Выбрать главу

«È così che chiami tutto questo? Non sei uscita di qui da quando Bran è caduto, non sei nemmeno venuta al portale del castello quando papà e le ragazze sono andati al Sud.»

«Ho detto loro addio stando qui e li ho guardati andare dalla finestra.»

Aveva implorato Ned di non lasciarla, non adesso, non dopo quanto era successo. Tutto era cambiato. Come poteva Ned non rendersene conto? Ma non era servito a nulla. «Non ho scelta» le aveva risposto suo marito e poi se n’era andato. Era stata quella la sua scelta.

«Non posso lasciare Bran» riprese Catelyn. «Nemmeno per un momento. Non quando ogni momento potrebbe essere l’ultimo. Io devo essere con lui se… se…» Prese la mano del figlio tra le sue. Il suo piccolo Bran. Così fragile, così sciupato. Quella mano così priva di forza. Eppure, sotto la pelle lei sentiva ancora il calore della vita.

«Bran non morirà, madre.» La voce di Robb si addolcì. «Maestro Luwin è sicuro che il momento di maggiore pericolo è ormai passato.»

«E se maestro Luwin si sbagliasse? Se Bran avesse bisogno di me e io non fossi qui?»

«Rickon ha bisogno di te, madre» rispose Robb con determinazione. «Ha soltanto tre anni. Non capisce cosa sta accadendo. Pensa che tutti lo abbiano abbandonato così viene dietro a me tutto il giorno. Si aggrappa alla mia gamba e piange, ma io non so come comportarmi con lui.» S’interruppe, mordendosi il labbro inferiore come faceva quando era lui ad avere l’età di Rickon. «Madre, anch’io ho bisogno di te. Tento, ma non posso fare… tutto da solo.»

La sua voce si spezzò e Catelyn ricordò che aveva solo quattordici anni. Voleva alzarsi, andare da lui, ma Bran teneva ancora la sua mano, così non si mosse.

Da qualche parte, un lupo ululò. Catelyn ebbe un tremito. Durò solo un attimo.

«È il lupo di Bran.» Robb aprì la finestra e la fredda aria notturna entrò a sopraffare l’atmosfera stantia della stanza. L’ululato crebbe d’intensità: un richiamo freddo, solitario, nutrito da una disperazione ancestrale.

«Chiudi, Robb! Bran deve stare al caldo.»

«Bran deve udire il loro canto.» Chissà dove, nel labirinto della Prima Fortezza, un secondo lupo si mise a ululare, poi un terzo, più vicino. «Questo è Cagnaccio. E questo Vento grigio. Ascolta con attenzione.» Robb seguì gli ululati che crescevano e tornavano a scemare, il coro dei lupi nelle tenebre. «Se ascolti, riesci a distinguere le loro voci.»

Catelyn ora stava tremando per la sofferenza, il freddo, l’ululato dei meta-lupi. Notte dopo notte, quegli ululati, quel vento gelido, quell’immane castello diventato troppo vuoto: tutto questo non avrebbe avuto mai fine. E il suo piccolo giaceva come un oggetto frantumato. Il più caro, il più delicato dei bambini. Bran che amava ridere e scalare fino al cielo, che sognava il mantello bianco della Guardia reale. Tutto finito, tutto perduto. Non avrebbe mai più udito il suo piccolo ridere.

Strappò la propria mano alla stretta di lui e singhiozzando si coprì le orecchie. Non voleva più udire quegli ululati incessanti, spaventosi. «Falli smettere!» gridò. «Non li sopporto più! Falli smettere, falli smettere!… Se non c’è altro modo, uccidili! Basta che tacciano!»

Non ricordò di essere caduta sulle pietre del pavimento, ma fu là che si rese conto di giacere.

«Non avere paura, madre.» Le forti braccia di Robb la sollevarono, la guidarono verso il tettino nell’angolo della stanza. «Non gli farebbero mai del male. Chiudi gli occhi, cerca di riposare» le disse con dolcezza. «Maestro Luwin mi ha detto che dalla caduta di Bran praticamente non hai dormito.»

«Non posso dormire!» Catelyn piangeva disperata. «Gli dei mi perdonino, Robb, ma non posso farlo, capisci? Che cosa accadrebbe se lui morisse mentre io dormo? Se lui morisse… se lui…» I meta-lupi continuavano a ululare. Catelyn gridò e si coprì nuovamente le orecchie. «In nome degli dei, Robb! Chiudi quella finestra!»

«Solo se mi prometti che cercherai di dormire.» Robb andò alla finestra e allungò una mano verso le imposte. Improvvisamente, si fermò. «I cani…» disse, ascoltando attento. Un suono diverso era andato a sovrapporsi al cupo ululare dei lupi. «I cani di Grande Inverno.» Robb tese le orecchie. «Stanno abbaiando tutti assieme. Non l’hanno mai fatto…»

Catelyn percepì le parole che si strozzavano nella gola del figlio. Alzò lo sguardo. Al debole chiarore della lampada, il volto del ragazzo era terreo. «Fuoco» disse in un sussurro. «C’è un incendio!…»

“Un incendio!” pensò lei. E subito dopo: “Bran!”.

«Robb! Aiutami!» esclamò Catelyn alzandosi di colpo a sedere. «Aiutami a portare via Bran!»

«La biblioteca nella torre.» Robb parve non averla udita. «Sta bruciando.»

E ora, fuori della finestra aperta, anche Catelyn poteva vedere il baluginare rossastro delle fiamme. Emise un respiro di sollievo. La biblioteca si trovava sul lato opposto del fossato. Nessun incendio sarebbe mai stato in grado di raggiungerli. Bran era al sicuro. «Siano lodati gli dei» bisbigliò.

«Tu rimani qui, madre.» Robb la guardò con lo stesso sguardo con il quale si compatisce un folle. «Tornerò da te non appena avremo domato l’incendio.»

Un attimo dopo era andato. Lo udì gridare alle guardie fuori della stanza, udì tutti quanti precipitarsi giù per le scale, tre gradini per volta.

All’esterno, molte voci nel cortile urlavano: «Al fuoco!». Poi altre urla, passi in corsa, il nitrire dei cavalli spaventati, l’abbaiare frenetico dei cani. Gli ululati, però, erano cessati. Catelyn se ne rese conto nell’ascoltare quella cacofonia. I meta-lupi adesso tacevano.

Si diresse alla finestra ringraziando i sette volti del dio. Al di là del fossato, lingue di fiamma si contorcevano uscendo dalle finestre della biblioteca, volute di fumo salivano ad attorcigliarsi nel cielo scuro. Tutti quei preziosi, antichi testi che gli Stark avevano acquisito e conservato nei secoli. Tristemente, Catelyn chiuse le imposte su tutto quel sapere che finiva in cenere.

«Te non devi essere qua.»

C’era un uomo con lei nella stanza.

«Nessuno deve essere qua.»

La voce era un mugugnare acido, raschiante. L’ometto era sporco, vestito di luridi cenci che puzzavano di stalla, di sterco di cavalli. Catelyn conosceva tutti quelli che lavoravano nelle stalle e questo individuo non era uno di loro: un ometto da niente, ossuto, capelli biondastri, occhi pallidi infossati in una faccia scavata. Stringeva nel pugno una daga.

Catelyn guardò la daga, poi Bran. «No…» Quell’unica parola le uscì a stento dalla gola, simile a un sussurro rauco.

«È misericordia.» In qualche modo, lui parve averla udita. «È come se lui è già morto.»

«No!» Catelyn ritrovò la voce. «Non lo farai!»

Roteò su se stessa e spalancò la finestra per urlare aiuto. L’uomo le fu addosso. Si era mosso in modo rapido, molto rapido per un ometto così da niente. Il puzzo che emanava toglieva il fiato. La sua mano sinistra si chiuse sulla bocca di lei, soffocando l’urlo. Le tirò indietro la testa, esponendone la gola. Poi l’uomo alzò la daga.

Con tutte le sue forze, Catelyn afferrò la lama con entrambe le mani e la allontanò dalla propria gola. Lo udì bestemmiare vicinissimo all’orecchio. Sentì le dita viscide di sangue, eppure non lasciò la presa attorno all’arma. La mano che le copriva la bocca si contrasse, mozzandole il respiro. Catelyn ruotò la testa e riuscì a mordere con forza tra il palmo e l’articolazione del pollice. L’uomo gemette di dolore. Catelyn digrignò i denti e mosse la testa da una parte all’altra, dilaniando la carne.