Jon tolse dall’involto di stoffa l’oggetto che aveva portato e lo tese a sua sorella.
Gli occhi di Arya si spalancarono, occhi scuri come i suoi. La voce di lei era un sussurro: «Una spada».
Il fodero era di soffice cuoio grigio, liscio e ricco come il peccato.
«Arya, questo non è un giocattolo…» Lentamente, Jon estrasse la lama, in modo che lei vedesse la sfumatura azzurra del puro acciaio. «Sta’ attenta a non tagliarti. È affilata come un rasoio.»
«Alle ragazze non servono rasoi» scherzò lei.
«Ad alcune sì» sorrise Jon. «Le gambe della septa le hai mai guardate?»
Arya ridacchiò alla battuta, ma il suo sguardo non si staccò mai dalla spada. «È così sottile…»
«Proprio come te» confermò Jon. «L’ho fatta fare da mastro Mikken apposta. I braavos usano spade come questa a Pentos, Myr e nelle altre Città Libere. Un uomo non lo decapita, ma a usarla nel modo giusto, con la rapidità giusta, lo può riempire di brutti buchi.»
«Io ce l’ho la rapidità!»
«Ma dovrai far pratica tutti i giorni.» Jon le mise l’elsa in mano, le mostrò come impugnarla e fece un passo indietro. «Come la senti? Ti piace il suo bilanciamento?»
«Direi di sì.»
«Prima lezione: infilzarli sempre di punta.»
Arya gli diede un colpo con il piatto della lama. «Lo so con quale parte colpirli!» dichiarò, ma immediatamente dopo fu piena di dubbi. «Septa Mordane me la porterà via.»
«Per portartela via, dovrà sapere che ce l’hai.»
«Ma Jon, con chi potrò fare pratica?»
«Troverai qualcuno» l’assicurò lui. «Approdo del Re è una vera città, mille volte più vasta di Grande Inverno. Fino al momento in cui non troverai un compagno di lama, osserva gli addestramenti nel cortile della Fortezza Rossa. E poi corri, va’ a cavallo, diventa forte. Ma qualsiasi cosa tu faccia…»
Arya conosceva quel gioco privato tra loro due. Lei e Jon continuarono in coro: «Non-dirlo-a-Sansa!».
Jon le scompigliò i capelli. «Mi mancherai, sorellina.»
Improvvisamente, l’irriducibile Arya parve sul punto di mettersi a piangere. «Vorrei che tu venissi con noi.»
«Strade diverse a volte conducono allo stesso castello. Chi può sapere?» Ora Jon si sentiva meglio, non avrebbe permesso alla tristezza di aggredirlo di nuovo. «Devo andare, adesso. Se faccio aspettare zio Benjen un altro po’, passerò il mio primo anno sulla Barriera a svuotare pitali.»
Arya corse da lui per l’ultimo abbraccio.
«Calma, sorellina!» l’avvertì con una risata. «Prima metti giù la spada.»
Lei la mise da parte quasi con vergogna, poi lo tempestò di piccoli baci.
Quando fu giunto sulla porta, si voltò verso di lei per l’ultima volta e la vide con la spada in pugno, che se la bilanciava nella mano.
«Oh, a momenti dimenticavo…» le disse. «Tutte le grandi spade hanno un nome.»
«Come Ghiaccio» convenne Arya studiando la sua lama. «E questa? Ce l’ha, un nome? Dimmelo, Jon!»
«Non indovini?» fece lui con un sorriso ironico. «Qual è la tua cosa preferita?»
Arya apparve perplessa, ma non durò che un batter d’occhi perché era rapida, molto rapida. Dissero in coro anche questo: «Ago!».
Il ricordo della loro ultima risata insieme riscaldò Jon Snow per tutta la lunga cavalcata verso settentrione.
DAENERYS
Daenerys Targaryen andò sposa a khal Drogo nella pianura all’esterno delle mura della città libera di Pentos. Così voleva l’antico credo dei Dothraki: ogni evento rilevante della vita di un uomo doveva accadere al cospetto del cielo.
Andò sposa piena di terrore, circondata di splendore barbarico. Drogo aveva chiamato a raccolta il suo intero khalasar e loro erano apparsi: quarantamila guerrieri dothraki con i loro quarantamila cavalli, più un numero incalcolabile di donne, bambini e schiavi. Avevano allestito un immane campo appena fuori le mura della città, erigendo palazzi di giunchi, mangiando tutto il mangiabile e facendo correre brividi gelidi lungo la schiena dei bravi cittadini di Pentos, la cui paura era andata crescendo di giorno in giorno.
«I miei colleghi magistri e io abbiamo fatto raddoppiare la Guardia cittadina» li informò magistro Illyrio, ingozzandosi di anatra al miele e di peperoni piccanti marinati.
Erano nella residenza di Drogo. Per l’occasione, il khal era andato a unirsi al suo khalasar, concedendo a Daenerys e a suo fratello di rimanere nel maniero fino alle nozze.
«È meglio che la principessa Daenerys si sposi in fretta, prima che metà della ricchezza di Pentos finisca nelle tasche di mercenari e di braavosiani» commentò ser Jorah Mormont.
La notte in cui Dany era stata barattata al khal, il cavaliere esiliato aveva messo la propria spada al servizio di Viserys, che aveva accettato l’offerta con entusiasmo. Da allora, Mormont era stato il loro inseparabile compagno.
Magistro Illyrio ridacchiò dietro la barba biforcuta. Per contro, l’espressione del re Mendicante rimase seria.
«Quel barbaro può averla anche domani, se vuole.» Viserys scoccò un’occhiata a sua sorella, lei distolse lo sguardo. «Basta che paghi il dovuto.»
«Fidati di me, principe. È tutto fatto.» Illyrio agitò la mano in un gesto languido che fece scintillare i troppi anelli sulle sue dita grassocce. «Il khal ti ha promesso la corona, e tu la corona avrai.»
«Sì, ma quando?»
«Quando il khal deciderà. Per prima cosa prenderà la fanciulla. Una volta che saranno marito e moglie, dovrà compiere il viaggio rituale e presentarla alle anziane del dosh khaleen, nella città sacra di Vaes Dothrak. E solamente dopo tutto questo, forse, pagherà il suo prezzo. Ma lo farà solo se i presagi dothraki saranno in favore della guerra.»
«Io defeco sui presagi dothraki!» Viserys era divorato dall’impazienza. «L’usurpatore continua a sedere sul trono di mio padre. Quanto ancora dovrò aspettare?»
«Hai aspettato tutta la vita, mio giovane re.» Illyrio si strinse vistosamente nelle spalle. «Che sarà mai aspettare qualche altro mese? O qualche altro anno?»
«Ti suggerisco anch’io di essere paziente, mio signore.» Ser Jorah, che aveva viaggiato fino a Vaes Dothrak, concordò con un cenno del capo. «I Dothraki mantengono la parola data, ma agiscono secondo la loro scala del tempo. Un uomo di rango inferiore a lui può presentarsi al khal e chiedergli di favorirlo, ma non deve mai avere la presunzione di esigere qualcosa da lui.»
«Attento a quella tua lingua, Mormont» s’infuriò Viserys «o te la farò strappare. Io non sono affatto un uomo di rango inferiore: io sono il legittimo sovrano dei Sette Regni! Il drago non chiede di essere favorito.»
Rispettosamente, ser Jorah abbassò lo sguardo.
Illyrio sorrise in modo enigmatico, strappò un’ala all’anatra e andò all’assalto della carne tenera; olio denso e miele gli gocciolavano sulla barba.
Dany si limitò a osservare il fratello, restando in silenzio. “I draghi sono finiti.” Fu solo un pensiero nella sua mente, che non assunse mai forma di parole.
Ma quella notte, un drago venne da lei. Viserys la stava picchiando, le faceva male. Daenerys era nuda, intorpidita dalla paura. Cercava di allontanarsi da lui, ma il suo corpo sembrava goffo e sgraziato e rifiutava di obbedirle.
Lui la colpì di nuovo. Dany barcollò, cadde.
«Hai risvegliato il drago!» Viserys la prese a calci, senza smettere di urlare. Le cosce di lei erano viscide di sangue.
«Hai risvegliato il drago! Hai risvegliato il drago!» Gemendo, Dany chiuse gli occhi.
Quasi rispondendo al suo gemito, qualcosa si mosse con un rumore terribile, come di membrane che si squarciano dall’interno verso l’esterno, come di un immenso fuoco divorante.
Daenerys aprì gli occhi. Viserys era svanito. Tutt’attorno a lei, ruggivano immense colonne di fiamme. E al centro stesso delle fiamme… c’era il drago. Lentamente, la testa del rettile ruotò verso di lei. Gli occhi, ardenti come metallo liquefatto, si fissarono nei suoi.