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— Va bene. Ho cercato di umiliarti. Con tutte le mie forze. Ero pieno di quella vanità e di quella presunzione che vengono dall’aver capito troppo. Non sapevo che la tua sfida e la tua gloria hanno un posto nel mondo. Mitzie, ti amo.

L’abbracciò e lei non svanì. La sensazione del suo corpo era completamente diversa da quella che aveva immaginato. Era un corpo esile e terribilmente stanco.

Poi sollevò il mento dalla sua spalla, e Phil venne violentemente respinto a un paio di metri di distanza.

Mitzie stava guardando dietro di lui. Notò con sollievo che non aveva né pistola, né pugnale, né artigli, né cose del genere.

Si voltò. Dytie da Silva, appoggiata allo stipite del bagno, li stava guardando con espressione interrogativa. — Ciao — li salutò allegramente, poi rivolta a Phiclass="underline"  — È tua ragazza?

Mitzie impallidì. — Quante cerchi di fartene insieme? — disse sprezzante, rivolta a Phil.

— Non preoccupare te — disse Dytie tranquillamente. — Lui molto timido all’inizio.

— Oh! — esclamò Mitzie, battendo sul pavimento con tutti e due i piedi contemporaneamente.

In quel momento l’audio della tv riprese a funzionare. — … si sapeva da tempo che lei e suo marito non dividevano più lo stesso letto. Ma per un’ironia della sorte i suoi fans hanno dovuto attendere quello che presumibilmente, dopo la proibizione dei combattimenti, è stato il suo ultimo incontro prima di poter vedere il suo nuovo amore.

Al centro dello schermo c’era Phil, con un’aria spaesata e un sorriso ebete sul volto. Juno gli teneva un braccio attorno alle spalle, e stava gridando: — … anch’io ho diritto alla mia vita amorosa! E non permettetevi di offenderla!

— Oh! — urlò Mitzie, e col palmo della mano diede un sonoro ceffone sulla guancia sinistra di Phil, poi corse fuori della porta sbattendosela alle spalle. Phil restò per qualche secondo di pietra. Poi spense la TV e si asciugò le lacrime dall’occhio sinistro.

— Perché non insegui? — chiese Dytie premurosamente. — Non preoccupare, Phil, lei ritorna. Lei ama te davvero, ancora più. È orgogliosa che tu sei tanto virile, che hai molte ragazze.

— Per favore — grugnì Phil alzando una mano. — Quello era un addio per sempre.

— Non è mai per sempre. Lei ritorna.

E proprio in quell’istante si udì un timido bussare alla porta. Phil aprì, chiedendosi se doveva schiaffeggiarla subito o aspettare. Il dottor Anton Romadka gli puntò in faccia una pistola paralizzante ed entrò.

Il piccolo psicoanalista aveva un’aria elegantemente professionale nel suo abito fuori moda, camicia bianca e cravatta, prediletto da molti medici. Portava persino un gilè, abbottonato sul suo stomaco paffuto. La guancia sinistra era liscia come la sua testa calva: evidentemente aveva coperto i graffi con della finta pelle. Aveva un’espressione di paterna benevolenza, ma tenne sempre la pistola puntata su Phil, lanciando di tanto in tanto delle occhiate a Dytie.

— Phil — disse — non intendo negare le affermazioni che mia figlia ha appena fatto sul mio conto, perché se solo ci pensi un istante, questo ci renderà alleati e compagni. Chi meglio di te può sapere, caro Phil, quanto mostruosamente psicotica sia diventata la civiltà americana? Tu stesso hai sperimentato sulla tua persona ciò che essa può fare al cervello, al corpo e agli organi del senso. E chi meglio di te potrebbe apprezzare l’equilibrio di una Repubblica dei Lavoratori, in cui ogni psicosi, grazie alla ferma guida della scienza marxista, è impossibile, perché ogni irrazionalismo, ogni illusione (comprese le folli invenzioni del capitalismo decadente e della sua pseudo scienza) è inconcepibile.

Phil si accorse di avere gli occhi sbarrati e di annuire. Si riscosse. La voce benevola di Romadka era singolarmente ipnotica.

— Naturalmente avrei dovuto capire tutto questo ieri sera, Phil, e fare appello alla tua ragione — continuò Romadka, senza mai spostare di un millimetro il paralizzatore dal collo di Phil. — Ma avevo fretta e non riuscivo a controllare le mie emozioni. Nemmeno i nostri agenti riescono ad essere del tutto immuni dalle perversioni americane, quando sono costretti a vivere in questo paese. Ho fatto molti errori, e in particolare quello di non prendere subito in considerazione la mia sfortunata figliola; anche se sono contento che sia venuta ad avvertirti, perché in questo modo ho potuto rintracciarti. Cosa che a sua volta permetterà a te, Phil, e alla tua deliziosa compagna, di godere della sana sicurezza offerta dai Sovietici.

Il piccolo psichiatra sorrise e si appoggiò cautamente al bracciolo della poltrona. La sua voce assunse un tono confidenziale. — E adesso, figlioli miei — continuò con un cenno del capo, rivolto questa volta anche a Dytie — vi dirò come potete rendere un grande servizio a questa nazione immune dalla pazzia, e guadagnarvi la sua eterna benevolenza quando raggiungerete le sue realistiche spiagge. Il capitalismo psicotico, di fronte alla prospettiva di una completa sconfitta nella prossima guerra, ha deciso di usare contro la Repubblica dei Lavoratori un’ultima sporca arma: la sua follia collettiva e le sue allucinazioni catalizzate e scatenate in un bombardamento elettronico e chimico sul tessuto nervoso collettivo sovietico. Finora questo veleno capitalistico contro l’Unione Pan-Sovietica ha assunto la forma di un’illusione riguardante gatti verdi. Non fraintendetemi: questi gatti verdi sono reali. Anzi, io sono fermamente convinto che si tratti di comuni gatti nei quali sono stati inseriti chirurgicamente dei piccoli trasmettitori elettronici e che sono in grado di spruzzare intorno degli ormoni, come le puzzole. Anche se i gatti verdi non sono probabilmente l’elemento più importante in questo assalto contro la psiche sovietica, essi ne sono la testa di ponte. Sfortunatamente non siamo ancora riusciti a mettere le mani su una di queste creature, in modo da poter confermare le nostre deduzioni e da prendere le opportune contromisure. È assolutamente indispensabile che lo facciamo.

— Ma c’è un solo gatto verde — obiettò Phil — e si crede che stia attaccando l’America. Non è vero, naturalmente.

— Certo che non è vero, figlio mio — continuò con voce grave. — Io ti sto esponendo dei fatti basati sul marxismo. Quelle storie che hai sentito sono soltanto delle invenzioni messe in giro dal governo capitalista per nascondere ai propri schiavi e ai propri pseudoscienziati l’enormità dei suoi crimini. La verità è che un gatto verde è scappato dai loro laboratori. Già una volta mi hai portato a quel gatto, Phil. Puoi farlo ancora.

— No, non posso — disse Phil con calma.

— Tu puoi, Phil — ripeté Romadka.

— Ma l’avevate già preso una volta — obiettò Phil — e ve lo siete lasciato sfuggire.

Per la prima volta un’ombra di impazienza oscurò la benevolenza del dottore. — Ho già detto che ho commesso degli errori ieri notte. Qualcuno è riuscito a puntarmi contro un ipno-raggio, probabilmente anche uno spray drogato. Per un certo tempo non sono stato responsabile delle mie azioni. Sono riuscito solo a sfuggire all’incursione dell’FBL. Ma non succederà un’altra volta. — Il suo tono divenne spiccio. — Avanti, Phil, vieni con me, e porta anche la tua amica. Non c’è più tempo per le discussioni.

— Ma… — cominciò Phil.

Dytie da Silva si piazzò di fronte a Romadka. — Io non venire — disse. — Perché dovere? Tu sembri matto. Nazione immune dalla pazzia? Irrazionalismo impossibile? Scienza assoluta? Tutte scemenze!

Di fronte a quello sfogo l’analista si limitò a sollevare le sopracciglia. — Stavo giusto per parlare di voi, signorina. Cosa fate qui, tanto pef cominciare?

— Sono venuta dalla finestra di fronte — disse Dytie, indicando col dito.

Romadka la studiò pensosamente, come se stesse controllando qualcosa nei suoi ricordi. Improvvisamente sorrise. — La descrizione corrisponde — disse. — Voi siete la giovane donna che il signor Gish ha osservato ieri sera mentre si spogliava, e che è stata la fonte di un’interessante allucinazione.