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Da ogni angolo spuntavano gatti, ma non erano più così tranquilli come quando Lucky era stato nella casa. Si aggiravano furtivamente, con le orecchie tirate all’indietro e la coda ritta; si tendevano imboscate da dietro e da sotto i mobili; si saltavano addosso l’un l’altro, ringhiando ogni volta che si incontravano. Quelli intenti a divorare i resti di cibo dai piatti alzavano ogni tanto la testa, soffiando minacciosamente. L’unico addormentato era empiamente raggomitolato sull’altare di Lucky.

Il tavolino con la stella a cinque punte era stato sistemato al centro della stanza, con sopra dei bicchieri e una bottiglia di brandy. Vicino ad esso sedeva Juno Jones. Indossava ancora il vestito stracciato, con la manica che le pendeva dal braccio muscoloso, ma si era calcata in testa di nuovo il cappellino a fiori. Sembrava di umore tetro e sulla difensiva.

Dall’altra parte del tavolo, chinati in avanti, sedevano Dion da Silva e Morton Opperly. Si alzarono entrambi quando Sacheverell introdusse trionfante Phil e Dytie nella stanza, dicendo: — Il nostro consiglio di guerra, o forse dovrei dire di combattiva pace, è al completo!

Opperly sorrise cortesemente. Lo scienziato sembrava del tutto a suo agio in quell’ambiente pazzo, meraviglioso e sudicio; forse una mente come la sua, avida di concretezza, apprezzava quell’atmosfera bohémienne.

Da parte sua Dion da Silva, non appena vide Dytie, posò sul tavolo il grosso bicchiere di whisky che stringeva, pronunciò due o tre parole in una lingua straniera, poi si riprese e disse: — Ciao, cara! Felice vedere. Ciao, ciao, ciao.

Nel frattempo Dytie era corsa fra le sue braccia, e lui la strinse in maniera che a Phil parve decisamente poco fraterna. Neanche lei, per la verità, si comportò molto da sorella. Finalmente lo respinse col fiato grosso. — Questo basta — disse. — Anche io felice vedere te, sciocco. Era ora.

Dion assunse un’aria offesa giusto il tempo necessario per riprendere il bicchiere di whisky. — Sai cosa fatto io? — chiese eccitato.

— Sì, tu ubriacato — disse lei, e sussurrò a Phiclass="underline"  — Sai Dion di cosa abbreviazione? Diònisio, dio del vino. Ben scelto, eh?

— No ubriacato — affermò Dion con una certa dignità. Poi la sua eccitazione ebbe il sopravvento, e sbottò: — Noi trovato micio!

Phil udì una risatina nota. Guardandosi attorno vide Mary Akeley che sedeva nella sua alcova, con i suoi scaffali pieni di bambole di cera, occupata a cucire vestitini sotto una grossa lente. La giovane moglie di Sacheverell dal naso di strega indossava questa volta un abito da sera che le lasciava quasi interamente scoperto il seno, e si era legata un grande fiocco verde fra i capelli.

— Quell’uomo mi strazia ogni volta che dice una parola — disse con voce rauca, senza interrompre il lavoro. — È così carino.

— Grazie, tesoro — replicò Dion facendole un cenno col bicchiere. — Io tutto carino. Pieno sorprese. Mostro te qualche volta.

Dytie soffocò una risata e sussurrò a Phiclass="underline"  — Ricordi io detto? Due gambe, ghiandole mammarie? — Phil annuì, anche se a suo avviso l’interesse di Dion per Mary non si avvicinava neppure lontanamente alla sua famelica adorazione per Dora Pannes. Il satiro (Phil si sentì scosso per come gli era venuta naturale quella parola) si stava tenendo solo in allenamento.

Sacheverell ignorò quello scambio di complimenti. La sua faccia abbronzata mostrava i segni di una eccitazione repressa. — Questa signorina è Dytie da Silva, la sorella di Dion — disse a Opperly e a Juno. Poi si rivolse a Phil. — Immagino vi stiate chiedendo perché il dottor Opperly e il señor da Silva sono qui. Li ho portati con me dalla Fondazione, perché entrambi sinceramente si interessano a Lui, e tutti insieme abbiamo delle buone probabilità di liberarLo dai suoi nemici.

— Cosa vuol dire lui? — chiese Dytie a Phil. — Vuol dire micio?

Phil annuì.

— Voglio dire il Gatto Verde — confermò Sacheverell, con una certa aria di rimprovero. — Voglio dire Bast reincarnata, la portatrice dell’amore e della concordia.

Dytie non gli prestò molta attenzione, e mormorò invece a Phiclass="underline"  — Lui detto Opperly? Opperly quell’uomo magro simpatico, faccia buona? Fammi conoscere, per favore.

Sacheverell, che si stava preparando a tenere un lungo discorso, lanciò a Phil un’occhiata un po’ addolorata quando questi presentò i due. Con grande sorpresa di Phil, il dottor Opperly baciò la mano di Dytie e poi la tenne fra le sue.

Non si comportava per niente come uno scienziato di ottant’anni passati. E Dytie, da parte sua, si dimostrò molto più carina verso di lui di quanto non lo fosse stata con Phil. Mentre i due si mormoravano l’un l’altra paroline dolci, anche se certamente molto intelligenti, Phil provò un impulso di gelosia, e gli venne voglia di dire ad Opperly: “Aspetta di vedere le sue gambe”. Ma in qualche modo sospettava che lo scienziato non sarebbe rimasto affatto sconvolto dalle gambe di Dytie, e da qualsiasi altra cosa di lei. Aveva notato un’espressione sorpresa sul viso di Opperly quando questi aveva preso la mano della ragazza, e in base alla propria esperienza poteva benissimo immaginare il perché: la sorpresa dello scienziato però non si era trasformata in repulsione, ma in un acuto interesse.

La voce di Opperly si fece d’improvviso acuta, chiara e romantica. — Ne sarei deliziato, signorina da Silva.

Dytie si rivolse agli altri con un sorriso soddisfatto. — Opperly e io dobbiamo molto discutere — annunciò. — Scusate, per favore. Dion, pensa tu affare micio.

Lei e Opperly se ne andarono sotto braccio attraverso la sala da pranzo, sorridendosi l’un l’altra e chiacchierando piacevolmente.

Sacheverell li guardò allontanarsi con espressione severa. — Non mi sembra che diano molto peso alla gravità della situazione, direi, perciò dovremo approntare da soli i piani per salvare il Gatto Verde. Signor Gish, cosa potete dirci di interessante?

In poche parole Phil raccontò come aveva trovato Lucky alla Divertimenti SpA, come l’aveva perso e poi ritrovato alla Fondazione Humberford, poco prima che se ne impadronisse Dora Pannes.

Non appena ebbe finito, intervenne Mary Akeley. Aveva finito di cucire gli abiti, ed ora li stava mettendo addosso ad una bambola piuttosto grossa, in cui Phil riconobbe l’immagine di Moe Brimstine, iniziata la sera prima. Con grande stupore Phil si accorse che Mary faceva indossare alla bambola perfino la biancheria intima e con delle pinzette infilava nelle tasche dei pantaloni degli oggetti quasi microscopici.

Disse: — Phil, avete per caso scoperto per quale ragione il nostro caro dottor Romadka ha rapito tre dei nostri gatti?

Phil spiegò rapidamente e col maggior tatto possibile quello che era capitato alle tre bestiole.

Mary prese da uno scaffale la bambola che rappresentava il dottor Romadka e la fissò col suo sguardo più crudele.

— Acido fatto colare lentamente sulla fronte — disse con una intensità che fece venire a Phil la pelle d’oca. — E spero che ci metta dei giorni prima di arrivarti negli occhi. Questo è il primo e il più lieve dei tuoi tormenti. — Poi prese la bambola che aveva appena finito di vestire e l’informò: — Questo vale anche per te. Quando l’acido ha raggiunto il primo occhio, passeremo alle altre parti del corpo. Per cominciare…

Un’improvvisa zuffa fra gatti impedì a Phil di scoprire fino a che punto di perversione giungesse l’immaginazione di Mary Akeley. Sacheverell separò i cinque contendenti con alcuni calci ben piazzati, anche se non dolorosi. Poi si aggiustò i pantaloni turchesi e guardando severamente la moglie disse: — Forse è opportuno dimenticare gli odi e tutte le altre oscure vibrazioni e pensare al da farsi. Ecco come stanno le cose, signor Gish. Questa mattina Juno ha sentito suo marito Jackie che diceva a Cookie dove sono nascosti Moe Brimstine e Billig…