Ma Catelyn sapeva che avrebbe trovato lì suo marito. Ogni volta che toglieva la vita a un uomo, lord Eddard Stark veniva a rifugiarsi nella pace del parco degli dei di Grande Inverno.
Catelyn era stata segnata con i sette unguenti ed era andata sposa nell’arcobaleno di luci che riempivano le radure di Delta delle Acque. Apparteneva al Credo così come, prima di lei, vi erano appartenuti suo padre, suo nonno e il padre di suo nonno. Gli dei di Catelyn avevano un nome e i loro volti le erano familiari quanto i volti dei suoi genitori. Il loro culto aveva aspetti sfumati: una fiaccola su un sepolcro, l’odore dell’incenso, un ettaedro di cristallo pulsante di luce, voci che si univano in coro. Anche Casa Tully aveva il proprio parco degli dei, tutte le grandi Case ce l’avevano, ma non era altro che un luogo in cui passeggiare o leggere alla luce del sole. Il Credo rimaneva confinato nei templi.
In questo, Ned le era venuto incontro. Le aveva eretto un piccolo altare sul quale Catelyn poteva pregare i sette volti del suo dio. Ma nelle vene degli Stark continuava a scorrere il sangue dei Primi Uomini e i loro dei erano quelli antichi e misteriosi dei grandi alberi, gli stessi della razza scomparsa dei Figli della foresta.
Nel centro del parco, un vecchio albero-diga incombeva su un laghetto dalle acque nere, gelide. “L’albero del cuore” lo chiamava Ned. La sua corteccia era bianca come le ossa di un teschio, le sue foglie rosso scuro erano simili a mille mani grondanti sangue. Un volto era stato scolpito nel legno del grande albero, i lineamenti tirati e malinconici, gli occhi scavati in profondità, arrossati dalla resina, stranamente guardinghi. Erano antichi, quegli occhi. Addirittura più antichi di Grande Inverno. Se le leggende avevano qualche fondamento, quegli occhi avevano visto Brandon il Costruttore posare la prima pietra e poi avevano osservato le mura di granito del castello innalzarsi attorno a essa. Le leggende dicevano anche che erano stati i Figli della foresta a scolpire le facce negli alberi. Era accaduto all’alba del tempo, molto prima che i Primi Uomini attraversassero il mare Stretto.
Nel Sud, gli ultimi alberi-diga erano stati abbattuti o bruciati oltre mille anni prima. Continuavano a esistere solamente sull’isola dei Volti, dove gli Uomini verdi mantenevano la loro veglia silenziosa. Qui, a Grande Inverno, era tutto diverso. Nel Nord ogni castello aveva il proprio parco degli dei, ogni parco degli dei aveva il proprio albero del cuore, e ogni albero del cuore aveva il proprio volto scolpito nel legno.
Catelyn trovò suo marito dietro l’albero-diga, seduto su una pietra coperta di muschio. Sulle sue ginocchia giaceva Ghiaccio, la spada lunga delle esecuzioni. Eddard Stark, Ned come lei lo chiamava, ne stava ripulendo la lama incrostata di sangue secco nelle acque dello stagno, nere come la notte. Uno strato di humus vecchio di millenni ammantava il terreno del parco, attutendo il suono dell’avvicinarsi di Catelyn. Eppure, gli occhi rossi scavati nel legno parevano seguirla a ogni passo.
«Ned.»
«Catelyn.» Alzò lo sguardo su di lei, la voce lontana e formale. «Dove sono i figli?»
Era la domanda che sempre le poneva.
«Nelle cucine. Si accapigliano sui nomi da dare ai cuccioli di meta-lupo.» Allargò le falde del mantello sul suolo del bosco e sedette sul bordo dello stagno, voltando le spalle all’albero-diga. Gli occhi scavati nel legno continuavano a osservarla e lei fece del suo meglio per ignorarli. «Arya ne è già innamorata, Sansa è incuriosita e ben disposta, ma Rickon non è del tutto convinto.»
«Ha paura?»
«Un po’» convenne Catelyn. «Ha solo tre anni.»
«Dovrà imparare ad affrontare le sue paure.» Ned corrugò la fronte. «Non avrà tre anni per sempre. E l’inverno sta arrivando.»
«Lo so.» Perfino dopo tanti anni, ogni volta che udiva quelle parole Catelyn rabbrividiva. Il motto degli Stark. Ogni nobile Casa aveva il proprio. Motti di famiglia, punti di riferimento, invocazioni di speranza. Frasi che parlavano di onore e gloria, promettevano lealtà e verità, giuravano fede e coraggio. Gli Stark erano diversi. “L’inverno sta arrivando”: questo era il loro motto. Strana gente, questi uomini del Nord. Per l’ennesima volta, Catelyn non poté evitare di pensarlo.
«È stata una buona morte, va riconosciuto a quell’uomo.» Ned continuò a far scorrere un panno di pelle oleata lungo la spada, ridando alla lama la sua oscura lucentezza. «Sono stato contento di Bran. Anche tu ne saresti stata orgogliosa.»
«Sono sempre orgogliosa di Bran» rispose Catelyn.
Lo sguardo di lei rimase sulla spada. Riuscì a definire le quasi impercettibili scanalature nel cuore dell’acciaio, nei punti il cui il metallo era stato ripiegato su se stesso centinaia di volte durante la forgiatura. Catelyn non amava le spade, tuttavia Ghiaccio possedeva una sua innegabile bellezza. Era stata forgiata a Valyria appena prima che il Disastro si abbattesse sull’antica fortezza, all’epoca in cui i mastri armaioli lavoravano non solo con la fiamma e il maglio, ma anche con gli incantesimi. Ghiaccio esisteva da quattrocento anni. E ancora oggi, il suo taglio era letale come il giorno in cui era emersa dal fuoco. Il nome le veniva da un’epoca ancora più antica, era un retaggio dell’Età degli eroi, quando gli Stark erano re del Nord.
«È il quarto, quest’anno» continuò cupamente Ned. «Il disgraziato era come pazzo. Qualcosa… qualcosa gli ha messo dentro un terrore così profondo che le mie parole non sono state neppure in grado di raggiungerlo.» Respirò a fondo. «Benjen mi scrive che la confraternita dei Guardiani della notte è scesa al disotto dei mille uomini, e non solo a causa delle diserzioni. Perdono gente anche durante i pattugliamenti.»
«I bruti?»
«Chi altri?» Ned sollevò Ghiaccio, esaminando l’allineamento della lama. «E le cose non faranno che peggiorare. Verrà il giorno in cui sarò costretto a chiamare a raccolta i vessilli di guerra e ad andare a nord, in modo da chiudere i conti con questo cosiddetto Re-oltre-la-Barriera una volta per tutte.»
«Oltre la Barriera?» La sola idea fece correre brividi glaciali lungo la schiena di Catelyn.
A Ned questo non sfuggì. «Da Mance Rayder non abbiamo nulla da temere.»
«Ci sono cose peggiori di Mance Rayder, oltre la Barriera.» Catelyn si voltò verso l’albero-diga, verso il volto nel legno pallido, gli occhi piangenti rossa resina, quel volto che vedeva, udiva, sentiva, quell’entità in grado di concepire pensieri eterni.
«Andiamo, Catelyn.» Il sorriso di Ned era pieno di calore. «Non dirmi che anche tu, come Bran, ti sei messa a dare retta alle storie della vecchia Nan. Gli Estranei sono morti. Finiti quanto sono finiti i Figli della foresta. Sono morti da ottomila anni. Secondo maestro Luwin non sono nemmeno esistiti. Nessuno li ha mai visti.»
«Davvero? Fino a questa mattina, nessuno aveva mai visto neppure un meta-lupo» gli ricordò Catelyn.
«Lo sapevo.» Il sorriso di Ned non si scompose. «Mai mettersi a discutere con un Tully.» Fece scivolare Ghiaccio nel fodero. «So che non sei venuta qui per raccontarmi le favole della buonanotte. So quanto poco ti trovi a tuo agio tra questi vecchi alberi. Che cosa ti turba, mia signora?»
«C’è una triste notizia.» Catelyn gli prese la mano. «Non volevo darti altri pensieri finché non ti fossi liberato di quelli che già hai… Mi dispiace, amore.» Non c’era alcun modo per rendere il colpo meno duro. Catelyn glielo disse senza giri di parole: «Jon Arryn è morto».