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Ecco la poesia che il fiume si è mangiato:

DISTRUZIONE. I. Sostantivi. Distruzione, desolazione, relitto, rottame, rovina, rudere, rovina e distruzione, disastro, crollo, demolizione, saccheggio, strage, devastazione, dilapidazione, sfacelo, disgregazione, consumo, dissoluzione, annullamento, disfatta, spoliazione; mutilazione, disgregazione, polverizzazione; sabotaggio, vandalismo; annullamento, dannazione, estinzione, sfruttamento, invalidazione, abrogazione, frantumazione, naufragio; annientamento, annichilimento, sterminio, estirpazione, oblio, perdizione, sovversione.

II. Verbi. Distruggere, rovinare, mandare in rovina, frantumare, demolire, radere al suolo, devastare, sventrare, dilapidare, decimare, danneggiare, crollare, consumare, dissolvere, disgregare, mutilare, disintegrare, sovvertire, polverizzare; sabotare, brutalizzare; annullare, danneggiare, piagare, maledire, infrangere, estinguere, annullare, cancellare, soffocare, smorzare, affondare, infrangere, naufragare, silurare, demolire, sfruttare, disfare, svuotare; annichilire, divorare, annullare, sterminare, obliterare, estirpare, sovvertire; corrodere, erodere, indebolire, minare, sprecare, sciupare; ridurre; finire, infettare, corrodere; logorare, scorticare, escoriare, arrugginire.

III. Aggettivi. Distruttivo, rovinoso, vandalico, pernicioso, spietato, mortifero, malefico, distruttivo, predatorio, sinistro, nichilistico; corrosivo, erosivo, cancrenoso, caustico, abrasivo.

— Io ratifico — dice Edith.

— Io rimedio alla distruzione — dice Oliver.

— Io integro — dice Paul.

— Io svandalizzo — dice Elaine.

— Io ricompongo — dice Bruce.

— Io recupero — dice Edward.

— Io rigenero — dice Ronald.

— Io elimino la desolazione — dice Ethel.

— Io creo — dico io.

Noi ricostituiamo. Noi rinnoviamo. Noi ripariamo. Noi bonifichiamo. Noi ripristiniamo. Noi ricostruiamo. Noi riproduciamo. Noi redimiamo. Noi reintegriamo. Noi rimpiazziamo. Noi riedifichiamo. Noi ridiamo nuova vita. Noi facciamo risorgere. Noi ripariamo, medichiamo, correggiamo, poniamo rimedio, ritocchiamo, aggiustiamo, ricuciamo, rappezziamo, rabberciamo, rammendiamo, turiamo, uniamo. Noi celebriamo il nostro successo con un canto gagliardo ed energico. Alcuni di noi si accoppiano.

Ecco un incredibile esempio dell’umorismo nero degli antichi. In un luogo chiamato Richland, Washington, c’era un impianto adibito alla produzione di plutonio per armi nucleari. Tutto questo in nome della sicurezza nazionale, cioè per mantenere ed aumentare la sicurezza degli Stati Uniti e rendere gli abitanti fiduciosi e liberi da ogni preoccupazione. In un tempo relativamente breve, queste attività produssero circa cinquantacinque milioni di litri di scorie radioattive concentrate. Questo materiale era tanto caldo che avrebbe continuato a bollire spontaneamente per alcuni decenni, conservando le sue proprietà violentemente tossiche per varie migliaia di anni. La presenza di scorie così pericolose costituiva una severa minaccia ambientale per una vasta area degli Stati Uniti. Cosa fare, allora, di queste scorie? Venne trovata una soluzione davvero comica. L’impianto per il plutonio era situato in una regione altamente instabile dal punto di vista sismico, lungo la cintura a rischio che attraversa l’oceano Pacifico. Venne scelto un luogo di immagazzinamento proprio sopra quella faglia che aveva provocato un violento terremoto mezzo secolo prima. Qui, a poca profondità vennero interrati cento e quaranta serbatoi di cemento e acciaio, a circa cento metri di distanza dal bacino del fiume Columbia, che forniva acqua ad una regione densamente popolata. In questi serbatoi vennero immesse le scorie radioattive bollenti; un magnifico dono per le generazioni future. La raffinatezza dello scherzo divenne palese dopo pochi anni, quando cominciarono a notarsi le prime crepe nei serbatoi. Secondo alcuni osservatori sarebbero passati da dieci a venti anni prima che l’enorme calore potesse provocare la rottura delle giunture dei serbatoi, permettendo così alla radioattività di espandersi nell’atmosfera e ai fluidi radioattivi di riversarsi nel fiume. I progettisti dei serbatoi, però, continuarono a sostenere che questi erano sufficientemente resistenti da durare almeno cento anni. Si tenga presente che questo periodo era inferiore all’uno per cento al tempo di dimezzamento previsto dei materiali contenuti nei serbatoi. A causa della frammentarietà delle documentazioni, non siamo in grado di stabilire quale delle due stime fosse corretta. Alle nostre squadre di decontaminazione sarà possibile entrare nella regione inquinata non prima di un periodo che va da ottocento a milletrecento anni. Questo episodio suscita la mia incondizionata ammirazione! Quanto spirito, quanto entusiasmo dovevano avere gli antichi!

Ci viene concessa una vacanza per permetterci di raggiungere le montagne dell’Uruguay e visitare uno degli ultimi insediamenti umani, forse proprio l’ultimo. Venne scoperto parecchie centinaia di anni fa da una squadra di bonifica ed è stato conservato allo stato originario come museo per i turisti che un giorno vorranno visitare il loro pianeta natale. Si entra attraverso una lunga galleria di lucidi mattoni rosa. Una serie di portelli impedisce all’aria di penetrare all’interno. Il villaggio, adagiato tra due speroni rocciosi, è schermato da una cupola luccicante. Controlli automatici mantengono la temperatura ad un livello moderato. C’erano migliaia di abitanti. Li vediamo ancora nelle immense piazze, nelle taverne, e nei luoghi di svago. I gruppi familiari rimangono uniti, spesso in compagnia di qualche animale domestico. Alcuni hanno un ombrello. Tutti sono in buono stato di conservazione. Molti sorridono. Non si sa ancora perché questa gente sia morta. Alcuni sono deceduti nell’atto di parlare e gli studiosi hanno concentrato i loro sforzi, finora senza successo, nel tentativo di capire e tradurre l’ultima parola congelata sulle loro labbra. Non possiamo toccare nulla, ma possiamo entrare nelle case per ammirare i loro mobili e le loro proprietà. Sono commosso fino alle lacrime, e così anche gli altri. — Forse questi sono proprio i nostri antenati — esclama Ronald. Ma Bruce dichiara con disprezzo: — Sono cose ridicole. I nostri antenati devono essersene andati da qui molto tempo prima del periodo in cui visse questa gente. — Proprio fuori dall’insediamento trovo un piccolo osso luccicante, forse la tibia di un bambino o l’osso della coda di un cane. — Posso tenerlo? — chiedo al nostro capo. Ma lui mi obbliga a donarlo al museo.