«Ti ho offeso?» chiese Tyrion. «Mi dispiace, ma i nani non sono obbligati ad avere tatto. Dopo la pletora d’imbecilli con mantello con la quale sono stato costretto ad avere a che fare, mi sono guadagnato il diritto di vestire in modo schifoso e di dire qualsiasi cosa fetente mi passi per la testa.» Fece una smorfia. «Tu però sei il bastardo.»
«Lord Eddard Stark è mio padre» ammise Jon rigidamente.
«Si vede.» Tyrion studiò i suoi lineamenti. «In te c’è molto più l’uomo del Nord di quanto non ce ne sia nei tuoi fratelli.»
«Fratellastri» corresse Jon. Le parole del Folletto gli avevano fatto piacere, ma cercò di non darlo a vedere.
«Allora lascia che ti dia qualche consiglio, bastardo» riprese Tyrion Lannister. «Mai, mai dimenticare chi sei, perché di certo il mondo non lo dimenticherà. Trasforma chi sei nella tua forza, così non potrà mai essere la tua debolezza. Fanne un’armatura, e non potrà mai essere usata contro di te.»
Jon Snow non era in vena di stare a sentire consigli, da nessuno. «Tu che ne sai di cosa significa essere un bastardo?»
«Agli occhi dei loro padri, tutti i nani sono bastardi.»
«Ma tu rimani un Lannister, sangue del loro sangue.»
«Davvero?» Il Folletto ebbe un’espressione sardonica. «Non esitare, ragazzo: va’ pure a dirlo al lord mio padre. Mia madre morì nel darmi alla luce, per cui lui non ha mai potuto esserne del tutto certo.»
«Io non so nemmeno chi sia, mia madre» disse Jon.
«Una donna d’eccezione, senza alcun dubbio. La maggior parte di loro lo sono.» Tyrion gli elargì un sorriso di solidarietà. «Ricorda una sola cosa, ragazzo: tutti i nani potranno anche essere dei bastardi, ma non è affatto necessario che tutti i bastardi debbano essere dei nani.»
Detto questo, il Folletto girò sui tacchi e fischiettando arrancò verso il portale per tornare alla festa. Quando aprì la porta, la luce proveniente da dentro proiettò la sua ombra sull’intera lunghezza del cortile del castello. Per un momento, Tyrion Lannister fu più torreggiante del re del Sette Regni.
CATELYN
Tra tutti gli ambienti della Prima Fortezza di Grande Inverno, i quartieri privati di Catelyn erano decisamente i più caldi. Era raro che vi venisse acceso il fuoco. Il castello era costruito su un sistema di sorgenti calde sotterranee le cui acque ribollenti, simili a flussi sanguigni di un corpo gigantesco, risalivano lungo le intercapedini nelle mura. La temperatura di quelle acque teneva il gelo lontano dalle stanze, riempiva di tiepida umidità i giardini racchiusi nel vetro, impediva alla terra di congelare. Durante l’estate, tutto questo appariva poca cosa; durante l’inverno, faceva la differenza tra la vita e la morte.
La sala da bagno di Catelyn era perennemente torrida, piena di vapori, le pareti calde al tatto. Quel calore le faceva tornare alla mente Delta delle Acque, i giorni passati al sole assieme a Lysa e a Edmure. Per Eddard, quel calore rappresentava un problema. Gli Stark erano gente fatta per il freddo, le ripeteva in continuazione. Al che lei rideva, rispondendo che forse Brandon il Costruttore aveva eretto il castello nel posto sbagliato.
Così, quando ebbero finito, seguendo il medesimo rituale silenzioso compiuto mille volte, Ned si staccò dal corpo di lei, si alzò dal letto e andò ad aprire le pesanti tende. Una per una, spalancò le strette finestre, lasciando che l’aria fredda della notte invadesse la stanza.
Catelyn rimase a osservarlo, tirandosi le coperte di pelliccia fino al mento. Immobile di fronte alle tenebre, il vento del nord che si avvolgeva attorno a lui, nudo e a mani vuote, il signore di Grande Inverno appariva in qualche modo più piccolo, quasi vulnerabile, molto simile all’adolescente al quale, quindici anni prima, era andata in sposa nel tempio di Delta delle Acque. Ned aveva fatto l’amore con lei in modo urgente, quasi disperato. Catelyn sentiva la schiena e le braccia ancora indolenzite dalla passione di lui, una cosa che non le dispiaceva affatto. Sentiva anche il suo seme dentro di sé. Pregò che si sviluppasse. Erano passati tre anni dalla nascita di Rickon. Lei non era troppo vecchia, poteva ancora dargli un altro figlio.
«Rifiuterò.».Ned si girò verso di lei, una luce cupa nello sguardo, la voce satura di dubbi.
«Non puoi.» Catelyn si rizzò a sedere sul letto. «Non devi.»
«Il mio posto, il mio dovere sono qui, nel Nord. Non ho alcun desiderio di diventare Primo Cavaliere di Robert.»
«Lui questo non lo capirà. È re, adesso, e i re non sono come gli altri uomini. Se rifiuti di servirlo, si domanderà perché e presto o tardi comincerà a sospettare che tu possa essere contro di lui. Non ti rendi conto del pericolo nel quale rischi di mettere tutti noi?»
«Robert non farà mai del male a nessuno dei miei né a me.» Ned scosse il capo, rifiutando di accettare una cosa del genere. «Lui e io eravamo più che fratelli. Mi vuole bene. Nel momento in cui gli dirò di no, si metterà a urlare, a bestemmiare, a fare il diavolo a quattro, ma nel giro di una settimana ci faremo sopra una risata. Io lo conosco, Catelyn!»
«Tu conosci un uomo che non esiste più. Questo re ti è del tutto estraneo.» Catelyn ricordò la meta-lupa morta nella neve, con il frammento di rostro di unicorno inchiodato in gola. Doveva fare in modo che Ned capisse, che vedesse. «Per un re, mio signore, l’orgoglio è tutto. Robert ha fatto molta strada per vederti, per offrirti questo grande onore. Non puoi ributtarglielo in faccia.»
«Questo grande onore?» Ned ebbe una risata piena di amarezza.
«Ai suoi occhi lo è.»
«E ai tuoi?»
«Lo è anche ai miei!» rispose Catelyn con rabbia. Come poteva Ned non vedere? «Ha offerto suo figlio in matrimonio a nostra figlia, in quale altro modo definiresti un gesto del genere? Un giorno, Sansa sarà regina dei Sette Regni. I suoi figli domineranno dalla Barriera del Grande Nord alle montagne di Dorne. Qual è il tuo problema di fronte a tutto questo?»
«Per gli dei, Catelyn: Sansa ha solamente undici anni! E Joffrey… non so, Joffrey è…»
«L’erede diretto del Trono di Spade» completò lei al suo posto. «Inoltre, io avevo solo dodici anni quando mio padre mi promise a tuo fratello Brandon.»
«Brandon.» La bocca di Eddard assunse una piega amara. «Lui saprebbe cosa fare, adesso. Lo sapeva sempre. Tutto doveva andare a Brandon: tu, Grande Inverno, ogni cosa. A Brandon, non a me. Lui era nato per essere Primo Cavaliere del re e padre di regine, non io. Io non ho mai chiesto di portare il bastone del comando.»
«Non l’hai chiesto, è vero» riconobbe Catelyn. «Tuttavia la realtà rimane, e non si può cambiarla: Brandon è morto e tu hai il bastone del comando. E ora tocca a te tenerlo in pugno, che ti piaccia o no.»
Ned tornò a girarsi, voltandole le spalle, e scrutò di nuovo nelle tenebre; forse osservava la luna e le stelle, o forse le sentinelle sulle mura.
Catelyn si intenerì vedendo la sua pena. L’aveva sposata in luogo di Brandon, esattamente come voleva la tradizione, ma quel fantasma non aveva mai cessato d’incombere su di loro. Assieme all’altro fantasma, quello della donna il cui nome si era sempre rifiutato di rivelare: la donna che gli aveva dato Jon, il figlio bastardo.
Catelyn stava per alzarsi e andargli vicino quando qualcuno bussò alla porta in modo perentorio, inaspettato.
Ned si girò, la fronte aggrottata: «Che c’è?».
«Mio signore» era la voce di Desmond. «Maestro Luwin è qui. Chiede urgente udienza.»
«Gli hai detto che ho dato ordine di non essere disturbato?»
«Sì, mio signore. E maestro insiste.»
«E va bene. Fallo entrare.»
Ned raggiunse il guardaroba e indossò una vestaglia pesante. Catelyn si rese improvvisamente conto di quanto freddo fosse entrato nella stanza. Rimase a sedere sul letto, ma tornò a tirarsi le pellicce fino al mento. «Forse sarebbe bene chiudere le finestre» suggerì.