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Com’è bello volare a zero-G!

Balla con me nell’aria, a zero-G.

Il soffitto non c’è più, il pavimento non c’è più:

stringimi, amami, tesoro, a testa in giù!

Quando uscì dal bagno si sentiva come un imperatore. Era deciso a ispezionare quel mondo che era suo, quel mondo che era di chiunque avesse il coraggio di chiederlo. Mentre si infilava maglia, calzoni, scarpe e giacca, spiegò al gatto, ormai sazio, i suoi nuovi sentimenti.

— Vedi, amico, la situazione è questa: sono sempre stato per tre quarti morto. Ma ora è finita. Sono stufo di sentirmi spaventato, messo da parte, annoiato. Basta con questi stupidi lavori di riempire schede, controllare quadranti o tagliare nastri, con la paura che inventino da un momento all’altro un nuovo robot. Adesso esco e mi guardo un po’ attorno, parlo con la gente, cerco di rendermi conto di come vanno le cose. Avrò delle avventure, mi sentirò finalmente vivo! Non c’è male come programma, vero? E sai chi è il responsabile di tutto questo, amico? Tu.

Lucky sembrò diventare quasi fluorescente per la soddisfazione e arruffò la sua verde pelliccia.

Phil si chiese che ore fossero. Il suo orologio da polso si era fermato il giorno prima, quella baracca, dopo solo cinque mesi che aveva cambiato le batterie. Sporse la testa dalla finestra e i suoi occhi corsero verso l’alto, lungo la facciata vertiginosa del palazzo, fin dove gli oblò non erano che piccoli puntini e appariva una stretta striscia di cielo blu. Soltanto l’ultima finestra sul lato est era illuminata di giallo dalla vera luce solare, mentre il falso sole, lo specchio di sodio che orbitava attorno alla Terra per rischiarare di notte la città, gettava la sua luce dieci piani più in basso.

Prese Lucky in braccio, senza neppure considerare la possibilità di lasciarlo a casa, e senza preoccuparsi dell’attenzione che poteva attrarre. Ma il gatto verde saltò immediatamente a terra e si diresse verso la porta d’ingresso, guardandolo come per dire: “Sono disposto a seguirti in ogni avventura, ma non ho bisogno di una balia”.

Fianco a fianco raggiunsero le scale e scesero al ventottesimo piano (l’ascensore, sovraccarico di lavoro, si fermava solo ai piani pari). E qui Phil si imbatté proprio nella signorina Phoebe Filmer, con la sua vestaglia frusciante, che a quanto pareva si stava dirigendo verso lo snack bar situato su quel piano.

— Salve, signorina Filmer — si sorprese a dire. — È da molto tempo che vi ammiro.

— Davvero? — disse lei guardandolo di sottecchi. — Come fate a sapere come mi chiamo?

— Ho chiesto al robot portiere chi fosse la deliziosa ragazza del 28-303a.

Lei fece una risatina maliziosa.

— Non si può parlare coi robot portieri; potete solo schiacciare bottoni. E non danno i nomi degli inquilini, a meno che non abbiate un’autorizzazione governativa — commentò con una punta di disprezzo.

— Io ci so fare coi robot — spiegò Phil. — Me li faccio amici con qualche chiacchiera.

— Bravo — osservò la signorina Filmer, voltando la testa e passandosi le dita fra i capelli biondo-verde.

— A proposito, vi piace il mio gatto verde? — chiese Phil.

— Un gatto verde! — esclamò eccitata la signorina Filmer. Guardò in basso e rialzò immediatamente lo sguardo con aria scettica. — E dov’è?

Anche Phil guardò in basso. Lucky era sparito. Gli sembrò di avere improvvisamente un blocco di ghiaccio nello stomaco. — Scusatemi — disse. — Spero di vedervi ancora.

Partì di corsa verso la rientranza dove si trovava l’ascensore. Lucky era davanti alla porta.

— Accidenti, amico — gli disse Phil — mi hai fatto prendere un colpo.

2

La strada ringhiò verso Phil. Per l’esattezza il ringhio proveniva da una macchina elettrica lanciata a tutta velocità che accostandosi al marciapiede aveva strappato via un pezzo triangolare di posteriore a un uomo grasso che non era stato abbastanza veloce da mettersi in salvo. Guardando meglio, Phil si accorse che non era un uomo grasso, ma un uomo magro che indossava un abito a pallone. Mentre si sgonfiava, l’uomo sedette sul marciapiede e cominciò a singhiozzare. Gli abiti a pallone non offrivano alcuna protezione reale ai pedoni, tranne forse per il fatto che ingrandivano l’apparente obiettivo; ma andavano molto di moda. Durante l’ultima guerra venivano riempiti di idrogeno come scudo contro i neutroni. Poi alcune piccole ma spiacevoli esplosioni in affollati rifugi avevano indotto il governo a prendere dei provvedimenti restrittivi.

Dopo avere ringhiato, la strada continuò a brontolare sordamente dai suoi due livelli inferiori. Il brontolio era composto dal ronzio delle vetture elettriche, dal rombare del traffico pesante sotterraneo, dal cicaleccio della pubblicità sonora, dallo strisciare affrettato dei piedi, lo stesso di quando Roma e Babilonia erano giovani, ma reso più intenso dal fatto che i piedi di molte donne erano sollevati su zoccoli ortopedici alti da sei a trenta centimetri.

Nessuna di questa miriade di rumori disturbava Phil che in un’altra occasione si sarebbe già infilato i tappi nelle orecchie, e avrebbe camminato rigido e guardingo, attento alle auto pirata, che talvolta saltavano anche sui marciapiedi. Ma quel giorno voleva assorbire tutto ciò che gli stava intorno, vedere le cose a cui era stato sempre cieco, osservare le espressioni apatiche ma ansiose sui visi dei passanti, sentire le invisibili linee di forza che simili a ragnatele e a fili di burattini, li legavano agli onnipresenti annunci pubblicitari: dal perentorio: Imparate a spaccare l’osso del collo! all’allettante Una bambola spogliarellista tutta per voi!, dal conciso Perché non lobotomizzarvi? allo stimolante Rendete attraente la vostra figura con un Abito da Sera Spray! La plastistoffa si applica in un batter d’occhio. Non scalda, non si appiccica! Speciali rigonfiamenti rendono attraente il seno! Disegnato da artisti proprio sul vostro corpo!

Lucky non sembrava più spaventato di Phil dalla strada. Trotterellava vicino alla base della monumentale facciata della Skyway Tower, il cui color verde poteva forse spiegare perché nessuno dei passanti si accorgesse del gatto. Anche se in verità non erano necessarie molte spiegazioni per capire perché quei sacchi ambulanti di nervi non vedessero al di là del proprio naso.

Uno scintillante robot venditore si diresse verso di lui sulle sue silenziose ruote, ma Phil abilmente interpose fra sé e la macchina un altro passante con l’abito a pallone. L’uomo fu così costretto a sorbirsi un lungo discorso sulle virtù di certe pillole dimagranti: evidentemente il robot l’aveva catalogato dalle sue dimensioni. Phil si affrettò dietro a Lucky che aveva girato nell’abbagliante Opperly Avenue.

Come se seguisse qualche odore particolare, il gatto abbandonò d’improvviso il muro, attraversò il marciapiede e si lanciò nella Opperly Avenue fra le macchine che sfrecciavano. Phil lo seguì con un certo batticuore, ma senza essere realmente in ansia. Qualcosa gli permetteva di avvertire facilmente le intenzioni di tutte le auto, evitarle perciò era un gioco da ragazzi.

Raggiunse il marciapiede opposto con un metro e mezzo abbondante di vantaggio nei confronti di un giovane giocherellone su una carcassa che assomigliava a una jeep spaziale ed era ricoperta di scritte del tipo: EHILÀ, VENUSIANO! e ATTENZIONE, RAGAZZE! VELOCITÀ DI FUGA ZERO. Ripreso fiato, Phil si trovò a guardare la bocca di una caverna adorna di cartelloni illuminati da antiquate luci al neon. Il più grande portava scritto: QUESTA SERA! Juno Jones l’Amazzone stritolamaschi contro Zubek il Nano il Misogino spaccaossa!

Non ebbe il tempo di leggere il resto del cartellone, perché Lucky si era lanciato lungo l’ampio corridoio fiancheggiato da stereografie giganti che rappresentavano uomini e donne mezzi nudi, minacciosi, che nella semioscurità sembravano tanti geni della lampada, appena materializzati da una nube di fumo.