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— Dagli Akeley? — chiese Phil, mentre gli ritornava in mente un ricordo confuso.

— No, questa non è la sera di ricevimento — disse Juno. La sua voce per un attimo divenne amaramente affettata. — Loro ricevono solamente una volta alla settimana. Jack sarà andato da qualche parte con Cookie.

— Ma se è vero, come dici tu, che Brimstine ha offerto diecimila dollari per un gatto verde, perché Jack non glielo ha dato, invece di tenerselo?

Juno roteò gli occhi come un toro infuriato. — Oh, devono essere stati quegli Akeley; l’avranno convinto a fare qualcosa; magari si sono fatti dare anche il gatto. Se lo rigirano come vogliono, quei due.

Phil si sentiva sempre più confuso. — Ma cosa se ne fanno gli Akeley di un gatto verde?

— Che cosa se ne fanno dei matti come quelli di qualunque cosa? Cosa se ne fanno di Jack? — sbuffò, fissando Phil negli occhi. — Ricordati bene di una cosa — disse burbera. — Io amo Jack, quel piccolo sorcio. Ne ho sopportate di tutti i colori da lui, ma non me la sono mai presa eccessivamente. Certo, è stato brutto quando mi sono accorta che gli importava più di Cookie e di quelli come lui che di me, ma non l’ho mai dato da vedere. Dopo tutto, a un uomo non fa piacere sapere che puoi stenderlo come vuoi. Ma quando gli Akeley l’hanno scoperto e hanno cominciato a fargli venire delle strane idee, questo è stato troppo per me. Sono degli intellettuali quelli, capisci, l’hanno montato, gli raccontano un sacco di balle sul suo talento artistico nascosto, gli dicono che lui è Zeus, o che so io, in lotta contro il principio femminile, eccetera. Be’, lui c’è cascato, hai capito? È andato giù in caduta libera. Ha cominciato a comprare dei nastri, perfino dei libri stampati! Poi ha preso a insultarmi, a dirmi un sacco di parole che io non avevo mai sentito. Non la finisce mai di raccontare quant’è grande Mary, con le sue arti magiche e tutte quelle cose lì, e quant’è meraviglioso Sashy con le sue idee sulla comprensione e l’amore e un sacco di altre scemenze. Mi ha detto in faccia che sono una tonta e una stupida in senso semantico. — Ed essendo riuscita a pronunciare l’ultima parola, Juno finì di trangugiare il suo whisky. — Vedi, Phil — continuò — posso combattere contro Cookie e gli altri, perché sono al mio livello, ma non posso combattere contro quei cervelloni. Mi stanno portando via Jackie e io non posso fare niente per impedirlo. Ma adesso l’hanno cacciato in un guaio davvero grosso, ci scommetto, con questa faccenda del gatto verde. Perché Moe Brimstine non si fa mica impressionare dagli intellettuali, o da qualunque altra cosa. — Appoggiò adagio il bicchiere e strinse i pugni. — Se ce l’avessi fra le mani glielo farei vedere io, gli farei tornare il buon senso. Ma prima di parlare con Moe Brimstine non sospettavo neanche lontanamente una cosa del genere, e ormai non posso fare più niente.

Il ricordo confuso di Phil sì schiarì all’improvviso. Disse a Juno di come, mentre correva dal dottor Romadka, avesse visto Jack, Cookie, Sacheverell e Mary sulla vecchia auto elettrica.

Juno diede un gran colpo sul tavolo con entrambi i pugni facendo voltare la gente. — Quel carro funebre! — ruggì. — Dovevo immaginarlo. È una occasione così importante questa che ricevono fuori programma. — Balzò in piedi e afferrò Phil per un polso, mentre cercava il proprio bicchiere prese per sbaglio quello di Phil, ma se ne accorse appena in tempo per non bere l’ultimo goccio di latte di soia, lo rimise giù rabbrividendo e trascinò Phil fuori dal separé. — Vieni — disse. — Andiamo dagli Akeley! Al tempio!

Nell’istante in cui Juno apriva la porta che conduceva alla sottostrada, all’estremità opposta della sala si aprì l’ascensore e apparve una figura massiccia, con. occhiali scuri che formavano due macchie nere.

Fu allora che Phil ebbe una dimostrazione fuori programma della forza di Juno Jones. Venne sollevato da terra e scagliato attraverso la porta a tre metri di distanza, sulla sottostrada piena di traffico pesante.

— Era Moe Brimstine — boccheggiò Phil.

— Lo so — disse Juno trascinandolo verso la scala mobile che portava ai livelli superiori e alle cabine telefoniche. — Non ci ha visti.

Ma Phil non ne era tanto sicuro.

7

Il taxi aveva appena superato le vetrine luccicanti del Monstro Multi-Products, dietro cui una fila di robot manichini, molto realistici, marciavano in un interminabile percorso a forma di otto, mostrando l’ultima moda in fatto di vestiti di pelle sintetica, quando Juno si sporse in avanti e grugnì al tassista di fermare. Era rimasta in silenzio per la maggior parte del viaggio, come se il whisky le si fosse fermato sullo stomaco. Phil saltò a terra in fretta, improvvisamente ansioso di vedere che aspetto avesse la casa degli Akeley. Era come se le sue speranze e le sue paure si fossero rimesse in moto nel momento in cui il taxi si era fermato.

L’accenno di Juno al “tempio” l’aveva quasi indotto ad aspettarsi delle colonne greche o un portale egizio. Invece si trovò di fronte a una macchia scura, delimitata dal marciapiede, dalle vetrine lontane, dai negozi e dai sostegni delle strade superiori. Attraversò esitando il marciapiede, come se si trovasse sull’orlo del nulla. Era davvero molto buio, anche per essere al livello inferiore. La luna al sodio era tramontata.

Poi, mentre i suoi occhi si adattavano all’oscurità, la casa cominciò a prendere forma. Era una vecchia costruzione a due piani, e, cosa incredibile, era di legno, con il tetto fortemente inclinato e delle luci che apparivano debolmente attraverso persiane chiuse e bizzarre lunette polverose. Qualcosa scricchiolò sotto i suoi piedi e Phil si accorse che fra lui e la casa c’era un cortile di vera terra, se non proprio di verde. Quello doveva essere stato il livello del suolo della città, qualche centinaio di anni prima. Ora le finestre del secondo piano guardavano, attraverso un varco, la strada del livello superiore, molto al di sopra della testa di Phil. Il varco, a un certo punto, era attraversato da una trave. La casa era così antica e malsicura da aver bisogno di un sostegno.

Ma c’era qualcosa di ancora più strano. Phil sapeva che la casa si trovava nel cuore della città, attorniata da ogni lato da giganteschi edifici. Avrebbero dovuto esserci file e file di finestre illuminate e, molto in alto, un quadrato di cielo notturno. Invece si scorgeva solo buio, come se la casa preatomica sorgesse in una propria notte privata.

I fari di un’auto che procedeva due livelli più sopra illuminarono la parte superiore dell’edificio e Phil si accorse che tutto attorno alla casa c’erano dei pannelli neri e opachi, che la coprivano come un soffitto, poche decine di centimetri sopra le guglie più alte.

— È per via di una faccenda legale — spiegò Juno. — Jack mi ha raccontato qualcosa una volta. Sembra che i vecchi proprietari non abbiano potuto essere sfrattati, così il comune ha reclamato i diritti aerei e gli ha costruito sopra. Fa venire i brividi, sembra che debba andare a pezzi da un momento all’altro. Il posto adatto per gli Akeley. — Poi aggiunse, a voce più alta: — Bene, ho detto che sarei entrata, ed eccomi qui. Andiamo.

Phil la seguì attraverso il cortile fino ai gradini malsicuri che portavano a un porticato. La sua mano incontrò una vecchia ringhiera scrostata. A metà della scala un gatto gli saettò fra i piedi. Per un attimo il cuore gli balzò in gola, poi, mentre la bestiola si fermava in cima ai gradini, vide il pelo chiazzato. Non poteva certo essere Lucky. Il gatto corse a nascondersi dietro un angolo del porticato. Seguendolo, Phil e Juno si trovarono di fronte a una porta a sei pannelli illuminata da un globo sporco che doveva essere una vecchia lampadina a filamento incandescente. Il gatto sembrava sparito non si sa dove, finché Phil non individuò una piccola porta oscillante ritagliata in fondo a quella grande.

Ignorando il batacchio a forma di testa di gatto, incrostato di verderame, Juno batté un tal pugno sulla porta che Phil sì rannicchiò, lanciando occhiate preoccupate al tetto. Ma la casa non crollò.