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Il viso di lei si illuminò. — Allora saltato qui.

Phil annuì. — Inoltre — proseguì rapidamente — credo di aver incontrato vostro fratello oggi, un giornalista di nome Dion da Silva, inviato del giornale La Prensa.

Lei annuì felice. — È vero — disse. — Io sono Dytie da Silva.

— Phil Gish. Dytie, avete detto?

— Esatto. Abbreviazione di Afrodite, dea di amore. Piace? Per favore, dove sono mio fratello e gatto, ora?

— Non ne ho la più pallida idea — disse Phil tristemente.

Lei alzò le spalle come se si aspettasse quella risposta. — Niente strano. Noi un po’ matti. Ci perdiamo sempre.

— Così voi verreste dall’Argentina? — chiese Phil in tono poco convinto. L’accento della ragazza non gli pareva spagnolo, ma d’altra parte la sua conoscenza in fatto di accenti era piuttosto scarsa.

— Certo — rispose lei tranquillamente, come se stesse pensando a qualcos’altro. — Un paese lontano lontano.

— Ditemi, signorina da Silva, il vostro gatto è dotato di poteri particolari?

Lei aggrottò le sopracciglia. — Poteri particolari? — ripeté lentamente, sillaba per sillaba. — Non capire.

— Voglio dire — spiegò Phil pazientemente — può rendere la gente intorno a lui felice?

La sua fronte si distese. — Certo. Micetti carini rendono la gente felice. Piacciono a voi animali, Phil?

Ancora una volta non poté fare a meno di guardarle le gambe. Ma, tutto sommato, cominciava a sentirsi più sicuro.

— Signorina da Silva — disse — avrei molte altre domande da farvi, ma sfortunatamente non conosco lo spagnolo e non credo che voi comprendiate l’inglese così bene da poter rispondere alle mie domande. Ma forse, se vi dicessi semplicemente quello che mi è successo, potreste aiutarmi. Almeno lo spero. Sedetevi, signorina; è una storia molto lunga.

— Buona idea — disse lei, sprofondandosi nel letto. — Ma ti prego, Phil, chiama me Dytie.

Ha un’abilità particolare nel farmi sentire a mio agio, pensò Phil mentre si sedeva nella poltrona di fronte al letto. — Ecco, Dytie, tutto è cominciato quando… — Andò avanti per un’ora, raccontandole dettagliatamente tutto quello che gli era capitato da quando si era svegliato e aveva visto Lucky seduto sul davanzale della finestra. Non le disse però di averla osservata alla finestra la sera prima, il che rese necessario abbreviare anche il resoconto della sua seduta con Romadka. Dytie lo interruppe spesso per chiedergli chiarimenti, alcuni su cose assolutamente ovvie, come per esempio cos’era uno spillone, e cosa il Federal Bureau of Loyalty, e cosa cercavano di farsi i lottatori maschi e femmine quand’erano sul ring. Sorvolava invece su cose che lui si aspettava la stupissero, benché non fosse sicuro se lo faceva perché realmente capiva, o perché non voleva capire. Gli ortho non la interessarono per niente, moltissimo invece i paralizzatori. Le imprese di Lucky non parvero soprenderla gran che. I suoi commenti erano di solito di questo tenore: — Quel gatto. Quant’è stupido. Anche fortunato. Hai scelto bene nome, Phil.

Quando le disse della Fondazione Humberford e di suo fratello, lei rotolò sulla pancia e cominciò ad ascoltare con grande attenzione. Ma quando raccontò esitando dell’improvvisa infatuazione di Dion per Dora Pannes, lei ridacchiò con aria rassegnata. — Sempre lo stesso. Dà caccia a ogni cosa con due gambe e ghiandole mammarie. Tranne quando incinto, naturalmente.

— Cosa?

— Cosa ho detto? Devo aver sbagliato parola — si scusò rapidamente Dytie.

Invece si interessò moltissimo di Morton Opperly, e insistette perché Phil le dicesse tutto sul famoso scienziato.

— Lui uomo intelligente — osservò con convinzione. — Molto piacere incontrarlo.

— Cercherò di fartelo conoscere — disse Phil, e raccontò di come il gatto verde era stato catturato da Dora Pannes.

Dytie scosse la testa con gravità. — Certa gente ha cuore molto duro — disse. — Loro non piacere i mici.

Phil finì rapidamente la storia col falso gatto verde che l’aveva graffiato nel vicolo.

Dytie si alzò e gli toccò affettuosamente le mani. — Povero Phil — disse, e aggiunse: — Allora sappiamo chi ha gatto, ma non dove.

— Esatto — disse Phil. — E non sarà facile scoprirlo, perché Billig si sta nascondendo dall’FBL. — Si alzò in fretta, cercando di non fare capire che desiderava mettere una qualche distanza fra loro due. Le dita di Dytie erano morbide e gentili, ma c’era qualcosa nel suo tocco e nella sua vicinanza che lo faceva rabbrividire. Probabilmente era il suo odore, che senza essere penetrante e neppure sgradevole, era però del tutto sconosciuto. Lei lo guardò con aria intenta, ma non cercò di seguirlo. Lui si spostò dall’altra parte della stanza.

— Bene, Dytie, questa è la mia storia — disse un po’ affannosamente. — E ora vorrei farti qualche domanda. Cos’ha di speciale il tuo gatto, tanto che la Divertimenti SpA spera di poterlo usare per corrompere il governo? È un mutante con poteri telepatici, in grado di controllare le emozioni? È una regressione, o è stato allevato artificialmente? O è forse un trionfo inaspettato dei genetisti sovietici, basato su principi che i nostri scienziati non accettano? Accidenti, non sarà davvero un dio egizio, come crede Sacheverell? Tocca a te rispondere, Dytie.

Ma lei si limitò a sorridere. — Scusami, Phil. Ma questa tua storia molto lunga. Torno subito.

Phil si aspettava che lei uscisse dalla finestra, e si stava chiedendo cosa avrebbe dovuto fare. Invece la ragazza andò in bagno e chiuse la porta. Phil si mise a passeggiare su e giù per la stanza, cercando di scaricare la tensione, armeggiando qua e là. Accese la televisione, e la guardò senza capire una parola di quello che l’annunciatore sportivo raccontava sulle imprese, le follie e le frivolezze delle stelle della lotta libera. A un certo punto, durante uno dei suoi giri per la stanza, urtò violentemente l’apparecchio. Dovette rompersi qualcosa perché l’audio si ridusse a un mormorio incomprensibile, e Phil si ritrovò ancora una volta solo con le sue preoccupazioni. Tanto solo, che quando udì un lieve rumore alle sue spalle sobbalzò.

La porta d’ingresso si era aperta. Mitzie Romadka era in piedi nel corridoio. Sembrava molto giovane e molto stanca, in maglione e calzoni blu scoloriti. Una ciocca dei suoi lunghi capelli neri le ricadeva sulla guancia. Fissò su Phil uno sguardo infelice, di sfida.

— Ieri notte ti ho detto: «Addio per sempre», ed è così — cominciò bruscamente. — Perciò non metterti delle idee strane in testa. Sono venuta solo per avvertirti di una cosa. — La voce le si spezzò. — Oh, accidenti, è tutto così confuso. — Si morse le labbra, facendosi forza. — Non è solo perché Carstairs, Llewellyn e Buck mi odiano, o perché tu hai cercato di umiliarmi, di rammollirmi. Quando sono tornata a casa, attraverso lo scivolo di servizio, stamattina presto, ho sentito mio padre che parlava con altri due uomini. Ho scoperto che è un agente sovietico, e che il suo incarico è ora quello di catturare il gatto verde, non importa quanti uomini debba uccidere. E lui pensa che sia tu ad averlo.

Phil la guardò, e fu come se tutte quelle ore non fossero trascorse, come se si trovasse ancora in quella piccola piazza, all’alba, mentre Mitzie stava per lasciarlo, e tutta la tensione che aveva accumulato si incanalò in una nuova, più certa direzione.

— Cara — disse dolcemente e con cautela, come se un rumore improvviso potesse farla svanire — cara Mitzie, io non volevo umiliarti.

— Oh? — disse lei, accomodandosi la ciocca di capelli.

Le si avvicinò piano piano. — Ero solo preoccupato e geloso, di te e dei tuoi amici.

— Stai attento a quello che dici, Phil — mormorò lei minacciosamente. — Cerca di essere onesto.