Guardò verso est. Vide un grande vascello sfrecciare sulle acque del Morso. Sua madre era sola in una cabina, lo sguardo fisso su una daga macchiata di sangue che teneva davanti a sé. Vide i rematori con i muscoli tesi ritmicamente sui remi e ser Rodrik Cassel curvo su una murata, scosso da tremiti e sussulti. E poi vide una spaventosa tempesta avanzare verso di loro, venti impetuosi e lampi accecanti che squarciavano l’orizzonte nero, ma nessuno sul vascello sembrava in grado di vedere la minaccia in avvicinamento.
Guardò verso sud, verso la maestosa corrente blu-verde del Tridente. Vide suo padre, il volto scavato dalla sofferenza, implorare re Robert e sua sorella Sansa passare le notti a piangere disperata mentre Arya osservava in silenzio, tenendo cupi segreti sigillati nel cuore. Attorno a loro si affollavano ombre sinistre. Una era scura come la cenere e il suo volto era il muso di un mastino digrignante, un’altra indossava un’armatura del colore dei raggi del sole, dorata e bellissima. Su entrambe incombeva l’ombra di un gigante in armatura fatto di pietra. Ma quando il gigante sollevò la celata, non c’era nulla dietro di essa: in quel nulla, solo tenebre e orrido sangue nero.
Bran alzò lo sguardo e scrutò attraverso il mare Stretto, verso le Città Libere, il verde mare Dothraki e oltre, fino a Vaes Dothrak, ai piedi della sua immane montagna, fino ai paesi fiabeschi del mare di Giada, fino ad Asshai presso la Terra delle Ombre, dove i draghi si muovevano nella luce dell’alba.
Guardò infine verso nord. Vide la Barriera che scintillava come cristallo azzurro. Jon Snow, il suo fratello bastardo, dormiva in un letto gelido e la sua pelle si faceva livida e dura al ricordo del calore perduto per sempre.
Dopo aver visto tutto questo, Brandon Stark scrutò oltre la Barriera, oltre le foreste senza fine ammantate di neve, oltre la Costa Congelata e i giganteschi fiumi di ghiaccio azzurrino, oltre le morte desolazioni nelle quali nulla cresceva e nulla viveva. Scrutò a nord, ancora più a nord, fino ai tendaggi di luce nei cieli vuoti all’estremo confine del mondo. Guardò in profondità al di là di quei tendaggi, nel cuore stesso dell’inverno.
E allora urlò di terrore e il calore delle lacrime scavò sentieri di fuoco nel suo volto.
“Ora sai” sussurrò il corvo appollaiato sulla sua spalla. “Ora capisci perché devi vivere.”
«Perché?» chiese Bran che non capiva, mentre cadeva e cadeva e cadeva.
“Perché l’inverno sta arrivando.”
Bran guardò il corvo sulla sua spalla. Il corvo sostenne il suo sguardo. Aveva tre occhi e il terzo era pieno di una conoscenza terribile.
Bran tornò a guardare giù. Adesso non c’era più niente. Solamente neve, gelo e morte, un abisso in fondo al quale rostri di ghiaccio erano in attesa di ghermirlo, lance acuminate che correvano verso di lui. Tanti altri sognatori giacevano là sotto, impalati su quelle gelide punte. La paura, una paura disperata, tornò a invaderlo.
«È possibile che un uomo che ha paura possa essere anche coraggioso?» Era la sua voce a parlare, ma lontanissima e flebile.
«Possibile?» Fu la voce di suo padre a rispondergli. «È quello il solo momento in cui un uomo può essere coraggioso.»
“Adesso, Bran” dichiarò il corvo. “Decidi. O voli o muori.”
La morte di ghiaccio salì verso di lui, urlando e sibilando.
Brandon Stark allargò le braccia e cominciò a volare.
Ali invisibili si riempirono di vento e lo riportarono in alto. Sotto di lui, quelle spaventose lance di ghiaccio si allontanarono. Sopra di lui, il cielo si spalancò. Bran salì e salì. Era incredibile, meraviglioso, meglio di qualsiasi scalata, di qualsiasi altra cosa potesse esistere. Il mondo divenne nuovamente piccolo e distante.
«Sto volando!» Bran era estatico.
“Lo vedo.” Poi, di colpo, il corvo con tre occhi si staccò dalla sua spalla e si mise a svolazzargli in faccia, sbattendo le ali, accecandolo. Bran barcollò mentre il corvo lo artigliava, lo beccava nel centro della fronte, in mezzo agli occhi.
«No! Che fai?…» gridò.
Le nebbie grigie si squarciarono come un velo opaco. Il corvo con tre occhi spalancò il becco e gracchiò: un rauco suono di paura che parve arrivare fino al più alto dei cieli.
Non era un corvo. Era una donna dai lunghi capelli neri. Bran ricordava di averla già vista. Ma certo: una domestica di Grande Inverno.
Allora Bran si rese conto di essere in un letto alto, in una fredda stanza di una delle torri della Prima Fortezza. La donna dai capelli neri lasciò cadere il bacile di terracotta che reggeva, mandandolo a frantumarsi sul pavimento. Cominciò a urlare e si lanciò di corsa giù lungo i gradini di pietra: «Si è svegliato! Si è svegliato! Si è svegliato!…».
Bran si tastò la fronte, in mezzo agli occhi. Il punto in cui il corvo l’aveva beccato continuava a dolere, ma non c’era nessun segno, nessuna ferita, nessuna traccia di sangue. Non c’era niente di niente.
Cercò di scendere dal letto, ma non ci riuscì. Si sentiva debole, intontito, intorpidito. Accanto a lui, qualcosa si mosse e saltò atterrando sulle sue gambe. Lui non sentì nulla. Due occhi gialli, splendenti come soli, si fissarono nei suoi. La finestra era aperta e ventate d’aria fredda invadevano la stanza, ma il calore che emanava il meta-lupo lo avviluppava come quello generato da un bagno caldo.
Il suo cucciolo… Ma come poteva essere diventato così grosso? Bran cercò di accarezzarlo. La sua mano tremava come una foglia al vento.
Robb Stark irruppe nella stanza, senza fiato per la corsa fino alla cima della torre. Il meta-lupo senza nome stava leccando il viso di suo fratello.
«Estate.» Bran lo guardò serio. «Il suo nome è Estate.»
CATELYN
«Saremo ad Approdo del Re entro un’ora.»
«I tuoi sono stati validi rematori, capitano.» Catelyn si voltò verso di lui dalla murata del vascello, costringendosi a sorridere. «Come segno della mia gratitudine, ciascuno di loro riceverà un cervo d’argento.»
«Sei fin troppo generosa, lady Stark.» Il capitano Moreo Tumitis le indirizzò un lieve inchino. «L’onore di avere avuto a bordo una grande lady come te è l’unica ricompensa della quale i miei uomini hanno bisogno.»
«Desidero che abbiano comunque in premio quell’argento» insisté Catelyn.
«Come tu desideri» sorrise Moreo.
Parlava fluentemente la lingua comune dei Sette Regni, con appena una traccia dell’accento della città libera di Tyrosh. Le aveva detto che ormai da trent’anni solcava il mare Stretto, prima come rematore, poi come nostromo e infine come capitano di una sua flotta mercantile. La Danzatrice delle tempeste era la sua quarta nave, due alberi e sessanta remi, ed era la più veloce.
Quando Catelyn e ser Rodrik erano arrivati a Porto Bianco, al termine di una lunga galoppata lungo il fiume, tra le navi disponibili la Danzatrice si era dimostrata effettivamente la più rapida. La gente di Tyrosh era nota per la sua avidità e ser Rodrik aveva insistito perché affittassero un peschereccio nell’arcipelago delle Tre Sorelle, ma Catelyn aveva deciso per il vascello a remi, e si era rivelata la scelta migliore. Avevano avuto venti contrari per la maggior parte della traversata e, senza i buoni muscoli dei rematori del capitano Tumitis, in quel momento non avrebbero ancora doppiato i promontori delle Dita. Invece erano ormai in vista di Approdo del Re, e della fine del viaggio.
“Vicino.” Quel pensiero continuava a rimbalzare nella mente di Catelyn. “Così vicino.” Sotto le bende di lino, nel punto in cui la daga dell’assassino era affondata nella sua carne, le dita continuavano a pulsare. Un dolore sordo, ossessionante, quasi il preannuncio di altro dolore. Non sarebbe più riuscita a piegare le ultime due dita della mano sinistra e le altre avrebbero sempre funzionato male. Eppure, era stato un prezzo infimo da pagare per la vita di Bran.