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In quel momento Sacheverell rientrò all’improvviso nella stanza, con un fruscio di seta. — Smettetela subito! — ordinò alzando le braccia. — Disturberete il Suo risveglio. Sollevatevi al di sopra dell’odio. Non vi rendete conto che le vostre aure sono così scure che riesco a distinguervi soltanto come macchie d’inchiostro? Neppure Lui riuscirebbe a raggiungervi.

— Smettila tu con queste sciocchezze su di “Lui” — disse Cookie con disprezzo. — Non voglio più sentire quella parola; sono stufo di far finta di credere a tutte quelle stupidaggini sui vostri culti. Avete già fatto abbastanza danni a Jackie. Lo sai che avremmo potuto guadagnare diecimila dollari con quel gatto che stai usando per le tue buffonate? Jackie l’aveva appena paralizzato ed era pronto a consegnarlo a Moe Brimstine per diecimila dollari, quando sei capitato tu con tutte le tue arie da grande mago e quella orribile strega di tua moglie. Hai fatto credere a Jackie che sarebbe diventato il fondatore di una nuova religione o qualcosa del genere e l’hai convinto a forza di chiacchiere a darti il gatto. Ti odio. Ti farei a pezzi — e cominciò a camminare verso di lui sulla punta dei piedi, gonfiando il torace come un galletto da combattimento.

Ancora una volta Phil ebbe una sorpresa, perché lo sguardo scandalizzato di Sacheverell si rivolse non a Cookie ma a Jack.

— Jack — boccheggiò — vorresti dirmi che Gli hai sparato con un paralizzatore e che hai perfino pensato di poterLo vendere per denaro? Giuda!

— Guarda cos’hai combinato — si lamentò Jack, rivolto non a Cookie ma a Juno. — Hai rovinato tutto.

— Ti rovino io a te, razza di intellettualoide da strapazzo — ruggì lei, e gli si gettò addosso con l’irruenza di una principiante. Sul viso di Jack si dipinse una smorfia astuta, mentre si scansava con agilità, allungando contemporaneamente una mano. Ma proprio in quell’istante l’addestramento professionale di Juno prese il sopravvento. Rallentò, afferrò abilmente il polso di Jack, si piegò con una rotazione e fece volare Jack al di sopra della schiena, mandandolo a finire contro il tavolo con la stella a cinque punte, che si rovesciò con un gran fracasso mentre vari oggetti religiosi cadevano dal muro.

Nel frattempo Mary Akeley aveva afferrato una piccola morsa che si trovava accanto a lei e l’aveva scagliata con grande precisione verso la testa di Cookie, proprio nell’istante in cui questi si gettava d’improvviso alla gola di Sacheverell. La morsa volò per la stanza e mancò di poco la testa di Cookie.

In mezzo a tutta quella baraonda, Phil, con strana calma e freddezza, si avvicinò agli scaffali con le bambole, scelse con cura quella di Mitzie e se la mise nella tasca della giacca.

Quando si voltò vide che Jack aveva raccolto, fra gli oggetti caduti, un coltello sacrificale azteco di vetro nero e si dondolava sulle ginocchia come un cobra. Juno aveva in mano un Buddha di bronzo, piccolo ma massiccio.

Vicino alla tenda di velluto Cookie stava cercando di strozzare Sacheverell steso a terra che gli menava grandi colpi sulla testa con il calice d’argento che serviva da abbeveratoio per i gatti.

Mary, afferrati alcuni spilloni, si era lanciata in avanti. Esitò prima di decidere chi attaccare, poi si lanciò verso Cookie, non tanto, pensò Phil, per aiutare il marito, quanto perché i suoi insulti le bruciavano ancora.

Mai prima di allora, neppure nelle trincee, Phil Gish aveva visto così forte il desiderio di uccidere su un viso umano.

Ora lo vedeva su cinque.

Poi, all’improvviso, ogni rancore sembrò sparire nel nulla.

La stanza divenne silenziosa. Il coltello di vetro nero e il calice caddero dalle mani di Jack e di Sacheverell. Gli spilloni di Mary colpirono il suolo con un lieve, vibrante tintinnio. Il Buddha di Juno piombò sul tappeto di preghiera con un tonfo. Le mani di Cookie si allentarono e si ritirarono come vergognose, prima ancora di ricevere un messaggio dal cervello.

Anche le espressioni si rilassarono. Le rughe scavate dall’odio si ammorbidirono e svanirono. Le labbra che avevano lasciato scoperti i denti si ricomposero. Gli occhi si riempirono di una dolorosa comprensione.

Jack fu il primo a parlare con voce bassa e stupita: — Juno, tu mi ami davvero. Non vuoi soltanto possedermi ed umiliarmi come uomo.

Juno disse: — Ti importa davvero di quello che penso, vero, Jack?

Cookie disse: — Non l’avevo capito, Sacheverelclass="underline" c’è del vero in quello che dici. Non è tutta una montatura.

Mary disse: — E tu vuoi davvero che Jack sia felice, Cookie. Non è solo vanità e invidia.

Sacheverell disse: — Mio Dio, sta succedendo. E io che credevo di aver preparato soltanto una messa in scena, o poco più.

In quanto a Phil, gli sembrava di essere ritornato in quel mare d’oro in cui aveva nuotato nel pomeriggio. Gli sembrava che il suo cuore fosse unito da fili sensibili con quelli delle cinque persone che gli stavano intorno. Gli pareva addirittura che dei fili sottili e delicati lo unissero alle bamboline e gli permettessero di capire Romadka, Barnes, Vanadin, forse perfino se stesso.

Poi, insieme a tutti gli altri, si voltò verso la tenda di velluto. A una decina di centimetri dal pavimento aveva fatto capolino la testolina verde di Lucky. Sembrava un grande gioiello verde, sospeso, che li illuminava a turno con i suoi raggi. Poi Lucky avanzò nella stanza. Subito, da sotto i tavoli e le sedie, dal caminetto e da dietro i libri, apparvero tutti gli altri gatti e si raccolsero in cerchio attorno a Lucky.

— È cominciato — mormorò felice Sacheverell. — Il mondo sta cambiando.

— San Francesco d’Assisi — disse Mary debolmente — reincarnato in un gatto.

Lucky camminava lentamente, gli altri gatti gli fecero ala e lo seguirono, mantenendo sempre una rispettosa distanza. Passò davanti a Mary e a Cookie, superò anche Sacherevell, che sembrò un tantino deluso, e balzò leggermente fra le braccia di Phil.

Phil non aveva mai tenuto fra le mani qualcosa che pesasse così poco, né aveva mai toccato un pelo così elettrizzante. Gli sembrò che il suo petto fosse troppo piccolo per contenere il cuore.

Sacheverell disse a voce bassa ma squillante: — Voi siete il prescelto. — Phil lo guardò, poi, in un impeto irragionevole e quasi mistico di angoscia, volse gli occhi alla finestra alle sue spalle.

Il vetro stava vibrando, onde grigie, circolari, che si allargavano da un punto centrale.

Nello stesso istante sentì la mano sinistra, quella che stringeva Lucky, diventare insensibile. Lucky balzò in aria convulsamente e cadde a un paio di metri da lui, restando immobile.

Il vetro della finestra si spezzò di colpo e cadde tintinnando a terra, lasciando soltanto alcuni frammenti attaccati allo stipite.

Il corteo di gatti si disperse e i suoi membri corsero nell’ingresso e su per le scale.

Moe Brimstine scavalcò il davanzale con un’agilità insospettata per un uomo della sua mole. Si fermò a un passo dalla finestra stringendo un paralizzatore nella mano gigantesca. A Phil sembrò che avesse la mascella macchiata dell’oscurità alle sue spalle, mentre le ellissi nere degli occhiali sembravano due frammenti della stessa oscurità.

— Fuori ci sono un paio di ragazzi con gli ortho — disse, mettendosi di fianco alla finestra. — So che non volete farvi tagliare a fette.

A quanto pareva nessuno lo voleva, anche se Phil non aveva la più pallida idea di cosa potesse essere un ortho.

— Ascoltatemi attentamente, tutti quanti — disse Moe. — Se vi dimenticherete tutto questo, se penserete e vi comporterete come se non fosse mai successo nulla, a cominciare dal fatto di aver trovato il gatto questo pomeriggio, allora io mi dimenticherò di voi. Questo vale per te, Jack, anche se sei più stupido di quanto avessi mai creduto e ti sei lasciato scappare un buon affare da diecimila; e anche per te, Juno, e per Cookie. Ma se non ve ne dimenticate, se dovessi avere il più piccolo indizio che non ve ne siete dimenticati… Be’, non parliamone. — Scrutò attentamente la loro faccia. — Allora siamo d’accordo — disse, e cambiando di mano la pistola paralizzante venne avanti e raccolse Lucky.