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«Ti stai scaldando troppo» disse l’uomo. «Lysa non è che una pecora spaventata.»

«Quella pecora spaventata divideva il letto con Jon Arryn.»

«Se avesse saputo qualcosa, puoi stare certa che sarebbe andata da Robert ben prima di scappare da Approdo del Re.»

«Dopo che lui aveva già acconsentito a fare adottare quella gelatina di suo figlio a Castel Granito? Non penso proprio. Sapeva perfettamente che la vita del ragazzo sarebbe stata il pegno del suo silenzio. E adesso che lui è al sicuro nel Nido dell’Aquila, Lysa potrebbe rialzare la cresta.»

«Madri!» L’uomo pronunciò la parola come se fosse stata un insulto infamante. «Mi sono fatto l’idea che partorire vi gioca brutti scherzi alla testa. Siete pazze, tutte quante.» La sua risata aveva un suono sgradevole. «Ma che la rialzi pure la cresta, lady Arryn. Qualsiasi cosa sa, o crede di sapere, non ha prove.» Ci fu una pausa. «O ne ha?»

«Tu t’illudi davvero che il re avrebbe bisogno di prove?» incalzò la donna. «Non mi ama! Tu lo sai, io lo so.»

«E dimmi, dolce sorella, di chi pensi sia la colpa?»

Bran studiò il cornicione. Era troppo stretto per atterrarci sopra, ma se fosse riuscito ad aggrapparsi a qualcosa e quindi tirarsi su… solo che una manovra del genere avrebbe fatto rumore e attirato l’attenzione dei due verso la finestra. Non capiva bene che cosa stava ascoltando, ma era certo che i due non supponevano che lui, o qualcun altro, ascoltasse.

«Tu sei cieco come Robert» disse la donna.

«Se intendi dire che lui e io vediamo la medesima cosa, allora hai ragione» ribatté l’uomo. «E vediamo un uomo che sceglierebbe la morte piuttosto che tradire il proprio re.»

«Ne ha già tradito uno, di re. O te ne sei scordato, per caso? Oh, non nego che sia leale nei confronti di Robert, è fin troppo ovvio. Ma che cosa accadrà quando Robert sarà morto e Joffrey salirà al trono? E quanto prima ciò avverrà, tanto più tutti noi saremo in una posizione di maggiore sicurezza. Ogni giorno che passa, mio marito diventa sempre più impaziente, e con Stark al fianco sarà anche peggio. È ancora innamorato di sua sorella, ti rendi conto? Del cadavere di quell’insipida sedicenne. Quanto tempo pensi che passerà prima che mi metta da parte per una nuova Lyanna?»

Bran sentì d’improvviso la morsa di una paura senza nome. Desiderò con tutto se stesso tornare indietro e cercare i suoi fratelli. Ma per dire loro che cosa? Doveva andare più vicino. Doveva vedere chi stava parlando.

«Cerca di pensare meno al futuro e più ai piaceri che hai a portata di mano» sospirò l’uomo.

«Smettila!» esclamò la donna. Bran udì lo schiocco secco di uno schiaffo improvviso. Carne su carne. L’uomo rise di nuovo.

Bran si protese verso l’alto, si arrampicò sul doccione, avanzò carponi sul tetto. Era quella la via più facile. Raggiunse il doccione successivo, quello appena sopra la finestra dalla quale uscivano le voci.

«Tutto questo sta diventando estremamente tedioso, sorella» disse l’uomo. «Vieni qui e chiudi la bocca.»

Bran serrò le gambe attorno alla gola del doccione, intrecciò i piedi e roteò, rimanendo appeso a testa in giù nel vuoto. Lentamente, cautamente allungò il collo verso la finestra. Il mondo visto al contrario era strano. C’era un cortile direttamente sotto di lui, le pietre ancora bagnate per la neve disciolta.

Guardò dentro la stanza.

Un uomo e una donna stavano come lottando. Erano nudi. L’uomo gli voltava le spalle, la sua schiena impediva a Bran di vedere in viso la donna, che l’uomo spingeva contro il muro.

Poi vennero i rumori. Suoni molli, umidi. Bran capì: si stavano baciando. Continuò a guardare con occhi sbarrati, terrorizzato, il fiato mozzo. L’uomo spinse una mano tra le gambe di lei. Dovette farle male perché la donna cominciò a gemere in modo basso, gutturale. «Fermati» gli disse. «Fermati, ti prego…» Continuò a dirgli di fermarsi, ma non lo respinse, e la sua voce era debole, incerta. Le dita di lei affondarono nei capelli dell’uomo, si attorcigliarono nei riccioli biondi, abbassarono il volto di lui tra i seni.

E Bran vide il suo viso: occhi chiusi, bocca aperta che continuava a gemere, capelli biondi che danzavano ritmicamente avanti e indietro, seguendo il movimento dei due corpi uniti. Era la regina Cersei Lannister.

Forse Bran fece un rumore perché gli occhi della donna si aprirono di scatto, videro, parvero conficcarsi nel volto di Bran. La regina urlò.

Poi tutto accadde in un vortice. Cersei spinse violentemente l’uomo lontano da sé continuando a urlare, a indicare. Bran cercò di risalire, si inarcò comprimendo i muscoli dell’addome fino a farsi male, le braccia protese verso il doccione. Ma si mosse troppo in fretta, le sue dita incontrarono la liscia pietra del doccione e scivolarono su di essa senza far presa. Nel panico, le sue gambe cedettero e cadde.

Per un istante, Bran ebbe le vertìgini, sentì l’amaro sapore del fiele in gola mentre volava oltre la finestra. Protese la mano sinistra, che annaspò nel nulla, incontrò lo stretto cornicione e lo perse, ma la mano destra riuscì ad afferrarlo. Bran oscillò e andò a sbattere con violenza contro il muro. L’impatto gli fece uscire tutta l’aria dal petto. Rimase a penzolare nel vuoto aggrappato con una mano sola, ansimante.

Dalla finestra sopra di lui si affacciarono dei volti.

La regina. E ora Bran riconobbe anche l’uomo che era con lei: pareva l’immagine di lei riflessa in uno specchio.

«Ci ha visti» disse la regina spaventata.

«Così pare» confermò l’uomo.

Le dita di Bran cominciarono a perdere la presa. Afferrò il cornicione con l’altra mano, le unghie conficcate nella roccia impenetrabile.

«Prendi la mia mano» disse l’uomo allungandosi verso di lui. «Prima che tu cada.»

Bran gli afferrò il braccio. Strinse con tutte le sue forze. L’uomo lo sollevò fino al cornicione.

«Ma che cosa fai?» sibilò la regina.

L’uomo la ignorò. Era incredibilmente forte. Sistemò Bran in piedi sul davanzale della finestra. «Quanti anni hai, ragazzino?»

«Sette.» Bran tremava di sollievo. Si rese conto che le sue dita affondavano ancora nel braccio dell’uomo e lentamente lasciò la presa.

«Amore, amore…» L’uomo spostò lo sguardo sulla regina, la voce carica d’improvvisa repulsione. «Quali atti si compiono in tuo nome…» E spinse Bran nel vuoto.

Bran precipitò urlando nell’aria gelida. Non c’era più nulla a cui aggrapparsi. Il cortile salì verso di lui a velocità accecante.

Lontano, in qualche punto remoto, un lupo ululava. Nel cielo sopra la torre spezzata, i corvi volavano in cerchio, aspettando chicchi di grano.

TYRION

Da qualche parte nel labirinto di pietra della Prima Fortezza, un lupo ululò. Il lugubre verso rimase sospeso sopra il castello come un nero vessillo di morte.

Tyrion Lannister sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo. La biblioteca di Grande Inverno era calda e accogliente, ma non riuscì comunque a reprimere un brivido. Qualcosa, nell’ululato dei lupi, trascinava un uomo lontano dalla propria dimensione per proiettarlo nelle foreste tenebrose della mente, a correre nudo alla testa del branco.

Il meta-lupo ululò di nuovo. Tyrion richiuse di schianto il pesante volume rilegato in cuoio. Era un ponderoso trattato vecchio di un secolo, scritto da un dotto maestro in merito al mutamento nel ciclo delle stagioni. La fiamma nella lanterna da lettura tremolava, l’olio ormai finito, mentre il chiarore dell’alba cominciava a filtrare dalle alte finestre. Il Folletto coprì uno sbadiglio con il dorso della mano. Era rimasto a leggere tutta la notte. Nulla di nuovo: Tyrion Lannister e il sonno non erano mai stati in buoni rapporti.

Nello scivolare giù dallo sgabello sentì le gambe irrigidite, indolenzite. Se le massaggiò cercando di riattivare la circolazione. Zoppicando vistosamente, si avviò verso il tavolo dove il septon bibliotecario dormiva alla grande, la guancia abbandonata sulle pagine del libro rimasto aperto di fronte a lui: una biografia del gran maestro Aethelmure, il migliore dei sonniferi.

«Chayle» disse Tyrion in un soffio.

Il giovane sussultò, ammiccando più volte. Nel movimento improvviso, il cristallo del suo ordine culturale che portava appeso alla grossa catena d’argento dondolò bruscamente da una parte all’altra del collo.

«Vado a fare colazione» riprese Tyrion. «Occupati tu di rimettere a posto i volumi. Sii cauto con i rotoli valyriani, la pergamena è molto secca. Macchine di guerra di Ayrmidon è rarissimo. La vostra è l’unica copia completa che io abbia mai visto.»

Chayle, ancora intontito dal sonno, lo guardò stralunato. Pazientemente, Tyrion gli ripeté le istruzioni, gli diede un paio di colpetti sulla spalla e lo lasciò al suo lavoro.