— Voi invece sembrate brava in un sacco di cose — disse Phil. — Nella scherma soprattutto.
Lei si toccò pensosamente il labbro superiore con la punta della lingua. — Non sei male, anche se hai un’aria un po’ fiacca. Perché ti ha chiuso qui? Ti interessa troppo il sesso? Credevo che incoraggiasse la cosa nei suoi pazienti, e cercasse di imperdirla soltanto alla sua amata figliola.
Mentre Phil cercava le parole più adatte a rispondere, gli occhi scuri della ragazza si fecero pensosi. — Di’, che ne diresti di noi due? — Fece una pausa, poi con un gesto secco lanciò il coltello sul pavimento, dove si conficcò vibrando. Avanzò verso Phil. — Sì, tu ed io.
— Vostro padre può tornare da un momento all’altro — protestò Phil agitato.
— Giusto, e mi piacerebbe tanto vedere la faccia che farebbe. — Sollevò le braccia. — Guarda come sono bella. Guardali. Sembrano due boccioli di rosa.
Era veramente molto bella. Ma nonostante questo Phil si sentì gelare. Lei scoprì i denti e avventò gli artigli verso la sua guancia, ma all’ultimo momento trasformò l’unghiata in una carezza sprezzante.
— Non preoccuparti — disse. — So che il mio fascino è di quelli che terrorizzano i deboli. E poi il corvo non si accoppia col coniglio. Volevo farlo solo per dispetto a mio padre. Perché ti ha rinchiuso? Mi sembri così inoffensivo.
— Ho detto qualcosa a proposito di un gatto verde, tutto qui — rispose Phil con un tono di voce petulante.
Lei strabuzzò gli occhi. — Per Tammuz! Proprio dopo aver incoraggiato gli Akeley ad adorare Bast. È così incostante quell’uomo che certe volte penso sia un criptocomunista con una gran confusione in testa a forza di camuffarsi da qualcosa d’altro.
— Ha detto anche qualcosa a proposito di una sua ex paziente violenta che va in giro con…
— …una pistola a spruzzo placcata d’oro, lo so — lo interruppe lei. — È la sua storiella preferita per liberarsi dei pazienti.
— Ma non mi ha dato l’impressione di volersi liberare di me.
— No — confermò lei allegramente, estraendo il coltello dal pavimento. — Sembra che voglia tenerti qui.
— Io credo che voglia mandarmi in un ospedale psichiatrico — azzardò Phil, con la segreta speranza di essere contraddetto, ma lei si limitò ad annuire.
— Non ti invidio — aggiunse, infilando il coltello in un fodero nella gonna. — Mio padre è un seguace dei metodi all’antica, tipo terapia per convulsioni e fosse dei serpenti simulate. Bene, se gli assistenti torturatori sono in arrivo, sarà meglio che me ne vada. — Fece tre rapidi passi, poi si voltò a guardarlo freddamente, stringendo le labbra. — Vuoi venire con me? — chiese. — Non che tu mi piaccia, neanche lontanamente. Detesto gli uomini; sto ribollendo di protesta contro i maschi, come direbbe mia nonna. Ma mi piace sempre contraddire mio padre.
Phil aveva la sensazione di dover scegliere fra la padella e la brace, ma non esitò a rispondere di sì.
Lei fece un cenno di assenso con la testa e si diresse verso una parete. — Volete provare con l’ascensore? — provò a chiedere Phil.
— No di certo — rispose lei seccamente.
— Ma lui ha detto che l’unica altra via…
— Sshh! — sibilò lei, e schiacciò un bottone di apertura.
La parete non si mosse di un centimetro. — Dunque è in codice — osservò la ragazza. — Dovevo immaginarlo. — Premette ancora il bottone secondo un rapido ritmo, con il medesimo risultato. — Oh, oh, è nel codice speciale, l’unico che io non dovrei conoscere. — Gettò un’occhiata a Phil. — Devi essere importante — sbuffò. Premette il bottone con un altro ritmo. Questa volta, con una certa sorpresa da parte di Phil, la parete si aprì obbediente. Lui la seguì in una cucina luccicante; c’erano scaffali sotto vetro con bistecche e verdure sterilizzate ai raggi gamma, freezer, forno a raggi infrarossi, coltura di funghi e un piccolo serbatoio di microbi per gli aperitivi. Phil spalancò gli occhi alla vista di tanto lusso, poi gli venne in mente una cosa. — E lo specchio aperto? Se vostro padre salisse di sopra e si accorgesse che me ne sono andato?
— Non questa sera, dopo quello che gli ho fatto. Ora smettila di fare domande. — Era in piedi di fronte a un cilindro verticale che sporgeva per metà da una parete, impegnata ancora una volta a premere bottoni. Una lucina verde salì lungo una colonna di pulsanti, veloce come un razzo. — Vai a prendere un cuscino in libreria, presto!
Quando Phil tornò stringendo al petto un cilindro di gommapiuma alto una trentina di centimetri, sul montacarichi era aperta una porticina che al massimo poteva servire a un nano. — Mettilo sulla piattaforma — gli ordinò — sopra tutte quelle cinghie. Servono per i pacchi. Bene. Ora entra e sieditici sopra. Metti le mani ai due lati del cuscino e afferrati alle cinghie. Stringile bene, perché scende più in fretta che se fosse in caduta libera e non ti conviene restare indietro seduto a mezz’aria. E stai dritto, se non vuoi farti portar via la testa.
— Un momento! — disse Phil, ritirando il piede che aveva già infilato nell’apertura. — Non vorrete…
— Io vengo dopo, perché so come far funzionare il bottone dal di dentro. Sbrigati.
— Ma questo è il montacarichi, vero? — chiese lui.
— Cosa ti aspettavi? Degli schiavetti che ti portassero giù per una scala a chiocciola? Oppure, se ne hai voglia, puoi sempre cercare di convincere mio padre a comprarmi un elicottero.
— Volete dire — disse Phil con voce tremante — che io dovrei andar giù per quel buco su una piattaforma senza protezione?
Lei tirò fuori il coltello dalla gonna. — Voglio dire che lo farai; altrimenti ti chiudo di nuovo nella biblioteca.
Phil fece un salto indietro, e si sedette immediatamente sulla piattaforma, fece scivolare la testa sotto l’apertura, ritirò lentamente le gambe e assunse la posizione del Budda Ansioso. — Non c’è bisogno di spingere — disse dignitosamente.
— Ti manderò al primo piano sotterraneo — disse lei seccamente. — Hai cinque secondi per uscire. Spero che la porta sia aperta. In caso contrario, dovrai tornare su, sperando che sia io a chiamare e non un altro piano. Non preoccuparti — gli disse chiudendo la porta. — Io l’ho fatto una dozzina di volte… O almeno ci ho pensato.
Nel buio la schiena di Phil si irrigidì come acciaio temprato, e le mani che stringevano le cinghie divennero quelle di un gorilla. Ebbe solo il tempo di pensare che se avesse avuto con sé Lucky, infilato sotto la giacca…
La piattaforma schizzò via sotto di lui, trascinandolo con sé. Lo stomaco gli si arrampicò rapidamente sopra il cuore e si sistemò appena sotto il pomo d’Adamo. Un serpente gigante sibilò e Phil si rese drammaticamente conto di trovarsi a soli pochi centimetri da una terribile morte per attrito. Poi, mentre cominciava a pensare di essersi sistemato, sentì distintamente la piattaforma attraverso il cuscino, le caviglie gli affondarono nel sedere, le vertebre si infilarono nei dischi intervertebrali e varie altre cose si rimescolarono dentro di lui.
Si ritrovò a guardare confusamente una stanza vuota e semibuia. Ebbe la netta sensazione che i minuti stavano passando. Si tuffò fuori, appena in tempo prima che la piattaforma partisse con un violento risucchio. Stava ancora prendendo fiato, quando dallo scivolo giunse una folata d’aria e la piattaforma si fermò con uno zing. La signorina Romadka balzò agilmente a terra e si inchinò a un pubblico immaginario.
— Non l’avevate mai fatto prima? — chiese Phil accigliato.
— Certo che l’ho fatto. Ma sapevo che dicendoti il contrario avresti preso la cosa più seriamente. — Gli pizzicò un orecchio. — Vieni, non sei ancora sfuggito alle grinfie di mio padre.