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«Basta così!» tuonò ser Rodrik, offrendo la mano al principe e aiutandolo a sollevarsi. «Ben combattuta. Lew, Donnis, aiutateli a togliersi l’armatura.» Si guardò attorno. «Principe Joffrey, Robb: un altro assalto?»

Robb, già sudato da un precedente duello, non se lo fece ripetere. «Con piacere» rispose.

Accettando a sua volta l’offerta di ser Rodrik, Joffrey avanzò nella luce del sole. I suoi capelli parvero oro liquefatto. Sul suo viso, l’espressione perennemente annoiata non mutò. «Questa è roba da bambini, ser Rodrik.»

Theon Greyjoy se ne uscì con un’improvvisa risata. «Voi siete bambini» disse con derisione.

«Lo sarà Robb, un bambino.» Joffrey non si scompose. «Io sono un principe. E trovo quanto mai tedioso bacchettare gli Stark con una spada di legno.»

«Di bacchettate, Joff, ne hai prese molte di più di quante ne hai date» lo rimbeccò Robb. «O forse hai paura?»

«Terrore.» Joffrey lo guardò con supponenza. «Sei tanto più vecchio di me, Robb.»

Alcuni degli uomini Lannister risero.

Jon, la fronte aggrottata, rimase a osservare la scena. «Un vero stronzetto, quel Joffrey» disse ad Arya.

Ser Rodrik si diede una pensosa arricciata di baffi. «Quindi, che cosa suggerisci, principe?»

«Acciaio.»

«E acciaio sia» approvò subito Robb. «L’idea è tua.»

«Troppo pericoloso.» Il maestro d’armi mise una mano sulla spalla del giovane Stark per farlo stare calmo. «Vi permetterò spade da torneo, senza affilatura.»

Joffrey non rispose, ma fu qualcun altro a rispondere per lui, un uomo che Arya non aveva mai visto, un cavaliere alto, dai capelli scuri, il volto solcato da cicatrici da ustione. «Questo è il tuo principe.» Il cavaliere avanzò fino a mettersi davanti a Joffrey. «Chi sei tu per dire al tuo principe che deve avere una spada spuntata, ser?»

«Io sono il maestro d’armi di Grande Inverno» rispose ser Rodrik. «E ti suggerisco, Clegane, di non dimenticarlo.»

«E chi addestri a Grande Inverno, maestro d’armi?» volle sapere l’uomo dal volto bruciato, muscoloso come un toro. «Donne, forse?»

«Addestro cavalieri» ribatté ser Rodrik. «E combatteranno con l’acciaio soltanto quando saranno pronti, quando avranno l’età per farlo.»

L’uomo sfregiato si rivolse a Robb: «Quanti anni hai, ragazzo?».

«Quattordici.»

«Ne avevo dodici quando uccisi un uomo per la prima volta. E puoi stare certo che non fu con una spada spuntata.»

A Robb ribolliva il sangue nelle vene, Arya se ne accorse subito. Era stato ferito nell’orgoglio. Si girò di scarto verso il maestro d’armi esclamando furibondo: «Lasciami avere l’acciaio! Posso batterlo!».

«Battilo con una spada da torneo» replicò ser Rodrik, irremovibile.

«Allora torna da me quando sarai un po’ più vecchio, Stark.» Joffrey rise in faccia a Robb. «Sempreché tu non sia diventato troppo vecchio.» Gli uomini Lannister risero.

Le imprecazioni inferocite di Robb riecheggiarono per tutto il cortile. Arya si coprì la bocca con la mano, stentando a credere che suo fratello fosse capace di un linguaggio simile. Theon Greyjoy fu rapido nell’afferrare Robb per un braccio, impedendogli di saltare addosso al principe ereditario. Ser Rodrik si diede un’altra arricciata di baffi, questa volta con rabbia.

«Forza, Tommen, andiamo.» Joffrey finse di sbadigliare, rivolgendosi al fratello più giovane. «L’ora della ricreazione è finita. Lasciamo che questi bambini continuino a giocherellare per conto loro.»

Altre risate da parte degli uomini Lannister. E altre bestemmie da parte di Robb. Sotto i baffoni candidi, la faccia di ser Rodrik era incendiata dall’ira. Theon Greyjoy continuò a tenere Robb in una presa d’acciaio fino a quando i principi e il loro manipolo non furono a distanza di sicurezza.

Jon li osservò andarsene e Arya osservò Jon. Il suo volto era immobile, cristallizzato come la superficie della pozza d’acqua oscura nel cuore del parco degli dei. Alla fine saltò giù dal davanzale della finestra. «Lo spettacolo è finito» disse. Si chinò a grattare Spettro dietro le orecchie, e il meta-lupo si alzò per strofinarsi contro di lui.

«E adesso, sorellina» disse ad Arya «sarà meglio che tu corra nella tua stanza. Septa Mordane starà di sicuro in agguato. Più a lungo ti nascondi, più duro sarà il castigo. Ti faranno ricamare per tutto l’inverno. E al disgelo di primavera, potremmo trovarti ridotta a un ghiacciolo, con l’ago ancora stretto tra le dita dure come roccia.»

«Io lo odio, il ricamo!» Arya non era affatto divertita. «Non è giusto!»

«Niente è giusto, Arya.» Jon le scompigliò un’ultima volta i capelli e si avviò tra le zone d’ombra del ponte coperto, Spettro che scivolava silenzioso alle sue spalle. Nymeria cominciò a seguirli, poi, vedendo che Arya non si era mossa, si fermò e tornò indietro con riluttanza.

Arya andò nella direzione opposta. Era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare perché da quella parte l’aspettava qualcosa di peggio, molto peggio di quanto Jon aveva prospettato. Non c’era solamente septa Mordane ad aspettarla nella sua stanza. C’erano septa Mordane e sua madre.

BRAN

I cacciatori partirono al sorgere del sole.

Per il banchetto di quella sera, il re voleva cinghiale. Il principe Joffrey cavalcava a fianco del padre, pertanto venne deciso che anche Robb avrebbe partecipato alla caccia. Zio Benjen, Jory Cassel, Theon Greyjoy, ser Rodrik e perfino il fratello della regina, quello strano omino chiamato “il Folletto”, erano andati a loro volta. In fondo, quella sarebbe stata l’ultima caccia nel Nord. Al mattino del giorno dopo, tutti quanti si sarebbero messi in viaggio per il Sud.

Bran era rimasto al castello assieme a Jon, alle ragazze e a Rickon. Ma Rickon era un bambino piccolo, le ragazze erano ragazze e Jon e il suo lupo bianco non si trovavano da nessuna parte. Non che Bran l’avesse poi cercato con tanto impegno. Pensava che fosse arrabbiato con lui, anzi, in quei giorni Jon sembrava arrabbiato con tutti e Bran non sapeva il perché. Jon sarebbe andato alla Barriera con lo zio Ben per diventare Guardiano della notte, il che era quasi lo stesso che andare a Sud assieme al re. A rimanere a casa sarebbe stato soltanto Robb, non Jon.

Erano giorni che Bran non stava nella pelle in attesa della partenza. Avrebbe percorso la strada del Re a cavallo: non un pony, ma un vero cavallo. Suo padre sarebbe diventato Primo Cavaliere e tutti loro sarebbero vissuti nel rosso castello ad Approdo del Re che era stato costruito dai Signori dei draghi. La vecchia Nan diceva che quel posto era abitato da fantasmi, che cose spaventose erano avvenute nelle sue segrete e che le sue pareti erano adonrnate con teste di drago. Solamente a pensarci, Bran sentiva un brivido lungo la schiena, eppure non aveva paura. Come avrebbe potuto? Ci sarebbe stato suo padre con lui, e poi il re, con tutti i suoi cavalieri e spadaccini.

Un giorno anche Bran sarebbe stato cavaliere, membro della Guardia reale. Secondo la vecchia Nan, erano le spade più formidabili del regno. Sette, erano soltanto in sette, portavano armature bianche, non avevano moglie né figli e vivevano per un unico scopo: vegliare sul re. Bran conosceva tutte le storie, tutte le leggende che li riguardavano. I loro nomi erano musica per le sue orecchie: Serwyn dallo Scudo a specchio, ser Ryam Redwyne, il principe Aemon, Cavaliere del drago, i gemelli ser Erryk e ser Arryk, morti uno sulla lama dell’altra centinaia di anni prima, quando il fratello aveva combattuto contro la sorella in una guerra che i trovatori chiamavano La danza dei draghi. E poi Gerold Hightower, il Toro bianco, e ser Arthur Dayne, la Spada dell’alba, e infine ser Barristan il Valoroso.

Due di loro erano venuti al Nord assieme a re Robert e Bran li aveva osservati pieno di stupefatta ammirazione, senza osare rivolgere loro la parola. Ser Boros Blount era calvo e aveva la faccia spigolosa, ser Meryn Trant aveva occhi infossati e una barba del colore della ruggine. Ser Jaime Lannister, invece, aveva davvero l’aspetto di uno dei cavalieri di cui parlavano le leggende, e anche lui faceva parte della Guardia reale. Robb però diceva che ser Jaime aveva assassinato il re precedente, il vecchio re Folle, disonorando così l’armatura bianca. Il più grande cavaliere ancora vivente restava ser Barristan Selmy, Barristan il Valoroso, comandante della Guardia. Suo padre gli aveva promesso che, una volta raggiunta Approdo del Re, avrebbero incontrato ser Barristan in persona. Bran aveva contato i giorni facendo delle tacche nel suo muro speciale del castello, impaziente di partire per vedere quel mondo che fino ad allora aveva solo sognato e cominciare una vita che riusciva a immaginare solo remotamente.