi dell’uomo che aveva voluto autoproclamarsi re delle isole di Ferro. Nove anni dalla notte in cui erano rimasti fianco a fianco nella fortezza conquistata di Greyjoy. Era stata quella l’ultima volta che Ned aveva visto il re. Eddard aveva preso Theon, il primogenito del ribelle, come suo ostaggio e protetto, ed era ritornato a Grande Inverno.
Da allora Robert aveva messo su almeno cinquanta chili. Una fisarmonica di menti tutt’altro che regale era nascosta a stento da un’imponente barba nera, dura come metallo, ma nulla avrebbe potuto nascondere il ventre prominente e le scure borse sotto gli occhi.
In ogni caso Robert era il suo re, adesso, non più soltanto suo amico. E da re Ned l’avrebbe trattato.
«Maestà» si limitò a dire «Grande Inverno ti appartiene.»
Gli altri cavalieri stavano smontando e gli stallieri venivano a occuparsi dei loro animali. Cersei Lannister, la regina, moglie di Robert, entrò nel castello a piedi, accompagnata dai figli più piccoli. Fu costretta a farlo perché il carro sul quale era arrivata la famiglia reale — un mastodonte a due piani tirato da quaranta cavalli massicci, fatto di quercia rinforzata d’acciaio — era troppo largo per poter passare dal portale. Ned s’inchinò nella neve per baciare l’anello della regina mentre Robert abbracciava Catelyn con il calore che si ha verso una sorella che non si vede da molto tempo. Poi i bambini di entrambe le famiglie vennero presentati gli uni agli altri e quindi reciprocamente approvati come voleva l’etichetta.
Completato il protocollo, Robert non volle perdere altro tempo. «Conducimi alla cripta, Eddard» disse. «Voglio presentare i miei rispetti.»
Ned apprezzò il gesto e si fece portare una lanterna. Dopo tanto tempo, Robert continuava a ricordarsi di lei. Tra loro non furono necessarie altre parole, ma la regina cominciò a protestare. Erano in viaggio dall’alba, erano stanchi, infreddoliti e affamati, non sarebbe stato male darsi per prima cosa una rinfrescata. I defunti potevano aspettare, per cui… Non disse altro. Robert la folgorò con un’occhiata e il suo fratello gemello Jaime la prese per un braccio e la portò via.
Scesero assieme nel sepolcro di Grande Inverno, Eddard e questo re che stentava a riconoscere. I gradini di pietra della scala a spirale erano stretti. Ned andò giù per primo, reggendo la lanterna.
«Cominciavo a pensare che non ci saremmo mai arrivati, a Grande Inverno» si lamentò Robert durante la discesa. «Giù nel Sud, a sentire come la gente parla dei miei Sette Regni, uno finisce con il dimenticare che la tua parte è grande quanto le altre sei messe assieme.»
«Confido comunque che il viaggio sia stato di tuo gradimento, maestà.»
«E come no» sbuffò Robert. «Paludi, foreste e pianure. E che ci fosse una locanda decente a nord dell’Incollatura. Mai vista tanta terra vuota. Ma dov’è la tua gente, Ned?»
«Probabilmente sono troppo timidi per farsi vedere.» Ned continuò a scendere, respirando l’alito gelido che saliva dalle viscere della terra. «I re sono una visione rara qui nel Nord.»