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Dytie fece scorrere lo sguardo lungo il suo corpo che fluttuava impotente, fino al viso. — Certo, Phil. Gravità va intorno a questa piccola barca come luce. La gravità non attira lei. La luce non la fa vedere.

— È per questo che era invisibile?

— Invisibile? Nessuno la vede. Aspetta, Phil, devo fare cosa.

— Ma con una nave come questa si può viaggiare… — cominciò Phil, la mente piena di ardite speculazioni.

— Questa non nave, Phil, solo scialuppa. Basta parlare ora.

La caduta di Phil acquistò una direzione. Si accorse di fluttuare lentamente verso Dytie. — Qui vicino me, Phil — lo istruì lei. Pochi istanti dopo si trovò comodamente disteso sullo stomaco vicino a Dytie, con la testa sopra lo schermo.

Poi la velocità della sua apparente caduta aumentò, anche se la sfera non stava più cadendo, insieme a lui, finché il suo corpo venne gentilmente schiacciato contro l’imbottitura. Ne dedusse che stavano accelerando, e ne ricevette una conferma dallo schermo.

Dapprima non riuscì a interpretare le immagini. Era tutto colorato di viola, si vedevano dei quadrati e dei rettangoli con dei nastri scuri in mezzo. Sul quadrato centrale c’erano dei punti che si muovevano lentamente mentre lui li osservava. Si vedevano poi tre o quattro croci con dei cerchi in mezzo. A poco a poco i quadrati e i rettangoli rimpicciolirono, mentre dai bordi dello schermo ne comparivano di nuovi. Si rese conto di guardare la città dall’alto, e che i punti ora appena distinguibili, erano gli uomini che li inseguivano, le croci gli elicotteri.

Si sentì gelare il sangue al pensiero di trovarsi sospeso a una simile altezza sopra la città, e di salire sempre di più. Poi cominciò a lasciarsi trasportare dalla meraviglia delle immagini. Phil aveva volato pochissimo, e le rare volte che l’aveva fatto non aveva visto granché: ora lo spettacolo della città che rimpiccioliva sotto di lui lo affascinava. Cominciò a sentirsi simile a un dio, che amministrava la giustizia per l’umanità dall’alto della sua nave. Già si immaginava di calare come un vendicatore sui dittatori della Terra.

— Fra poco noi alti abbastanza, Phil — disse Dytie. — Prendi maniglie e metti piedi sotto la sbarra.

Fece come lei gli aveva detto. Un secondo dopo ne comprese la ragione, perché si sentì spingere lontano dallo schermo, e dovette aggrapparsi forte. Ne dedusse che stavano decelerando. Dopo un po’ si ritrovò di nuovo in caduta libera. Nel frattempo l’immagine sullo schermo si era trasformata in quella dell’intera città: una scacchiera di piccoli riquadri molto simile a una mappa.

Dytie prese una vera mappa e la distese a fianco dello schermo.

— Hai detto tu sai dove poter scoprire dove è micio. Hai detto in città. Mostra Dytie.

Phil cercò di concentrarsi sul problema. Solo ora si rendeva conto di quanto fosse labile la speranza su cui aveva basato la sua affermazione. Dipendeva tutto dal presupposto che Billig avesse il gatto verde, che Jack Jones sapesse dove si era nascosto Billig, e che Jack Jones stesso si fosse nascosto dagli Akeley. Ma era l’unica speranza di poter trovare Lucky.

Poi gli venne in mente che non aveva idea di dove si trovasse la casa degli Akeley. Ma lo soccorse il ricordo improvviso di una grande vetrina piena di manichini che camminavano. La casa degli Akeley era vicina alla Monstro Multi-Products, e tutti conoscevano l’indirizzo del grande magazzino. Localizzò il posto sulla mappa e poi sullo schermo. Subito accelerarono verso il basso, per cui dovette aggrapparsi ancora una volta alle maniglie, mentre i quadrati sullo schermo si ingrandivano, con al centro quello, più grosso, della Monstro Multi-Products.

Cercò di avere da Dytie una risposta alle domande che le aveva posto nella sua stanza, ma lei lo interruppe. — Già detto, mia storia molto lunga. Niente tempo ora. Prima trovare micio. Molto importante.

Il rettangolo del tetto della Monstro Multi-Products riempiva ormai buona parte dello schermo, e le strade intorno erano dei larghi nastri. La loro velocità diminuì. Dytie manovrò la scialuppa attorno al grande magazzino, finché Phil non riuscì ad individuare, alla base dell’edificio vicino, la piccola fessura che indicava il cubo di spazio in cui era contenuta la casa degli Akeley, privata dei suoi diritti d’aria.

Mentre scendevano lentamente nel canyon della strada, fra muri con e senza finestre, a Phil parve che l’immagine violetta che appariva sullo schermo fosse quella di una città stregata. Sembrava popolata da scarafaggi e da insetti più piccoli: macchine e pedoni.

Presto si trovarono sospesi a soli tre metri dal marciapiede, sulle teste dei passanti ignari.

Dytie fece scivolare la scialuppa fra la ringhiera del marciapiede e il piano “terreno” del grattacielo a fianco della casa degli Akeley. L’immagine viola si scurì notevolmente. Scesero ancora, sotto la strada superiore e quella successiva, finché non furono a mezzo metro dal mucchio di mattoni del comignolo caduto. Dytie manovrò alcuni comandi. Lo schermo e le luci si spensero e di colpo Phil si ritrovò schiacciato sull’imbottitura dalla gravità normale.

— Abbassare gambe per atterraggio scialuppa — disse Dytie. — Buono adesso, Phil.

Vicino alla ragazza apparve una fessura di oscurità meno intensa, che si allargò fino a diventare un rettangolo, attraverso il quale, un attimo dopo, Phil riuscì a scorgere un pezzo del portico degli Akeley. Il rettangolo venne oscurato da Dytie che usciva. Phil la seguì, mettendo avanti i piedi e muovendoli fino a trovare la scaletta, poi scese cautamente fino al giardino sassoso degli Akeley. Guardò in alto. Per quanto poteva vedere, non c’era assolutamente niente sopra di lui, a parte le strade dei due livelli superiori e il “soffitto” nero e opaco sopra la casa. Non soltanto la luce “andava attorno” alla scialuppa, ma non veniva neanche minimamente distorta.

— Tutto a posto — lo rassicurò Dytie. — Nessuno cammina su pietre e inciampa in scala. È questo il posto, Phil?

La casa degli Akeley sembrava più che mai vecchia e in rovina, adesso che si era inclinata in avanti di quasi mezzo metro in conseguenza della caduta del camino. Nei due piani superiori si era aperta una fenditura e nulla era stato fatto per ripararla. Tuttavia dalle imposte del soggiorno filtrava un po’ di luce.

Avanzando cautamente con un occhio alla parete minacciosamente inclinata, Phil condusse Dytie al portico. Esitò un attimo di fronte alla vecchia porta, con lo sportellino per i gatti, poi prese il batacchio a forma di testa di gatto e diede due colpi. Dopo un attimo si udì il rumore di passi, lo spioncino si aprì. Questa volta Phil riconobbe immediatamente gli occhi grigi e acquosi di Sacheverell.

— Felice di vedervi, Phil. Chi c’è con voi?

— La signorina Dytie da Silva.

Sacheverell aprì la porta. — Entrate, entrate. Il fato dev’essere al lavoro. Anche suo fratello è qui.

18

Il salotto degli Akeley era nelle stesse condizioni di completo disordine in cui l’aveva visto l’ultima volta. Nessuno si era preoccupato molto di pulire, dopo la lotta. In più, anzi, c’erano un gran numero di piatti sporchi, di tazze e di bicchieri sparsi nei posti più strani. A giudicare dai resti di cibo e di bevande, erano stati consumati tre pasti dalla sera prima, senza contare gli spuntini.

Le tende di velluto nero all’estremità della stanza erano state tirate da parte, rivelando l’altare che Sacheverell aveva preparato per Lucky, in quella che circa un secolo prima era stata la sala da pranzo. Esso consisteva in un piccolo tavolo, o in una cassa, posta contro la parete di fondo e coperta con un drappo di velluto bruno rossiccio che scendeva in ampie pieghe fino al pavimento. Appesa al muro al di sopra dell’altare vi era l’ankh, la croce ansata degli antichi egizi con il braccio superiore fatto ad anello, simbolo della fecondità e della vita. Su dei piccoli tavoli, ai due lati si trovavano delle grandi candele spente e le statuette di molte divinità egizie: la regale Isis, Osiris armato di frusta, Anubis dalla testa di sciacallo, e Bast stesso, la dea-gatto.