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Era stato molto più interessato dal gruppo che seguiva: i fratelli della regina, i Lannister di Castel Granito, il Leone e il Folletto, ed era impossibile non capire chi fosse cosa. Ser Jaime Lannister, fratello gemello della regina Cersei, era alto e dorato, con scintillanti occhi verdi e un sorriso affilato come una lama di Valyria. Indossava seta porpora, alti stivali neri, un’ampia cappa di satin nero. Il leone della sua nobile Casa, ricamato in oro sul petto del suo farsetto, era raffigurato in un ruggito carico di sfida, di minaccia. Il Leone di Lannister, così veniva chiamato ser Jaime nelle sale del regno, ma alle sue spalle si sussurrava un altro appellativo, assai diverso: Sterminatore di re.

Eppure Jon non era riuscito a distogliere lo sguardo da quell’uomo. Un pensiero aveva preso forma nella sua mente: “È questo l’aspetto che dovrebbe avere un re”.

E poi, seminascosto dal fratello, aveva visto l’altro Lannister: Tyrion, il più giovane della covata di lord Tywin e di gran lunga il più brutto. Tutti i doni estetici che gli dei avevano concesso a Cersei e a Jaime, li avevano negati a Tyrion, il Folletto, un nano alto la metà del fratello, che arrancava per tenere il passo su gambette arcuate, deformi. La sua testa, sproporzionatamente grossa in confronto al resto del corpo, ospitava una faccia dai lineamenti brutali, rincagnati, quasi tenuta in ombra da un’arcata sopraccigliare sporgente. Aveva occhi dai colori diversi, uno nero e l’altro verde, le iridi asimmetriche seminascoste da un ciuffo di capelli talmente biondi da apparire bianchi. Jon l’aveva fissato come ipnotizzato.

Ultimi dei lord a fare il loro ingresso erano stati Benjen Stark dei Guardiani della notte e il giovane Theon Greyjoy, il protetto di suo padre. Nel superarlo, Benjen aveva rivolto a Jon un sorriso pieno di calore. Per contro, Theon l’aveva smaccatamente ignorato: nulla di nuovo. Una volta che tutti quanti furono seduti, si era passati ai brindisi di rigore, ai reciproci ringraziamenti, e finalmente il festino aveva avuto inizio. Era stato a quel punto che Jon aveva cominciato a darci dentro con il vino.

E non aveva ancora smesso.

Sotto il tavolo, qualcosa si strusciò contro le sue gambe. Jon vide due occhi rossi, ardenti. «Ancora fame?» chiese.

Al centro del tavolo era rimasto mezzo pollo marinato al miele. Jon allungò una mano per strapparne una coscia, poi ci ripensò. Conficcò il pugnale nel volatile e lo lasciò cadere a terra tutto intero, tra le proprie gambe. In un silenzio sinistro, selvaggio, Spettro, il meta-lupo albino, iniziò a divorarlo. Ai suoi fratelli e sorelle non era stato permesso portare i loro lupi al banchetto, ma quel lato della sala era zeppo di animali e nessuno si era sognato di dire niente a Jon in merito al suo cucciolo. Un altro aspetto della fortuna di essere un bastardo.

Gli occhi gli bruciavano e se li sfregò con forza, maledicendo il fumo. Mandò giù un’altra sorsata di vino e osservò il meta-lupo che continuava a fare a pezzi il pollo.

Parecchi cani incrociavano fra i tavoli, tallonando le serve che trasportavano il cibo. Uno di loro, una cagna nera dagli occhi giallastri, percepì l’aroma del pollo. Si fermò e andò a infilarsi sotto la panca per prenderne un pezzo. Jon osservò il confronto. La cagna emise un basso ringhio e si avvicinò a Spettro, che sollevò il muso e la fissò con quei suoi occhi fiammeggianti. La cagna nera abbaiò una sola volta, lanciando la sfida. Era grossa almeno il triplo di lui, ma Spettro non si scompose. Si limitò ad aprire le fauci e a scoprire le zanne ricurve. La cagna s’irrigidì, abbaiò una seconda volta, poi fece la mossa giusta: si ritirò con la coda tra le gambe, lanciando un ultimo ringhio per salvare l’orgoglio. Spettro tornò a dedicarsi alla sua preda.

Jon sogghignò, si protese sotto il tavolo e scompigliò la pelliccia bianca. Il meta-lupo lo guardò, gli diede un piccolo colpo con il naso alla mano e riprese a mangiare.

«Per cui questo è uno dei meta-lupi dei quali ho sentito parlare.»

Jon alzò lo sguardo sorridendo. Suo zio Benjen Stark gli arruffò i capelli pressoché nello stesso modo in cui lui aveva arruffato il pelo del cucciolo. «Si chiama Spettro.»

Uno degli altri signorotti seduti al tavolo interruppe l’aneddoto che stava raccontando e si spostò per fare posto al fratello del suo lord. Benjen scavalcò la panca con le lunghe gambe e prese la coppa dalla mano di Jon.

«Vino dell’estate» rilevò dopo un sorso. «Niente di più dolce. Quante te ne sei già scolate di queste, Jon?»

Jon sorrise senza rispondere.

«Proprio come temevo» rise Ben. «Ah, be’, in ogni caso credo di essere stato anche più giovane di te la prima volta che mi sono sbronzato.» Da un vassoio accanto a loro prelevò una grossa cipolla arrostita gocciolante salsa speziata e l’addentò, facendola scricchiolare tra i denti.

Benjen Stark era un uomo dai lineamenti marcati, asciutto come uno sperone basaltico, ma c’era sempre un accenno di allegria nei suoi occhi azzurro acciaio. Vestiva interamente di nero, secondo la tradizione della confraternita dei Guardiani della notte. Per l’occasione, aveva scelto spesso velluto, alti stivali e una larga cintura dalla fibbia d’argento. Come unico ornamento, portava attorno al collo parecchi giri di collana, anch’essa d’argento. Continuò a osservare Spettro e a mordere la cipolla. «Un lupo molto quieto» osservò.

«È diverso dagli altri» rispose Jon. «Non fa il minimo rumore. Per questo l’ho chiamato Spettro. E anche perché è bianco. Gli altri sono bruni, grigi o neri.»

«Ci sono ancora molti meta-lupi oltre la Barriera. Uscendo di pattuglia, li sentiamo muoversi nella foresta.» Benjen Stark lanciò a Jon uno sguardo penetrante. «Dimmi una cosa, Jon: di solito non mangi allo stesso tavolo dei tuoi fratelli?»

«Il più delle volte.» Il tono di Jon rimase incolore. «Ma questa sera lady Stark ha ritenuto che far sedere con loro un bastardo avrebbe potuto recare affronto alla famiglia reale.»

«Capisco.» Benjen gettò un’occhiata al disopra della spalla, verso il tavolo sulla piattaforma all’estremità più lontana della sala. «Mio fratello non ha esattamente l’aria di uno che si sta divertendo.»

Anche Jon l’aveva notato. Un bastardo era costretto a notare le cose, a intuire le verità che si celavano dietro gli sguardi. Suo padre era stato perfetto in ognuna delle cortesie di rito, ma c’era in lui una rigidezza che Jon non aveva visto spesso. Lord Eddard Stark parlava poco, i suoi occhi cupi, fermi sulla prospettiva della sala, guardavano ma senza vedere nulla. A due posti da lui, il re non aveva fatto che bere senza sosta per tutta la serata. Dietro la spessa barba nera, la sua faccia larga era accesa dei fumi del vino: troppi brindisi, troppe risate sguaiate, troppi assalti all’arma bianca a ogni portata. Accanto a lui, la regina appariva distante e remota come una scultura di ghiaccio.

«Anche la regina è arrabbiata» disse Jon a voce bassa, calma. «Questo pomeriggio, mio padre ha portato il re a visitare la cripta, ma la regina non voleva che ci andasse.»

«C’è ben poco che ti sfugge, vero, Jon?» Benjen scrutò attentamente il ragazzo, valutandolo. «Sulla Barriera c’è bisogno di uomini come te.»