«Io la chiamo Dente di leone» dichiarò Joffrey.
E fu Dente di leone la loro sola compagnia. Lasciarono all’accampamento il meta-lupo e il Mastino e cavalcarono verso est, seguendo la sponda settentrionale del Tridente.
Era una giornata radiosa, magica. L’aria era calda, satura del profumo dei fiori, e i boschi avevano una bellezza delicata che nel Nord Sansa non aveva mai visto. Il cavallo del principe Joffrey era un purosangue veloce come il vento. Lui lo lanciava con temerario abbandono, costringendo Sansa a spronare al massimo per tenergli dietro. Era una giornata da dedicare alle avventure. Esplorarono le caverne che si aprivano sulla riva rocciosa. Seguirono le tracce di una pantera-ombra fino alla sua tana. Quando ebbero fame, Joffrey arrivò a un fortino che aveva individuato dal pennacchio di fumo e ordinò ai soldati di procurare cibo e vino per sé e per la sua signora. Pranzarono con trote appena pescate e Sansa bevve più vino di quanto non ne avesse mai bevuto prima.
«Mio padre ci permette solo una coppa» confessò al suo principe. «E solo nei giorni di festa.»
«La mia promessa sposa può bere tutto il vino che vuole.» Joffrey le riempì la coppa.
Cavalcarono più lentamente dopo il pasto. Joffrey cantò per lei, con voce alta, suadente, pura. Sansa si sentiva leggermente stordita per il troppo vino. «Non dovremmo rientrare?» provò a suggerire.
«Non ancora» ribatté Joffrey. «Il campo di battaglia è poco più avanti, all’ansa del fiume. È là che mio padre ha ucciso in duello Rhaegar Targaryen. Gli ha sfondato il petto, crack, proprio al centro dell’armatura.» Fece mulinare un’immaginaria mazza ferrata mostrandole come aveva fatto Robert. «E poi mio zio Jaime ha ucciso il vecchio Aerys e mio padre è diventato re… Che cos’è questo rumore?»
Anche Sansa lo udiva. Clack-clack-clack. Colpi irregolari che parevano fluttuare tra i rami del bosco lungo il fiume.
«Non saprei, mio principe.» Pareva un suono di legni picchiati l’uno contro l’altro, un suono che rendeva Sansa nervosa. «Joffrey, torniamo indietro.»
«Voglio vedere cos’è.» Joffrey diresse il cavallo verso il punto da cui provenivano i suoni. Sansa non ebbe altra scelta che seguirlo. I colpi si fecero più forti, più definiti. Erano proprio legni picchiati uno contro l’altro. Oltre ai colpi, gli ansiti di qualcuno che respirava pesantemente. E ogni tanto, un gemito.
«C’è qualcuno.» Sansa era preoccupata. Lady, perché mai l’aveva lasciata all’accampamento?
«Con me sei al sicuro.» Joffrey sguainò Dente di leone, e il rumore dell’acciaio che usciva dal fodero di cuoio mandò un brivido gelido giù per la schiena di Sansa. «Da questa parte.» Joffrey avanzò in mezzo a un gruppo di alberi.
C’era una radura in riva al fiume. E nella radura c’erano un ragazzo e una ragazza. Giocavano ai cavalieri, andando all’attacco una dell’altro nell’erba folta. Le loro spade erano pezzi di legno, manici di scopa a giudicare dall’aspetto. Il ragazzo aveva qualche anno più della ragazza, la passava di tutta la testa, era decisamente più forte e aggressivo. La ragazza, un affanno tutt’ossa e muscoli, con indosso un gilè di cuoio lurido, riusciva a parare molti dei colpi di lui con il proprio bastone, ma non tutti. Quando lei tentò un assalto, lui intercettò il suo bastone, lo deviò e picchiò duro sulle dita dell’avversaria. La ragazza gridò di dolore e lasciò cadere la “spada”.
Il principe Joffrey rise. Il ragazzo si girò di scatto, gli occhi spalancati pieni di paura. Immediatamente, lasciò cadere il bastone nell’erba. La ragazza fulminò con un’occhiata le due figure a cavallo, continuando a succhiarsi le nocche malamente pestate.
Sansa, inorridita, incredula, esclamò: «Arya?…».
«Andate via!» Arya aveva gli occhi pieni di lacrime di rabbia. «Che cosa ci fate qui? Lasciateci in pace.»
«Quella sarebbe tua sorella?» Joffrey, ugualmente incredulo, continuò a spostare lo sguardo da Sansa ad Arya.
Sansa, arrossendo, fu costretta ad annuire.
Joffrey esaminò il ragazzo. Era chiaramente un plebeo, faccia lentigginosa, capelli rossi arruffati. «E tu, ragazzo, chi saresti?» Lo disse con tono di comando, noncurante del fatto che l’altro aveva chiaramente più anni di lui.
«Mycah» borbottò il ragazzo. Poi riconobbe il principe e aggiunse: «Mio signore».
«È il garzone del macellaio» spiegò Sansa.
«È un mio amico» ribatté Arya con tono deciso. «Lasciatelo stare.»
«Un garzone di macellaio che vuole essere un cavaliere, giusto?» Joffrey volteggiò a terra, spada in pugno. «Coraggio, garzone di macellaio, raccogli la tua lama di legno.» Gli occhi del principe scintillavano di eccitazione. «Vediamo come ti batti da cavaliere.»
Mycah rimase immobile, paralizzato dalla paura.
«Ti ho detto di raccogliere la spada.» Joffrey continuò ad avanzare verso di lui. «O forse è solo con le ragazzine che preferisci misurarti?»
«Mi ha chiesto lei di farlo, mio signore… È stata lei…» si difese Mycah.
A Sansa bastò un’occhiata a sua sorella, al suo viso congestionato, per sapere che il garzone di macellaio stava dicendo il vero. Ma Joffrey non era in condizione di ascoltare niente: il troppo vino l’aveva reso sfrenato. «E allora, la raccogli la tua spada oppure no?»
«Non è una spada, mio signore, è solo un bastone.» Mycah scosse il capo. «Nient’altro che un bastone di legno.»
«E tu non sei nient’altro che un garzone di macellaio, non certo un cavaliere.» Joffrey sollevò Dente di leone, ne appoggiò la punta acuminata appena sotto l’occhio di Mycah. Il garzone tremava. «Perché è la sorella della mia signora quella che tu stavi colpendo, lo sai, questo?»
La punta affondò nella carne di Mycah e uno scintillante rigagnolo di sangue corse lungo la sua guancia.
«Fermati!» Arya aveva urlato con furore, poi si chinò ad afferrare il suo bastone di legno caduto nell’erba.
In Sansa tornò la paura. «Arya! No! Stanne fuori!»
«Non gli farò del male, ragazzina.» Joffrey parlava ad Arya, ma non tolse mai lo sguardo di dosso al garzone. «Non tanto.»
Arya andò all’attacco.
Sansa saltò giù dal cavallo per bloccarla, ma fu troppo lenta. Arya mulinò il pezzo di legno impugnandolo a due mani. Crack! Il bastone si abbatté contro la nuca del principe e si spezzò in due. E dopo questo, di fronte agli occhi inorriditi di Sansa Stark, le immagini si mescolarono le une dentro le altre in una specie di vortice.
Joffrey barcollò e roteò su se stesso bestemmiando.
Alla massima velocità che le sue gambe gli consentivano, Mycah partì di corsa in direzione degli alberi.
Arya andò nuovamente all’attacco, mulinando il bastone, ma questa volta Joffrey, la testa grondante sangue, gli occhi che mandavano lampi di furore, intercettò con Dente di leone. Il bastone volò via dalle mani di Arya.
Sansa urlava: «No! No! Fermi! State rovinando tutto! Fermatevi!». Ma nessuno l’ascoltò.
Arya raccolse un sasso e lo lanciò mirando alla faccia di Joffrey. Mancò il bersaglio. La pietra picchiò contro il cavallo del principe, che nitrì di dolore e partì al galoppo sulla scia di Mycah.
«Fermatevi! Fermatevi!» gridava Sansa.
Joffrey mulinò la spada contro Arya urlando parole terribili, oscene. Arya arretrò dal letale pericolo, ma Joffrey continuò a incalzarla, a farla indietreggiare verso il bosco finché Arya non fu inchiodata con la schiena contro un albero.
Accecata dalle lacrime, sconvolta dal terrore, Sansa non sapeva cosa fare.
Poi un lampo grigio le passò accanto, la superò. Nymeria arrivò addosso a Joffrey e le sue fauci si chiusero attorno al braccio armato del principe, costringendolo a lasciare la presa. Joffrey andò a terra, la meta-lupa che rotolava sopra di lui nell’erba, le zanne che scavavano nel suo braccio.