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L’uomo-stecco fece una smorfia che, probabilmente, voleva essere un sorriso. Aveva i denti dello stesso azzurro carico degli occhi e dei capelli.

— In analoghe circostanze voi direste: «Portatemi dal vostro capo». Io non chiedo questo. Devo rimanere qui. Né chiedo che uno dei vostri capi venga portato da me. Non sarebbe educato. Non ho alcuna difficoltà a considerare voi come rappresentanti del vostro capo, parlarvi e rispondere alle vostre domande. Ma, innanzi tutto, ho bisogno di un favore. Voi avete registratori a nastro. Prima di cominciare a parlare e rispondere alle vostre domande, chiedo che me ne facciate portare uno. Voglio essere sicuro che il vostro capo riceva un messaggio preciso e completo.

— Benissimo — disse il colonnello. Si rivolse al pilota. — Tenente, mettetevi alla radio e fateci avere un registratore a nastro, il più presto possibile. Possono paracadutarlo… No, ci vuole troppo per prepararlo per il lancio. Fatelo mandare su un altro elicottero. Il tenente si mosse. — Un momento — lo richiamò il colonnello. — Richiedete anche una prolunga di cinquanta metri. La presa di corrente è nella taverna di Manny.

Il tenente scattò verso l’elicottero.

Gli altri rimasero seduti a sudare un momento, poi Miguel Casey si alzò. — C’è da aspettare una mezz’oretta e, dato che resteremo al sole, che ne direste di una bottiglia di birra gelata? Anche voi, signor Garvane?

— È una bibita fredda, vero? Io ho un po’ freddo. Se aveste qualcosa di caldo…

— Vi farò un caffè. Volete che vi porti una coperta?

— No, grazie. Non è necessario.

Casey se ne andò e tornò poco dopo portando un vassoio con una mezza dozzina di bottiglie di birra ghiacciata e una tazza di caffè fumante. Anche il tenente, nel frattempo, era tornato nel gruppo. Casey mise in terra il vassoio e servì per primo l’uomo-stecco, che assaggiò il caffè e disse: — Delizioso.

Il colonnello Casey si schiarita gola. — Servi il nostro amico cercatore, Manny. Per quanto riguarda noi… bene, bere in servizio è proibito, ma a Tucson c’erano quarantuno gradi all’ombra, e qui fa più caldo, e non stiamo all’ombra. Signori, consideratevi fuori servizio per il tempo necessario a bere una birra, o per quello che impiegherà il registratore ad arrivare.

La birra finì e dopo qualche minuto il secondo elicottero fu in vista. Casey chiese all’uomo-stecco se voleva ancora caffè. L’offerta fu educatamente declinata. Poi strizzò l’occhio a Dade Grant, e il cercatore fece un cenno d’intesa. Casey andò allora a prendere altre due birre per terrestri civili. Uscendo dalla taverna incontrò il tenente che arrivava portando la prolunga per il registratore. Casey rientrò nella baracca per mostrargli dov’era la presa di corrente.

Quando tornò verso il gruppo, vide che il secondo elicottero, insieme al registratore, aveva portato anche quattro persone. Oltre al pilota c’erano un sergente, un tecnico dell’aviazione, che ora era occupato a preparare il registratore, un tenente colonnello e un sottufficiale, questi ultimi venuti per fare una gita o più probabilmente perché incuriositi dalla richiesta di un registratore da recapitare a Cherrybell, Arizona, per via aerea. Erano immobili e fissavano con occhi sbarrati l’uomo-stecco; qua e là si udivano parole bisbigliate sottovoce.

Il colonnello disse: — Attenzione — sottovoce, ma la parola bastò a ottenere il più completo silenzio. — Per favore, signori, sedete in circolo. Sergente, se piazzate il microfono al centro del circolo, verrà registrato chiaramente quello che ognuno di noi dirà?

— Sì, signore. Sono quasi pronto.

Dieci uomini e un umanoide extraterrestre sedettero in cerchio, con il microfono al centro, appeso a un piccolo treppiede.

Gli umani sudavano a profusione, l’umanoide rabbrividiva leggermente. Appena fuori del cerchio stava ritto il somaro, con aria mogia, a testa bassa. Più vicina ora, ma sempre a cinque o sei metri di distanza, allargata in semicerchio, c’era l’intera popolazione presente a Cherrybell in quel momento. I negozi e le stazioni di servizio erano deserti.

Il sergente premette un pulsante e la bobina del registratore cominciò a girare. — Uno, due, tre… — disse. Fece riavvolgere il nastro, poi premette il bottone dell’ascolto. — Uno, due, tre… — ripeté l’altoparlante. Il sergente fece riavvolgere di nuovo il nastro, poi cancellò quello che aveva inciso, quindi premette il pulsante dello stop.

— Quando premerò l’altro pulsante signore — disse rivolto al colonnello — ogni parola verrà registrata.

Il colonnello diede un’occhiata all’extraterrestre che annuì in risposta. Fece allora un cenno al sergente. Il sergente premette il pulsante.

— Il mio nome è Garvane — disse l’uomo-stecco lentamente e distintamente. — Vengo da uno dei pianeti di una stella che non è elencata nei vostri trattati astronomici, anche se il sistema di novantamila stelle a cui appartiene è a voi noto. Si trova verso il centro della galassia ad una distanza di più di quattromila anni-luce dalla Terra. Non sono qui come rappresentante del mio pianeta o del mio popolo, ma come Ministro plenipotenziario dell’Unione Galattica, una federazione delle civiltà evolute della galassia che ha per fine il bene comune. Il mio compito è di prendere contatto con voi, conoscervi, e decidere, qui e subito, se sia il caso di ammettervi nella federazione. Siete ora liberi di fare domande. Tuttavia mi riservo il diritto di posporre la risposta ad alcune di esse fino al momento in cui avrò preso la mia decisione. Se la decisione sarà favorevole, risponderò a tutte le domande, comprese quelle cui non avrò in precedenza risposto. Siete d’accordo?

— Sì — rispose il colonnello. — Come siete venuto qui? Con un’astronave?

— Esatto. Si trova in un’orbita a trentacinquemila chilometri d’altezza; gira insieme alla Terra ed è perciò sospesa in continuazione su questo punto. Dalla nave mi tengono costantemente sotto osservazione e questa è una delle ragioni per cui preferisco rimanere all’aperto. In qualsiasi momento posso chiedere, con un segnale, che vengano qui a riprendermi.

— Come fate a conoscere così bene la nostra lingua? Siete telepate?

— No, non lo sono. E non esiste alcuna razza nella galassia che lo sia. La vostra lingua mi è stata insegnata per la missione. Noi abbiamo avuto osservatori fra di voi per molti secoli. Dicendo “noi” intendo l’Unione Galattica. Ovviamente io non potrei passare per un terrestre, ma ci sono altre razze che lo possono. Vorrei precisare che questi osservatori non sono né spie né agenti segreti, né hanno mai cercato di influenzarvi; sono solo osservatori, tutto lì.

— Che benefici ricaveremo entrando nella vostra Unione, se ce lo chiederete e se noi accetteremo?

— Innanzitutto sarete sottoposti a un indottrinamento collettivo che metterà fine alla vostra tendenza a combattere fra di voi e che eliminerà, o almeno controllerà, il vostro spirito aggressivo. Quando avrete raggiunto questo stadio, vi insegneremo le tecniche dei viaggi interplanetari e interstellari e vi daremo molte altre cognizioni tanto rapidamente quanto sarete in grado di assimilarle.

— E se non ce lo chiederete, o se rifiuteremo?

— Non accadrà niente. Vi lasceremo soli, ritirando i nostri osservatori. Sarete padroni del vostro futuro: o renderete il vostro pianeta disabitato e inabitabile entro il prossimo secolo, oppure giungerete da soli alla tolleranza e alla convivenza mondiale e sarete di nuovo candidati a entrare nell’Unione. Di tanto in tanto vi controlleremo e quando saremo certi che non vorrete più distruggere voi stessi, riprenderemo contatto con voi.

— Che fretta c’è, dato che ora siete qui? Perché non potete restare un altro po’, in modo di dare il tempo ai nostri capi, come li chiamate voi, di parlarvi personalmente?

— Pospongo la risposta. La ragione non è importante; ma complicata e non desidero perdere tempo con i particolari.